11.4.07

La Truffa : new ideologia, new status symbol


Con la fine della Guerra Fredda, è stata diffusa la convinzione che le ideologie fossero appannaggio del passato, e che si sarebbe aperto un futuro migliore e più "vero". La propaganda della fine delle ideologie ha convinto molti, che hanno creduto possibile affrancarsi da qualsiasi teoria ideologica, abbracciando e accettando senza timore la "realtà".
Quale ideologia domina oggi?
L'ideologia del gruppo dominante ha oggi acquisito un potere enorme sugli individui, in quanto essa viene spacciata per verità scientifica, e quindi inoppugnabile.
La teoria di Darwin, applicata all'economia, ha creato il "capitalismo selvaggio", ossia un sistema in cui un gruppo, considerato "più forte" (o più furbo), si appropria della maggior parte delle ricchezze e le utilizza per dominare e avere privilegi.
Darwin studiò molte specie animali in modo approfondito, ma non i primati non umani e umani.
Nei primati umani la situazione è analoga, anche se per molti aspetti assai più complessa. I primati non umani hanno una forma di intelligenza che Jean Piaget definiva delle "operazioni concrete", cioè basata sulla realtà percettiva, mentre gli umani, a partire dall'adolescenza, oltrepassano tale livello e assumono capacità di "pensiero formale". Si tratta del pensiero simbolico e teorico, che comprende complesse capacità linguistiche. L'intelligenza formale, che è prerogativa degli esseri umani, deriva dagli sviluppi corticali (sistema talamo-corticale), che hanno permesso un linguaggio complesso e capacità di pensiero astratte. La maggior parte dei neuroni corticali viene utilizzata all'interno del cervello stesso, e soltanto una minima quantità per percepire il mondo esterno. Le situazioni ripetitive, monotone e passivizzanti, come lo schermo televisivo, riducono l'attività cerebrale e l'utilizzo delle capacità autoconoscitive.
Le parti sottocorticali (sistema limbico) presiedono alle risposte indotte dalle emozioni e alla percezione delle sensazioni dolorose o piacevoli. L'emotività può indurre ad un comportamento meno evoluto, basato sulla paura, sul senso del possesso e sulla competitività. Le funzioni sottocorticali possono essere stimolate in vari modi, per indurre ad avere un comportamento più primitivo rispetto ai progressi raggiunti dalla nostra specie. Ciò è possibile grazie all'uso dell'informazione ingannevole, delle tecniche di stimolazione emotivo-percettive e alla passivizzazione. L'élite dominante ha costruito un sistema politico-economico-mediatico che stimola gli aspetti inferiori della natura umana, come l'avidità, la crudeltà e l'egoismo, e fa credere che tale realtà sia fondamentale e inevitabile.
Attraverso il sistema economico-finanziario-politico, l'élite attua strategie per condizionare la personalità e il comportamento, curandosi di stimolare soltanto quegli aspetti che concorrono a preservare il sistema stesso. L'inganno sta nel farci credere che siamo noi stessi, con la nostra "natura" a determinare la realtà, deresponsabilizzando in tal modo tutti coloro che creano l'assetto e ne traggono vantaggi. Generare paura e sfiducia significa renderci più dipendenti dalle autorità esterne, e più disposti ad accettare ciò che altrimenti rifiuteremmo, come l'ingiustizia o la sottomissione acritica.
Attraverso le istituzione fondamentali del sistema attuale - le banche e le corporation - l'élite dominante costruisce una realtà basata sul profitto e sul possesso, e la impone come verità attraverso i mass media, che si basano essenzialmente sull'inganno. La ricerca del profitto ad ogni costo, inibisce in vari modi la naturale empatia e la spontanea socialità fra gli esseri umani. Questo sistema promuove la perdita del contatto con se stessi e con la realtà, assumendo il principio del profitto infinito e dello "sviluppo dell'azienda". Sono "mostri" a cui viene attribuito un potere assoluto, in quanto godono dei diritti dei singoli individui ma non sono ritenute responsabili e obbediscono soltanto alle "leggi" del profitto.
Lo Stato, che dovrebbe rappresentare le persone, se portatore delle istanze delle corporation e delle banche, diventa disumano, come osserva l'economista Colin Crouch:
Più lo Stato rinuncia a intervenire sulle vite della gente comune, rendendole indifferenti verso la politica, più facilmente le multinazionali possono mungere, più o meno indisturbate, la collettività. Il welfare state diventa poco a poco residuale, destinato al povero bisognoso piuttosto che parte dei diritti universali della cittadinanza; i sindacati vengono relegati ai margini della società; torna in auge il ruolo dello Stato come poliziotto e carceriere; cresce il divario tra ricchi e poveri; la tassazione serve meno alla redistribuzione del reddito; i politici rispondono in prima istanza alle esigenze di un pugno di imprenditori ai quali si consente di tradurre i propri interessi particolari in linee di condotta politica generali; i poveri smettono progressivamente di interessarsi al processo in qualsiasi forma e non vanno neppure a votare, tornando volontariamente alla posizione che erano obbligati a occupare nella fase predemocratica.[Un altro caso agghiacciate è quello del Primo ministro inglese Tony Blair, che nel 1997 mandò truppe in Sierra Leone per reprimere il popolo, allo scopo di difendere gli interessi delle corporation britanniche. Quando, nel 2001, l 'opinione pubblica inglese rimase sconvolta dalla foto di un bimbo armato di un grosso fucile fornito, assieme ad altri diecimila, con gli "aiuti" militari inglesi, Blair dovette ritirare le truppe dalla Sierra Leone.
Anche le banche concorrono a produrre una realtà truffaldina e ingannevole.
In molti casi, c'è una stretta complicità fra banche e corporation, ad esempio, nei casi di bancarotta (Enron, Parmalat, Cirio, ecc.) e devastazione. Numerosi dirigenti delle corporation americane, come Jeffrey Skilling (ex amministratore delegato della Enron), giustificavano attraverso questa teoria il sistema di cui facevano parte, basato sull'avidità e l'egoismo. Skilling diceva di preferire il libro di Dawkins perché in esso si sosteneva che fosse del tutto naturale e necessario essere avidi e competitivi, per "garantire la continuità della specie e liberare l'istinto di sopravvivenza del più forte".[5]
La Enron si ergeva al di sopra di ogni valore umano, propugnando l'unica necessità di alzare i profitti.
La scrittrice Bethany McLean spiegò: "Penso che la storia della Enron sia affascinante perché la gente la vede come una storia di grandi numeri, in realtà è una storia di persone, è una tragedia umana... 6]
Nelle corporation americane, la visione darwiniana della realtà appare in molti aspetti dell'organizzazione e della formazione. Le frasi ricorrenti, ripetute dai dirigenti ai dipendenti sono: "siamo i più forti", "a noi piace il rischio perché solo rischiando si fanno i soldi", "stiamo cercando di cambiare il mondo", "bisogna eliminare dal mercato i deboli", ecc. Tale ideologia diffonde la cultura del macho, ossia della persona che incista le proprie insicurezze e debolezze nel profondo della psiche, per poter apparire forte e invincibile come un eroe dei fumetti. Nel dicembre del 2001, la Enron dichiarò bancarotta, lasciando 20.000 lavoratori senza pensione, senza lavoro e senza risparmi. Poco prima del crollo, i dirigenti ritirarono il denaro investito, ma impedirono ai lavoratori di fare altrettanto.
L'affare Enron dimostra come banche e corporation, in modo disumano e spietato, perseguono i loro interessi anche a costo di produrre sofferenza e morte.
Il caso Parmalat coinvolse alcune delle stesse banche responsabili del crollo della Enron, come la Morgan Stanley e la Deutsche Bank , che non pagarono per le migliaia di persone ridotte sul lastrico, come non pagarono nemmeno i dirigenti dell'azienda.
Nello stesso periodo del crollo della Enron, alcune delle banche responsabili attuarono anche la bancarotta dell'Argentina. Le ristrutturazioni degli anni Novanta, imposte dal Fondo Monetario Internazionale (istituto finanziario controllato da Wall Street), avevano posto l'intera economia argentina nelle mani di pochi privati stranieri, che non rispettavano le esigenze della popolazione, e non desideravano sacrificare facili profitti per i diritti umani. Il New York Times scrisse che erano stati prelevati dalle banche "100 milioni di dollari al giorno".[Tutto questo dimostra che un gruppo ristretto di persone, che finora è rimasto impunito, propugna una realtà favorevole soltanto ai loro interessi, e nefasta per tutti gli altri esseri umani.
Gli aspetti evoluti degli esseri umani (socialità, affettività, fiducia, amicizia, cooperazione, altruismo, generosità, ecc.), se repressi, rimangono atrofizzati e producono nevrosi, infelicità e varie patologie psichiche. Persino nell'inferno dei lager nazisti si ebbero comportamenti sublimi. Ciò accade perché il comportamento naturale della maggior parte degli uomini è quello sociale ed empatico e non quello criminale. Circa l'80% dei reduci americani della Seconda guerra mondiale riportò problemi di natura psichiatrica.
Per rendere possibili le guerre, l'élite dominante deve necessariamente stimolare la paura e disumanizzare il nemico. Ad esempio, addestrano le reclute attraverso i videogiochi, come "Full Spectrum Warrior", che inducono il giocatore ad identificarsi con un combattente americano, e a sviluppare l'impulso ad uccidere. L'empatia suscitata dalla vista degli occhi del nemico, inibirebbe la risposta assassina. Talvolta esse confondono la realtà virtuale con i veri massacri, a tal punto che il generale Norman Schwarzopf, nel 1991, durante la guerra del Golfo, dovette spiegare ai soldati che "non si tratta di un gioco della Nintendo"[9] ma di una vera guerra.
Rendere la guerra spettacolare e simile ad un'esercitazione virtuale significa stimolare il senso di potenza, di divertimento e di eccitazione, evitando che intervengano gli aspetti emotivi più evoluti. Ciò è oggi una tragica realtà: i combattimenti appaiono sugli schermi e diversi soldati nel deserto, durante la guerra del Golfo, intervistati successivamente, riferivano di dipendere, come chiunque altro, quasi completamente dai mass media per sapere ciò che si presumeva stesse accadendo. Attraverso molte produzioni cinematografiche si diffonde una visione inquietante dei rapporti uomo-donna e dei rapporti sociali. La natura umana emerge talvolta come senza speranza, votata ad una realtà che rende o vittima o carnefice, ma in entrambi i casi non si può sfuggire all'infelicità.
La pubblicità ha lo scopo di appiattire l'esistenza, attraverso "forme di inquinamento mentale che degradano le nostre menti.
Il messaggio pubblicitario ha anche lo scopo di indurre ad agire nel modo favorevole al consumo e al sistema economico attuale. La pubblicità mostra una falsa realtà e induce a crederla vera, crea falsi significati e falsi bisogni. I media sono un enorme apparato di controllo della mente e dell'emotività umana. Ad esempio, nel film Wall Street, del 1987, Gordon Gekko, un uomo d'affari ricchissimo e senza scrupoli dice:
Il punto è, signore e signori, che l'avidità è un bene. L'avidità funziona, l'avidità è giusta... Alla fine del film, Bud prende le distanze da Gekko, avallando la teoria della "mela marcia", e occultando in tal modo che è l'intero sistema ad ergersi su fondamenti disumani e criminali.
Attraverso l'ideologia della truffa - che consiste, in sintesi, nel farci credere che la natura umana è essenzialmente malvagia e violenta, che il profitto è l'aspetto più importante della realtà, e che la guerra è inevitabile - spadroneggia un gruppo di persone, che cerca di far passare tale ideologia per scienza.
Il sistema che domina oggi il mondo non è stato creato né voluto dalla maggior parte dei suoi abitanti, ma soltanto da un gruppo sparuto, che vuole far credere che tale assetto nasca dalla "cultura" o addirittura derivi dalla natura umana. Ma non è così, e queste persone, responsabili di numerosi crimini, dovrebbero andare in carcere, mentre gli esseri umani dovrebbero riappropriarsi degli aspetti più evoluti di se stessi, per realizzare un società più umana e rispondente alla loro libera evoluzione.
Antonella Randazzo

10.4.07

Tra medici e fannulloni


Nei giorni scorsi gli Ordini dei medici hanno protestato contro l'accenno, contenuto nel mio ultimo articolo, alla loro inerzia di fronte ai milioni di giornate di malattia di nullafacenti sani come pesci, certificate da medici irresponsabili. «Non è compito nostro controllare le certificazioni», obiettano gli Ordini. E poi: «Il medico curante non può che fidarsi di quel che gli dice il paziente». In qualche caso è vero: di fronte a una crisi improvvisa di emicrania o di lombalgia anche il medico curante ha scarse possibilità di verifica. Ma in moltissimi casi la mala fede del medico è evidentissima. Uno di questi, il più clamoroso per dimensioni, è quello degli 800 certificati di un giorno di malattia rilasciati a Fiumicino il 2 giugno 2003 ad altrettanti assistenti di volo dell'Alitalia, che intendevano così bloccare i voli senza preavviso, nel corso di una vertenza sindacale.
«Strafottente "sciopero sanitario" di hostess e steward», lo definì Michele Serra sulla Repubblica; «malcostume sindacale e dei medici» titolò il Corriere in prima pagina. Ma l'Ordine non mosse un dito. Assistiamo tutti i giorni a casi in cui la mala fede del medico curante è altrettanto evidente; e, anche quando questi vengono denunciati, l'Ordine chiude entrambi gli occhi. È, per esempio, il caso del medico di una Asl friulana che, il 5 febbraio 2004, «certifica» una prognosi di 20 giorni per un'impiegata bancaria, indicando che essa è - quel giorno stesso - reperibile a Santa Fe in Argentina, pur essendo l'assenza imputabile soltanto a un «trattamento fisioterapico per artrosi post-traumatica della caviglia»; il 24 giugno successivo identica certificazione, con paziente reperibile sul Mar Morto; per l'Ordine e la Asl, cui la cosa viene denunciata, la certificazione è «professionalmente corretta e contrattualmente ineccepibile».
L'Ordine non ha mosso un dito neppure nel caso del professor M. di un liceo di Milano, denunciato dal Corriere il 16 ottobre scorso, che da anni per centinaia di volte si è fatto certificare infermo regolarmente nelle giornate di lunedì, di venerdì, o di ponte tra due festività, e sempre al paesello natale in Sicilia; o nel caso del sig. A. di Parma, cui il medico certifica per tre volte di seguito 30 giorni di lombosciatalgia, senza disporre alcun accertamento diagnostico, né tanto meno alcuna terapia; o nel caso del sig. D. di Roma, che il giorno stesso in cui gli viene comunicato il trasferimento a un ufficio a lui sgradito è colto da «depressione del tono dell'umore», per la quale il medico di famiglia arriva a prescrivere complessivamente sei mesi di astensione dal lavoro, ma non una visita specialistica, e neppure alcuna cura appropriata.

Né gli Ordini hanno mai preso alcuna iniziativa di fronte al fenomeno delle certificazioni puntualmente rilasciate ogni anno a comando da migliaia di medici ad altrettanti membri esterni delle commissioni per gli esami di maturità, per consentire loro di sottrarsi alla chiamata. Certo, questo potere di autorizzare chiunque a «mettersi in malattia» può essere gratificante per un medico di scarsa levatura professionale; mentre, al contrario, rifiutare un certificato di comodo può costargli la perdita di un paziente. Ma ci sono anche molti medici seri che al proprio interesse antepongono il dovere. E comunque la compiacente certificazione a comando costituisce una grave violazione del codice deontologico, il quale imporrebbe al medico, quando egli attesta un'infermità, di farlo con «formulazione di giudizi obiettivi e scientificamente corretti» (art. 24). Il fatto che, di fronte a una violazione così platealmente diffusa e culturalmente radicata, sia addirittura il presidente della Federazione Nazionale degli Ordini dei medici a giustificare l'inerzia di questi organismi (Corriere del 23 marzo, p. 53) la dice lunga sulla questione se essi siano davvero posti a garanzia dell'interesse della collettività, o non agiscano invece di fatto come una sorta di sindacato nazionale obbligatorio di categoria. Va anche detto che a questa vera e propria frode istituzionalizzata concorre il sistema dei controlli sulle malattie dei lavoratori.

Basti osservare in proposito che nei moduli sui quali i medici dei servizi ispettivi dell'Inps e delle Asl redigono i referti delle loro visite domiciliari non è neppure contemplato l'accertamento dell'inesistenza dell'impedimento: il peggio che può accadere al falso malato è di essere dichiarato idoneo a riprendere il servizio il giorno successivo a quello della visita ispettiva (salva «ricaduta» la sera stessa della visita, che il medico curante può sempre tornare a certificare). Né i magistrati penali e del lavoro brillano per reattività di fronte al fenomeno: quante sentenze pilatesche si leggono quotidianamente, nelle quali il giudice chiude entrambi gli occhi di fronte a incongruenze evidentissime tra la diagnosi «certificata» e il difetto degli accertamenti necessari o delle terapie appropriate, oppure di fronte a circostanze che escludono l'impedimento al lavoro.

Fra le molte tare che riducono la capacità di competere del nostro Paese c'è anche questa; per valutare quanto essa ci costi, basti confrontare i tassi di assenteismo delle nostre aziende e amministrazioni pubbliche con quelli dei nostri partner europei. Sull'Unità del 1˚ aprile Furio Colombo mi rimproverava di tuonare contro i nullafacenti senza considerare che le retribuzioni italiane sono tra le più basse in Europa, addirittura la metà di quelle britanniche; ma a deprimere le nostre retribuzioni sono anche gli enormi sprechi e lassismi come questo: i tassi di assenteismo britannici sono la metà dei nostri. Tutti devono fare la loro parte per correggere questa stortura: il governo, le imprese, i lavoratori, i sindacati, i giudici, i medici. E, ovviamente, anche chi è preposto al controllo dell'operato di questi ultimi.
Pietro Ichino

25.3.07

Lunardi: un ministro che deve risarcire lo stato?


Non succede spesso che a un ministro venga chiesto di pagare di tasca propria il denaro pubblico sperperato. Ma quando accade, le cifre sono importanti. L’ingegner Pietro Lunardi, ex ministro alle Infrastrutture del governo Berlusconi, dovrà risarcire l’Anas per 2.757.877,34 euro avendo costretto l’azienda, quando era ministro, a pagare le maxiliquidazioni del Cda pur di farne piazza pulita. La sezione Lazio della corte dei conti, il 10 novembre scorso, ha infatti depositato la sentenza di condanna nei confronti dell’ex ministro ritenendo risarcimenti, buonuscite e finte consulenze non dovuti. La vicenda I fatti risalgono al 2001. L’ingegner Lunardi si è appena insediato al ministero e una delle sue prime decisioni è mandare a casa i vertici Anas. Presidente, all’epoca, è Giuseppe D'Angiolino, ex ufficiale della guardia di finanza. Tra i due non corre buon sangue. D’Angiolino, infatti, ha revocato alcuni incarichi all’ingegnere non ancora ministro ma consulenze per Anas per un paio di gallerie. All’ex ufficiale i conti non tornano. Quando c’è di mezzo la società di Lunardi, la Rocksoil, i costi lievitano. Così, dopo aver fatto eseguire delle perizie, chiede al futuro ministro di abbassare il prezzo o lasciare. Quando Lunardi arriva al ministero, ha il dente avvelenato. Costringe D'Angiolino a farsi da parte. Per convincerlo è disposto a pagare, anche più del dovuto. Il 27 settembre 2001 il presidente lascia l’incarico con risoluzione consensuale del contratto. Lo seguono a ruota i quattro consiglieri: Paolo Urbani, Alessandro Migliavacca, Clemente Carta e Ivan Cicconi rassegnano le dimissioni tra il 15 e il 19 ottobre 2001. L’uscita di scena dei cinque viene concordata con il ministro dietro il pagamento di parecchio denaro. La buonuscita del presidente Il professor D’Angiolino torna a casa con un milione e mezzo di euro in tasca. Chiede e ottiene: 816mila euro come compenso in qualità di amministratore dell'Anas superiori ai 350 milioni di lire previsti (l’ex ufficiale sostiene di poter far valere le norme sui dirigenti d'azienda privati per l'intero periodo del suo incarico, ovvero dal 1994 al 2001); altri 413mila euro come adeguamento del compenso (D’Angiolino sostiene di aver svolto mansioni di amministratore straordinario dal 1994 al 2001 anche se la corte sottolinea come, dal 1995, egli sia nominato presidente); altri 154mila euro arrivano come risarcimento per il patto di fedeltà che impone all’ex presidente di Anas di non esercitare nei tre anni successivi lavori in concorrenza con il gestore della rete stradale (ma la clausola è già contenuta nel contratto di nomina e quindi non bisognava pagarla a parte); infine il ministro accorda altri 154mila euro di consulenze da effettuare per conto del ministero in tre anni. Il conto verrà poi «elegantemente» girato all’Anas (non sia mai che il ministero si trovi in difficoltà), ma quel che è peggio è che la corte non trova traccia di alcuna consulenza effettuata da D’Angiolino. Per questo sono stati condannati insieme al ministro anche due funzionari Anas colpevoli di aver pagato l’ex presidente senza aver controllato che avesse effettivamente svolto i lavori. Generosi anche coi consiglieri Non è solo il presidente D’Angiolino a venire lautamente remunerato dal ministro. I quattro membri del Cda concordano infatti con l’ingegner Lunardi un «risarcimento» pari allo stipendio che avrebbero percepito fino a fine mandato se il loro incarico non fosse stato prematuramente interrotto. Addirittura la corte scopre che ai quattro consiglieri vengono riconosciuti i gettoni di presenza «futuri» sulla base di una media calcolata sugli mesi precedenti. E di riunioni, quel Cda, non ne avrebbe più fatte. Alla fine ogni consigliere ha intascato 335.700 euro che, sommati alla cifra già data all’ex presidente, significa 2.881.000 euro. La colpa La corte, alla fine, ha stabilito che il ministro ha avuto gravi colpe nello sperpero di denaro. Non solo quei soldi non dovevano essere pagati, ma l’ingegner Lunardi non aveva alcun potere di stabilire compensi, risarcimenti e quant’altro essendoci norme, regole e organi preposti proprio a questo. Per questo l’ex ministro è stato condannato a pagare 2.757.877,34 euro, mentre i due funzionari dell’Anas dovranno sborsare 61.974 euro a testa. In attesa di un eventuale ricorso in appello da parte dei condannati, il piatto piange. Non succede spesso che a un ministro venga chiesto di pagare di tasca propria il denaro pubblico sperperato. Ma quando accade, le cifre sono importanti. L’ingegner Pietro Lunardi, ex ministro alle Infrastrutture del governo Berlusconi, dovrà risarcire l’Anas per 2.757.877,34 euro avendo costretto l’azienda, quando era ministro, a pagare le maxiliquidazioni del Cda pur di farne piazza pulita. La sezione Lazio della corte dei conti, il 10 novembre scorso, ha infatti depositato la sentenza di condanna nei confronti dell’ex ministro ritenendo risarcimenti, buonuscite e finte consulenze non dovuti. La vicenda I fatti risalgono al 2001. L’ingegner Lunardi si è appena insediato al ministero e una delle sue prime decisioni è mandare a casa i vertici Anas. Presidente, all’epoca, è Giuseppe D'Angiolino, ex ufficiale della guardia di finanza. Tra i due non corre buon sangue. D’Angiolino, infatti, ha revocato alcuni incarichi all’ingegnere non ancora ministro ma consulenze per Anas per un paio di gallerie. All’ex ufficiale i conti non tornano. Quando c’è di mezzo la società di Lunardi, la Rocksoil, i costi lievitano. Così, dopo aver fatto eseguire delle perizie, chiede al futuro ministro di abbassare il prezzo o lasciare. Quando Lunardi arriva al ministero, ha il dente avvelenato. Costringe D'Angiolino a farsi da parte. Per convincerlo è disposto a pagare, anche più del dovuto. Il 27 settembre 2001 il presidente lascia l’incarico con risoluzione consensuale del contratto. Lo seguono a ruota i quattro consiglieri: Paolo Urbani, Alessandro Migliavacca, Clemente Carta e Ivan Cicconi rassegnano le dimissioni tra il 15 e il 19 ottobre 2001. L’uscita di scena dei cinque viene concordata con il ministro dietro il pagamento di parecchio denaro. La buonuscita del presidente Il professor D’Angiolino torna a casa con un milione e mezzo di euro in tasca. Chiede e ottiene: 816mila euro come compenso in qualità di amministratore dell'Anas superiori ai 350 milioni di lire previsti (l’ex ufficiale sostiene di poter far valere le norme sui dirigenti d'azienda privati per l'intero periodo del suo incarico, ovvero dal 1994 al 2001); altri 413mila euro come adeguamento del compenso (D’Angiolino sostiene di aver svolto mansioni di amministratore straordinario dal 1994 al 2001 anche se la corte sottolinea come, dal 1995, egli sia nominato presidente); altri 154mila euro arrivano come risarcimento per il patto di fedeltà che impone all’ex presidente di Anas di non esercitare nei tre anni successivi lavori in concorrenza con il gestore della rete stradale (ma la clausola è già contenuta nel contratto di nomina e quindi non bisognava pagarla a parte); infine il ministro accorda altri 154mila euro di consulenze da effettuare per conto del ministero in tre anni. Il conto verrà poi «elegantemente» girato all’Anas (non sia mai che il ministero si trovi in difficoltà), ma quel che è peggio è che la corte non trova traccia di alcuna consulenza effettuata da D’Angiolino. Per questo sono stati condannati insieme al ministro anche due funzionari Anas colpevoli di aver pagato l’ex presidente senza aver controllato che avesse effettivamente svolto i lavori. Generosi anche coi consiglieri Non è solo il presidente D’Angiolino a venire lautamente remunerato dal ministro. I quattro membri del Cda concordano infatti con l’ingegner Lunardi un «risarcimento» pari allo stipendio che avrebbero percepito fino a fine mandato se il loro incarico non fosse stato prematuramente interrotto. Addirittura la corte scopre che ai quattro consiglieri vengono riconosciuti i gettoni di presenza «futuri» sulla base di una media calcolata sugli mesi precedenti. E di riunioni, quel Cda, non ne avrebbe più fatte. Alla fine ogni consigliere ha intascato 335.700 euro che, sommati alla cifra già data all’ex presidente, significa 2.881.000 euro. La colpa La corte, alla fine, ha stabilito che il ministro ha avuto gravi colpe nello sperpero di denaro. Non solo quei soldi non dovevano essere pagati, ma l’ingegner Lunardi non aveva alcun potere di stabilire compensi, risarcimenti e quant’altro essendoci norme, regole e organi preposti proprio a questo. Per questo l’ex ministro è stato condannato a pagare 2.757.877,34 euro, mentre i due funzionari dell’Anas dovranno sborsare 61.974 euro a testa. In attesa di un eventuale ricorso in appello da parte dei condannati, il piatto piange. Non succede spesso che a un ministro venga chiesto di pagare di tasca propria il denaro pubblico sperperato. Ma quando accade, le cifre sono importanti. L’ingegner Pietro Lunardi, ex ministro alle Infrastrutture del governo Berlusconi, dovrà risarcire l’Anas per 2.757.877,34 euro avendo costretto l’azienda, quando era ministro, a pagare le maxiliquidazioni del Cda pur di farne piazza pulita. La sezione Lazio della corte dei conti, il 10 novembre scorso, ha infatti depositato la sentenza di condanna nei confronti dell’ex ministro ritenendo risarcimenti, buonuscite e finte consulenze non dovuti. La vicenda I fatti risalgono al 2001. L’ingegner Lunardi si è appena insediato al ministero e una delle sue prime decisioni è mandare a casa i vertici Anas. Presidente, all’epoca, è Giuseppe D'Angiolino, ex ufficiale della guardia di finanza. Tra i due non corre buon sangue. D’Angiolino, infatti, ha revocato alcuni incarichi all’ingegnere non ancora ministro ma consulenze per Anas per un paio di gallerie. All’ex ufficiale i conti non tornano. Quando c’è di mezzo la società di Lunardi, la Rocksoil, i costi lievitano. Così, dopo aver fatto eseguire delle perizie, chiede al futuro ministro di abbassare il prezzo o lasciare. Quando Lunardi arriva al ministero, ha il dente avvelenato. Costringe D'Angiolino a farsi da parte. Per convincerlo è disposto a pagare, anche più del dovuto. Il 27 settembre 2001 il presidente lascia l’incarico con risoluzione consensuale del contratto. Lo seguono a ruota i quattro consiglieri: Paolo Urbani, Alessandro Migliavacca, Clemente Carta e Ivan Cicconi rassegnano le dimissioni tra il 15 e il 19 ottobre 2001. L’uscita di scena dei cinque viene concordata con il ministro dietro il pagamento di parecchio denaro. La buonuscita del presidente Il professor D’Angiolino torna a casa con un milione e mezzo di euro in tasca. Chiede e ottiene: 816mila euro come compenso in qualità di amministratore dell'Anas superiori ai 350 milioni di lire previsti (l’ex ufficiale sostiene di poter far valere le norme sui dirigenti d'azienda privati per l'intero periodo del suo incarico, ovvero dal 1994 al 2001); altri 413mila euro come adeguamento del compenso (D’Angiolino sostiene di aver svolto mansioni di amministratore straordinario dal 1994 al 2001 anche se la corte sottolinea come, dal 1995, egli sia nominato presidente); altri 154mila euro arrivano come risarcimento per il patto di fedeltà che impone all’ex presidente di Anas di non esercitare nei tre anni successivi lavori in concorrenza con il gestore della rete stradale (ma la clausola è già contenuta nel contratto di nomina e quindi non bisognava pagarla a parte); infine il ministro accorda altri 154mila euro di consulenze da effettuare per conto del ministero in tre anni. Il conto verrà poi «elegantemente» girato all’Anas (non sia mai che il ministero si trovi in difficoltà), ma quel che è peggio è che la corte non trova traccia di alcuna consulenza effettuata da D’Angiolino. Per questo sono stati condannati insieme al ministro anche due funzionari Anas colpevoli di aver pagato l’ex presidente senza aver controllato che avesse effettivamente svolto i lavori. Generosi anche coi consiglieri Non è solo il presidente D’Angiolino a venire lautamente remunerato dal ministro. I quattro membri del Cda concordano infatti con l’ingegner Lunardi un «risarcimento» pari allo stipendio che avrebbero percepito fino a fine mandato se il loro incarico non fosse stato prematuramente interrotto. Addirittura la corte scopre che ai quattro consiglieri vengono riconosciuti i gettoni di presenza «futuri» sulla base di una media calcolata sugli mesi precedenti. E di riunioni, quel Cda, non ne avrebbe più fatte. Alla fine ogni consigliere ha intascato 335.700 euro che, sommati alla cifra già data all’ex presidente, significa 2.881.000 euro. La colpa La corte, alla fine, ha stabilito che il ministro ha avuto gravi colpe nello sperpero di denaro. Non solo quei soldi non dovevano essere pagati, ma l’ingegner Lunardi non aveva alcun potere di stabilire compensi, risarcimenti e quant’altro essendoci norme, regole e organi preposti proprio a questo. Per questo l’ex ministro è stato condannato a pagare 2.757.877,34 euro, mentre i due funzionari dell’Anas dovranno sborsare 61.974 euro a testa. In attesa di un eventuale ricorso in appello da parte dei condannati, il piatto piange.

La Banca Mondiale ha le ore contate?


Le Banche nel momento di massima espansione e dominio stanno vivendo momenti difficili. Il mostro comincia ad affacciare la testa e, i piccoli Golia non vedono l'ora di accecare o uccidere la Bestia.HEDELBERTO LOPEZ BLANCH parla della situazione in America Latina, nessun media sfiora l'argomento.

Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Banca Mondiale (BM) sono in agitazione perché in America Latina si sta formando un’entità finanziaria in grado di aumentare le problematiche di cui già soffrono queste due organizzazioni mondiali.

Alla fine di febbraio, durante una visita del presidente argentino Nestor Kirchner a Caracas, il suo omologo venezuelano, Hugo Chávez, ha annunciato che i due governi si sono dati un termine di 120 giorni per la costruzione del Banco del Sur (Banca del Sud).

Chávez ha spiegato che al termine di questo lasso di tempo dovrebbe essere già pronto un piano di azione “volto alla creazione di statuti, così come il piano di realizzazione per un quinquennio, il programma di acquisizione di risorse e la stima del capitale iniziale”.

Il governo venezuelano è pronto per mettere a disposizione almeno il 10% delle sue riserve a questo scopo e il suo Presidente ha esortato affinché altri paesi facciano lo stesso per creare una banca che inizierà modestamente, ma che in pochi anni, “non ci sarà bisogno del FMI o della BM, né di andare mendicando per il mondo”.

Durante la riunione Kirchner-Chávez, si è appreso che il documento base per la creazione della Banca del Sud possiede un fondamento dal punto di vista etico, economico, politico e sociale e che la sede principale sarà a Caracas e un’altra a Buenos Aires. L’ apparato direttivo del progetto offre facilitazioni affinché gli altri governi possano unirsi a questo impegno in ogni momento della sua fase, ciò che permetterà una maggiore integrazione latinoamericana. Il ministro ecuadoriano dell’Economia, Ricardo Patiño, ha assicurato che la Banca del Sud sarà una realtà in pochi mesi e il suo paese, come la Bolivia, aderirà a questo organismo che funzionerà con le risorse delle nazioni che ne faranno parte.

E’ innegabile che la Banca del Sud costituisce una prospettiva finanziaria regionale d’avanguardia, contrapposta alle attività del FMI e della BM.

È consuetudine che i governi ripongano i loro risparmi nelle banche del Nord, che pagano tassi di interesse tra l’1 o il 2%, per poi prestare questo stesso denaro con tassi di interesse tra il 6 e il 12%.

Attualmente esiste una congiuntura favorevole affinché i Paesi in Via di Sviluppo (PVS) possano raggiungere una politica indipendente rispetto alle nazioni capitaliste più industrializzate perché negli ultimi anni i PVS hanno aumentato in modo considerevole le loro riserve internazionali. Si calcola che solo le riserve di Venezuela, Argentina e Brasile, in totale, raggiungano la somma di 100.000 milioni di dollari.

La decisione di fondare la Banca, come è logico, rappresenta già un motivo di preoccupazione per gli organismi finanziari internazionali e per i paesi industrializzati perché in pratica i più poveri e numerosi prestano denaro ai potenti.

La Banca Mondiale ha preso atto di questa realtà segnalando nei suoi rapporti annuali, e specificatamente in quelli del 2003, 2005, e 2006, chiamati Sviluppo Finanziario Globale, che i “paesi in via di sviluppo, presi insieme, sono creditori rispetto agli sviluppati” e che i primi “esportano capitali nel resto del mondo, in particolare negli Stati Uniti”.

Eric Toussaint, presidente del Comitato per l’Abolizione del Debito del Terzo Mondo (CADTM), in un importante studio sull’argomento spiega che la maggior parte dei Paesi in Via di Sviluppo compra buoni del Tesoro statunitensi con la motivazione che questi hanno molta liquidità e si possono vendere facilmente. I Paesi in Via di Sviluppo contribuiscono così a sostenere la potenza dell’impero americano.

“I Paesi in Via di Sviluppo mettono nelle mani del padrone il bastone che egli impiega per picchiarli e depredarli, dal momento che gli Stati Uniti hanno un necessità vitale di finanziamenti dall’estero per coprire il loro enorme deficit e mantenere così il loro potere militare, commerciale e finanziario. Se si trovassero privati di una parte significativa di questi prestiti, il loro predominio verrebbe meno”, segnala Toussaint.

Bisogna far presente che le quotazioni del dollaro da alcuni anni sono in ribasso e i buoni sono remunerati con moneta svalutata e pertanto sarebbe più proficuo investirli nello sviluppo sociale di questi paesi.

Il FMI, in questo anno fiscale, sta affrontando difficoltà finanziarie a breve termine con un deficit di 105 milioni di dollari al di sopra del previsto, cosa che non succedeva dal 1985, quando si dichiarò una moratoria nel pagamento dei debiti da parte di alcuni paesi.

La ragione ora è molto diversa e si deve ai pagamenti anticipati che si sono realizzati da parte di alcuni paesi membri con l’obiettivo di ridurre i loro debiti e per i quali hanno utilizzato parte delle loro riserve internazionali.

Questa situazione non è nuova, ma è cominciata durante la crisi asiatica alla fine degli anni ’90, quando gli interessati decisero di far fronte con le loro obbligazioni creditizie in cambio di un controllo minore da parte del FMI.

Tanto il FMI, che la BM ed altre istituzioni finanziarie mondiali dominate dai Paesi in Via di Sviluppo, concedono prestiti alla condizione che si rispettino strettamente le raccomandazioni di natura economica suggerite da queste istituzioni, le quali vanno sempre a sfavore delle strategie sociali disposte per le popolazioni indebitate.

Brasile, Argentina, Uruguay hanno effettuato pagamenti anticipati per più di 25.000 milioni di dollari (per risparmiare sugli enormi interessi). Lo hanno anche fatto Serbia e Indonesia ed altri come Colombia, Cile, Messico, Perù, Venezuela hanno ottenuto aperture di credito ma non le hanno utilizzate. Dalla fondazione del FMI e della BM nel 1944 questi organismi sono stati strumenti di dominio delle nazioni potenti le quali hanno imposto, nelle regioni sfortunate, politiche neocoloniali, neoliberali e di libero commercio a sfavore delle grandi moltitudini.

Davanti a questa non obiettabile realtà sorge il progetto della creazione della Banca del Sud che, con una intenzione multilaterale, mira verso la necessaria integrazione latinoamericana.

Durante la sua visita a Caracas il presidente argentino Néstor Kirchner ha puntualizzato che questa istituzione dovrà essere un’entità finanziaria con caratteristiche e filosofie differenti da quelle delle sedi bancarie internazionali che pure sono nate con l’intento di promuovere investimenti e che con il trascorrere degli anni si sono trasformate “in una vera calamità per i popoli”.

La Banca del Sud, insieme all’Alternativa Bolivariana per le Americhe (ALBA), è un altro dei segnali di risveglio dell’emancipazione delle nazioni dell’America Latina.

22.3.07

Che cosa possiamo fare noi ebrei per il bene del mondo?



A questa domanda, a volte mi viene da ridere, ma per rispetto mi astengo dal commentare. Voglio solo usare le parole di un autore M. Blondet.

Per carità, abbiate pietà!
Non cercate di fare il bene del mondo, abbiamo già visto il vostro bene!
La domanda è rivelatrice in sé.
I cinesi non si domandano cosa possono fare «per il bene del mondo», né se lo chiedono i francesi e gli italiani.
I popoli autentici, non ideologici e non artificiali, si limitano a vivere nel mondo, cercando di assicurarsi una relativa sicurezza impegnandosi con trattati.
A chiedersi attivamente cosa fare ancora per «il bene del mondo» sono gli ideologi di ideologie feroci: i comunisti sovietici, oggi i fondamentalisti messianici americani.
Vogliono a tutti i costi farci del «bene», portare «la democrazia», il «mercato», la «libertà».
Gli individui sì, devono chiedersi, ciascuno per sé, cosa possano fare di bene, come migliorare il mondo.
Non i popoli in quanto tali.
Un popolo che si domanda - o fa finta di domandarsi - cosa deve fare per il bene del mondo, è un popolo che si crede divino, che si crede Dio.
No, caro lettore, cari ebrei.
Vi chiediamo molto meno.
Non di fare, come Dio, «il bene del mondo», ma semplicemente di non fare troppo male.
Di non opprimere e affamare i palestinesi.
Di non soffocare nel sangue e nella fame le loro speranze.
Di non porre loro, ogni volta che accedono alle condizioni da voi dettate, sempre nuove condizioni: questo non è «bene», è slealtà e menzogna.
Ci accontenteremmo che voi, dopo aver distrutto il Libano dalle fondamenta in 30 giorni con le vostre bombe, non continuaste a violarne ogni giorno - come denuncia l’ONU - lo spazio aereo, ossia la sovranità.
Anche gli altri, nella civiltà, hanno diritto alla sovranità.

Ci sarebbe piaciuto che la vostra lobby non avesse spinto la superpotenza USA a «fare il bene» degli iracheni, ammazzandone 650 mila e rendendone profughi oltre due milioni.
Ci basterebbe che non esigeste oggi dagli americani che inceneriscano l’Iran, una nazione che non vi minaccia realmente, che non ha mai aggredito ma che è se mai stata aggredita da un Saddam Hussein su istigazione USA.
Vi chiediamo di fare pace con condizioni oneste, che altri possano accettare senza eccessiva umiliazione.
Anche per il vostro bene: perché una pace fondata sul dominio e sulla forza assoluta, non consente mai di dormire tranquilli.
Specie se si dorme in case rubate, su terre che non vi appartengono, su letti strappati ad altri. Nonostante tutta la forza, si viene visitati da brutti sogni.
Il vostro Freud può spiegarvi, ancora una volta, il motivo dei vostri sonni agitati, dei vostri fantasmi di essere «cancellati».
No, per favore, non fate il nostro bene.
Non siete Dio.
Soprattutto, non siete il nostro Dio.

7.3.07

FantaFiaba sul presente


Migliaia di anni fa delle razze esogene molto evolute tecnologicamente approdarono sul pianeta.

Uno di questi popoli, dopo essersi insediato in molte regioni della Terra, compì degli esperimenti genetici su ominidi da cui fu selezionata la specie homo sapiens, specie il cui DNA è corrotto. Forse due civiltà oppure due fazioni all’interno della stessa entrarono in conflitto: prevalse la fazione malvagia e bellicosa, decisa ad assoggettare l’umanità ed a servirsene per i suoi scopi di dominazione. Il gruppo dei perdenti dovette allontanarsi dalla Terra, forse alcuni vi rimasero ma passarono nella clandestinità: costoro, attraverso miti ed opere letterarie ed artistiche, codificarono conoscenze segrete relative soprattutto al fenomeno della precessione. Infatti i cambiamenti precessionali non possiedono soltanto un significato cosmico, ma pure implicano una relazione profonda tra i cicli dell’universo e gli esseri viventi.

Con il passare dei secoli, le conoscenze esoteriche subirono un processo di deterioramento: diventarono sempre più confuse. Alcuni maestri custodirono insegnamenti sublimi e dottrine segrete, ma che furono appannaggio di una cerchia assai ristretta di iniziati timorosi di esporsi. Altri, in accordo con le èlites, contaminarono il sapere esoterico all’interno di confraternite dedite a culti abominevoli ed oscuri.

Nel frattempo gli Annunaki o i loro discendenti ibridi, ossessionati dalla purezza del sangue, perseguirono un piano a lunghissimo termine volto ad instaurare un sistema politico, sociale, culturale ed economico fondato sulle disuguaglianze tra classi e sui conflitti tra etnie in modo da dominarle tutte con la strategia del divide et impera. Gli arconti decisero anche di creare una prigione invisibile entro cui confinare gli uomini, considerati come oggetti per il loro trastullo oltre che come schiavi “liberi”. Tale carcere fu costruito per mezzo delle religioni politeiste e monoteiste destinate ad assopire la coscienza, a favorire l’oblio del vero valore dell’esistenza, che trova il suo significato più profondo nell’armonia con la pulsante vita cosmica, nei principi spirituali e non nel denaro, nel potere e nel successo.

Cruciale fu in questo progetto l’invenzione del “Cristianesimo”, una “fede” destinata ad allargarsi a macchia d’olio in quasi tutto il mondo per mezzo inizialmente di imperatori come Costantino e Teodosio, quindi tramite la dinastia usurpatrice dei Carolingi. Centrale fu ed è il ruolo di Roma, vera kaput mundi e cuore della cospirazione globale nel passato come oggi.

Le classi dirigenti, attraverso i millenni, riuscirono a mantenere ed a rafforzare il controllo dell’umanità, falsificando la storia, fomentando guerre e diffondendo la paura. Con l’invenzione di strumenti tecnologici sempre più sofisticati, l’egemonia delle élites è divenuta stritolante: i dominatori hanno deciso che l’intera popolazione mondiale deve essere completamente asservita prima che sia troppo tardi. Forse è imminente un cambiamento, legato a fenomeni cosmici, che potrebbe svelare il vero volto dei dominatori, creature laide e spaventevoli. Per evitare ciò, il programma di dominazione ha subito un’accelerazione: H.A.A.R.P., scie chimiche, nanotecnologie, disinformazione… sono i mezzi per tentare di impedire un’evoluzione genetica e spirituale dell’umanità.

I popoli dovrebbero liberarsi dal giogo prima che sia instaurata una dittatura globale, sotto l’egida di Roma, ma la consapevolezza è assai limitata. Inoltre il tempo stringe ed i pochi giusti possono contare forse solo su qualche alleato debole, che rischia da un momento all’altro di soccombere di fronte agli attacchi micidiali sferrati da un coalizione terrestre-esterna potentissima ed implacabile. Questa alleanza, pur divisa al suo interno per la spartizione ed il dominio di Gaia, stringe sempre più la sua morsa.

Gli eventi mortali ed insidiosi si susseguono nell’indifferenza generale: il lucignolo si sta consumando. Se non capiremo l’inganno e se non agiremo per smascherare gli arconti, ci attende il Ragnarok.
Zret

4.3.07

Chi deve occuparsi di politica?


Carlo gambescia approfondisce i temi che stanno allontanando la politica dal popolo sovrano. Sarà un bene? Ai posteri un giudizio.
Perché gli uomini che "hanno già avuto tanto dalla vita" devono occuparsi di politica?
Oggi il Corriere della Sera riporta tra virgolette uno sfogo di Prodi: “Sono stanco di questo andazzo, non è scritto da nessuna parte che debba stare al governo a tutti i costi, a queste condizioni non intendo continuare a metterci la faccia: dopotutto, ho avuto tanto dalla vita, non sono disposto ad espormi ulteriormente ad uno stillicidio di questo genere”.
“Ho avuto tanto dalla vita”. Anche Berlusconi, non è nuovo a queste espressioni. Quante volte nei momenti di crisi (politica), ha dichiarato di considerare la carica di Presidente del Consiglio una specie di ciliegina sulla torta? Tante.
Si dirà, Berlusconi e Prodi usano una brillante carriera professionale per ricattare i politici di professione, e costringerli a collaborare, minacciando di piantare tutto e dunque di rovinarli, perché, come tutti i politici di professione, e su questo l’imprenditore e il professore sono d’accordo, i parlamentari "sarebbero uomini senza arte né parte”.
Può essere. Ma di fondo, crediamo, siano in gioco due fattori.
In primo luogo, personaggi come Prodi e Berlusconi, sono estranei alla politica, intesa come lotta delle idee (non delle ideologie) e ferrea volontà di trasformazione della realtà. Prodi è un tecnocrate, messo a capo di una maggioranza molto politicizzata (si pensi alla sinistra radicale), Berlusconi è un imprenditore, che si è inventato una maggioranza, altrettanto politicizzata (si pensi ad An e alla Lega), cavalcando, quella che di solito viene definita “antipolitica”, mentre invece non è che la futura forma della politica (più partecipativa e “aggressiva”). Ma questa è un’altra storia.
Inoltre sia per Prodi che per Berlusconi l’economia viene prima della politica. Di qui la loro tendenza a inquadrare ogni problema in termini di rapporto costi-benefici per il sistema economico.
In secondo luogo, sono uomini “arrivati”. Che hanno avuto tutto dalla vita, come appunto asseriscono. E non possono più avere quella “voglia di realizzare” che invece distingue coloro che non si sono ancora affermati. In questo senso mirano più al galleggiamento politico che alle grandi riforme: agli onori e non agli oneri. Il governo Berlusconi ha brillato per il suo sostanziale immobilismo. E quello Prodi è sulla buona strada. Quando parliamo di grandi riforme intendiamo riforme strutturali, e non pure e semplici “liberalizzazioni” che colpiscono le categorie più deboli e lasciano integri i grandi monopoli, come quelle di Bersani. In realtà le grandi riforme, si chiamano così, perché sono tese al miglioramento sistematico della “qualità della vita” degli italiani. Come, ad esempio, nei settori dell’istruzione, della salute, della politica estera, della sostenibilità ecologica. Parliamo, perciò, di iniziative forti che richiedono tempo, impegno e voglia di fare.
Ora, che volete importi a Prodi e Berlusconi, due uomini spenti, che “hanno avuto tutto dalla vita”, affrontare questioni la cui soluzione impone addirittura uno spreco di energia politica ? Nulla.
Il lato tragico, anzi tragicomico della questione, è che la stessa sinistra, quella più politicizzata, ha già organizzato, pare per domenica, una manifestazione in favore di Prodi: un tecnocrate che si considera “arrivato” professionalmente quanto Berlusconi. Insomma, anche la sinistra radicale vuole che il professore bolognese resti. E, quel che è peggio, si è accanita contro Franco Turigliatto e Fernando Rossi: i quali, a detta di Diliberto non avrebbero ancora compreso l’importanza di impedire il ritorno di Berlusconi al potere.
Per noi invece Turigliatto e Rossi hanno capito tutto. E da un pezzo.