10.1.09

I carnefici di regime spiegano...

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Angelo Panebianco sul Corriere di domenica: «Fra le molte asimmetrie del conflitto c’è anche quella rappresentata dal diverso valore attribuito dai contendenti alla vita umana. Per gli uomini di Hamas, come per Hezbollah in Libano, la vita (anche quella degli appartenenti al proprio popolo) vale talmente poco che essi non hanno alcun problema a usare i civili, compresi i bambini e le donne, come scudi umani. Per gli israeliani, le cose stanno differentemente. Cercano di limitare il più possibile le ingiurie alla popolazione civile...».

Quando menzogne così disonorevoli, sputi sulle vittime, vengono scritte sui giornali autorevoli da autorevoli commentatori, chi ha un po’ di esperienza storica sa che qualcosa è successo.

Gli vengono a mente i precedenti: per mezzo secolo, finchè il comunismo sovietico ebbe il favore della intellettualità ebraica, questo tipo di menzogne di sapore inequivocabile – aperte violazioni della verità evidente – erano pane quotidiano sui giornali non solo comunisti, ma progressisti e delle borghesie illuminate d’Europa.

Nel 1932-33, mentre Lazar Moiseyevich Kaganovich, numero 2 del Partito, procedeva alla requisione forzata dei grani in Ucraina, con fucilazioni dei contadini e provocando la morte per fame di 7 milioni di esseri umani, non era raro trovare articoli dove si gettava la colpa sui «kulaki», come «sabotatori» che «sottraevano il grano all’ammasso». Fior di scrittori tornavano dall’URSS magnificando, in articoli estasiati, la felicità e l’abbondanza che il sistema sovietico aveva regalato ai russi.

L’assoluta maggioranza degli intellettuali, non solo comunisti, insorgeva se qualche (rara) voce si alzava a rivelare che in URSS vigeva il Terrore poliziesco e milioni di esseri umani innocenti stavano scomparendo nel vasto arcipelago Gulag, gestito dal capo supremo della repressione, Genrich Yagoda, e da 500 mila ebrei comunisti che avevano trovato un ben pagato lavoro nella Ghepeù, poi NKVD, poi KGB: erano tutte «calunnie» contro lo «Stato dei lavoratori» che aveva «liberato il proletariato»; per adesso in un solo Paese, ma gli intellettuali aperti e progressisti auspicavano che il paradiso sovietico arrivasse al più presto a liberare anche noi.

Solo dopo la denuncia ufficiale di Kruscev lo stesso Corriere osò ammettere i «crimini di Stalin». I crimini di Lazar Moiseyevich Kaganovich non sono mai stati evocati, anche se è stato pari grado di Stalin, l’autore non solo dell’holodmor, del genocidio ucraino, ma della eradicazione del cristianesimo in Russia.

Solo il 26 settembre 1995 il New York Times ha rievocato il commissario Kaganovich mentre, in piedi fra le macerie della cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca, la principale delle chiese che fece distruggere, esclamava ebbro di stupro: «Abbiamo umiliato la Madre Russia; le abbiamo strappato la gonna».

Kaganovich, figlio di ciabattino ebreo, è morto nel 1991 nel suo letto, mai molestato, con la ricca pensione dell’alto funzionario sovietico.

Solo nel 2003 Simon Sebag Montefiore ha rievocato il sadidsmo massacratore di Yagoda, il capo supremo dei Gulag; e di come, dopo aver fatto trucidare Zinov’ev e Kamenev, avesse fatto recuperare i proiettili dal loro cranio per conservarli, puliti e incastonati su piedistalli, insieme alla sua ricca collezione di 3900 foto e 11 film pornografici, 165 pipe e portasigarette ornate di immagini oscene, falli di gomma e montagne di biancheria intima femminile.

Ma nel 1935, quando Yagoda era all’apice del potere, lo scrittore ebreo francese Romain Rolland , premio Nobel, scrisse un inno in lode ed esaltazione del mostro.

Ecco, qualcosa del genere succede adesso. Con Angelo Panebianco e suoi compari nei panni dei Rolland, degli Aragon e dei Sartre, o dei Moravia & C. La sola differenza è che chi diceva la verità allora, era bollato come reazionario e fascista, ridotto allo stato di non-persona; oggi, come anti-semita e criminalizzato. Ma il clima è lo stesso, lo stesso il «sapore» della difesa dello stesso potere, con la stessa impronta.

Solo così si spiega che un Panebianco possa scrivere frasi come: «Richard Falk, il relatore speciale sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi, rappresentante dell’Human Right Council alle Nazioni Unite, sta usando la sua carica e la sponsorizzazione dell’ONU per fare propaganda pro-Hamas e anti-israeliana». (ebreo americano, docente di diritto internazionale a Princeton, Falk è stato respinto alla frontiera da Israele perchè non fosse testimone della verità).

Questo tipo di frasi, per uno della mia età, suona molto «sovietico» . Vuol dire che simili frasi sono state, diciamo, autorizzate.

Quindi solo a futura memoria, non certo per convincere Panebianco (che è ben pagato per fare quello che fa) traduco qui alcune citazioni di capo sionisti famosi, che ci dicono quanto valore essi diano alla vita umana, non solo dei goym, ma anche dei loro ebrei.

David Ben Gurion, durante la guerra: «Se io sapessi che è possibile salvare tutti i figli (ebrei) di Germania trasferendoli in Inghilterra, e solo metà di loro trasferendoli nella terra di Israele, sceglierei la seconda possibilità; perchè di fronte a noi non abbiamo solo il numero di questi figli, ma il progetto storico del popolo di Israele» (Shabtai Teveth, «Ben Gurion», 1988,).

«Dobbiamo usare il terrore, l’assassinio, l’intimidazione, la confisca dei terreni e il taglio di tutti i servizi sociali per liberare la Galilea dalla sua popolazione araba» (David Ben-Gurion, maggio 1948, to the General Staff. Da «Ben-Gurion, A Biography», di y Michael Ben-Zohar, Delacorte, New York 1978).

«Dobbiamo espellere arabi e prendere i loro posti» –(David Ben Gurion, 1937, «Ben Gurion and the Palestine Arabs» Shabtai Teveth, Oxford University Press, 1985).

«Non esiste qualcosa come un popolo palestinese. Non è che siamo venuti, li abbiamo buttati fuori e abbiamo preso il loro paese. Essi non esistevano» (Golda Meir,dichiarazione al The Sunday Times, 15 giugno 1969).

«Come possiamo restituire I territor occupati? Non c’è nessuno a cui restituirli» ( Golda Meir, marzo, 1969).

«...Uscimmo fuori, e Ben Gurion ci accompagnò sulla porta. Allon ripetè la sua domanda: cosa si deve fare con la popolazione palestinese? Ben Gurion scosse la mano con un gesto che diceva: cacciarli fuori». (Yitzhak Rabin,è un passo censurato delle memorie di Rabin, rivelato dal New York Times, 23 ottobrer 1979)

«Saranno create, nel corso dei 10 o 20 anni prossimi, condizioni tali da attrarre la naturale e volontaria emigrazione dei rifugiati da Gaza e dalla Cisgiordania verso la Giordania. Per ottenere questo dobbiamo accordarci con re Hussein e non con Yasser Arafat». (Yitzhak Rabin, citato dn David Shipler sul New York Times, 04/04/1983)

«I palestinesi sono bestie con due zampe» (Menachem Begin,primo ministro di Israele 1977-83, davanti alla Knesset, citato da Amnon Kapeliouk, "Begin and the Beasts", New Statesman, June 25, 1982.)

«La partizione della Palestina è illegale. Non sarà mai riconosciuta... Gerusalenne fu e sarà per sempre la nostra capitale. Eretz Israel sarà restaurato per il popolo d’Israele; tutto e per sempre» (Menachem Begin, il giorno dopo il voto all’Onu per la partizione della Palestina).

«I palestinesi saranno schiacciati come cavallette... le teste spaccate contro le rocce e i muri» ( Yitzhak Shamir, primo ministro in carica, in un discorso ai «coloni» ebraici, New York Times 1 aprile, 1988).

«Israele doveva sfruttare la repressione delle dimostrazioni in Cina (nei giorni di Tienanmen, ndr.) quando l’attenzione del mondo era concentrata su quel paese, per procedere alle espulsioni di massa degli arabi dei territori (occupati)» (Benyamin Netanyahu, all’epoca vice-ministro degli esteri, già primo ministro, davanti agli studenti della t Bar Ilan University; citazione tratta dal giornale isrealiano Hotam, 24 novembre 1989).

«I palestinesi sono come coccodrilli, più carne gli dai e più ne vogliono» (Ehud Barak, primo ministro all’epoca, 28 agosto 2000. Riportato dal Jerusalem Post 30 agosto 2000).

«Se pensassimo che anzichè 200 morti palestinesi, 2 mila morti ponessero fine alla guerriglia in un colpo solo, useremmo molto più forza…» (Ehud Barak, primo ministro, citato dalla Associated Press, 16 novembre 2000).

«Mi sarei arruolato in una organizzazione terroristica»: (risposta di - Ehud Barak a Gideon Levy, il noto giornalista di Ha'aretz che gli aveva domandato cosa avrebbe fatto se fosse nato palestinese)

«C’è un abisso tra noi (ebrei) e i nostri nemici: non solo in capacità ma in moralità, cultura, decenza di vita e coscienza. Sono i nostri vicini, ma è come se non appartenessero al nostro continente, al nostro mondo, ma a una diversa galassia» (Moshe Katsav, presidente di Israele, al Jerusalem Post, 10 maggio 2001. Katsav ha poi dovuto dimettersi per molestie sessuali alle sue segretarie).

«Noi dichiariamo apertamente che gli arabi non hanno alcun diritto di abitare anche in un centimetro di Eretz Israel... Capiscono solo la forza. Noi useremo la forza senza limiti finchè i palestinesi non vengano strisciando a noi» (Rafael Eitan, capo dello stato maggiore di Tsahal, citato da Gad Becker in «Yedioth Ahronot», 13 aprile 1983).

«E’ dovere dei leader israeliani spiegare all’opinione pubblica, con chiarezza e coraggio, alcuni fatti che col tempo sono stati dimenticati. Il primo è: non c’è sionismo, colonizzazione o stato ebraico senza l’espulsione degli arabi e la confisca delle loro terre» (Ariel Sharon, allora ministro degli esteri, ad un discorso tenuto davanti ai militanti del partito di estrema destra Tsomet – Agence France Presse, 15 novembre 1998).

«Ciascuno deve darsi una mossa, correre e arraffare quante più alture possibile per espandere gli insediamenti (ebraici), perchè tutto ciò che prendiamo adesso rimarrà nostro... Tutto ciò che non arraffiamo andrà a loro» (Ariel Sharon, stesso discorso di cui sopra).

«Israele ha il diritto di processare altri, ma nessuno ha il diritto di mettere sotto processo il popolo ebraico e lo Stato di Israele» (Sharon, primo ministro, 25 marzo 2001, BBC Online).

Queste citazioni sono sufficienti a capire qual è lo scopo delle incursioni in corso, e qual è lo scopo di Israele in generale: la pulizia etnica e l’espulsione forzata, a forza di massacri, dei palestinesi dalla «terra santa».

Negli anni ’30, si sarebbero potute estrarre identiche affermazioni (a favore del «socialismo mondiale») dai discorsi di Kaganovic, di Yagoda, di Trotsky-Bronstein; ciò non avrebbe indotto i Panebianco dell’epoca a un ripensamento.

A quell’epoca, gli ebrei erano per il socialismo, e dunque la menzogna più plateale era autorizzata; oggi che sono per il sionismo armato, è autorizzata la menzogna sionista.

Quando Panebianco esalta il superiore «valore della vita» umana che gli ebrei nutrirebbero rispetto ad Hamas, non fa che riecheggiare i discorsi della propaganda ebraica.

Per esempio la replica del rabbino Levi Brackman a Sarah Roy, una docente di Harvard che sul Christian Science Monitor si è chiesta angosciata di fronte ai bombardamenti spietati: «Abbiamo ancora la tradizione etica ebraica? La promessa di santità, così centrale alla nostra esistenza, è oggi oltre la nostra capacità di perseguirla?».

Risponde rabbi Brackman (1): «Sarah Roy scrive che essere ebrei significa ‘testimoniare, sollevarsi davanti all’ingiustizia e rifiutare di tacere. Significa compassione, tolleranza, e soccorso. In assenza di questi imperativi, cessiamo di essere ebrei’. Ma una più profonda lettura dell’ebraismo mostra che sì, gli ebrei sono un popolo definito dalla loro capacità di compassione e tolleranza; ma ci sono momenti in cui ci è vietato di agire secondo questi sentimenti perchè tali azioni sarebbero distruttive. E’ importante sentire compassione per i residenti di Gaza, ma questo sentimento di preoccupazione e simpatia non deve esere confuso con la chiarezza etica e morale. Al contrario, decidere di non montare una difesa contro terroristi omicidi per compassione, non è solo immorale, è anti-ebraico, idiota e profondamente irresponsabile».

Bel discorso, no? Ma anche rabbi Beckman non è l’autore di questo civile ragionamento. Ecco l’originale:

«…Dobbiamo essere onesti, decenti, leali e membri camerateschi verso la nostra stirpe e nessun altro.... Non dobbiamo mai essere duri e spietati quando non è necessario, questo è chiaro. Noi tedeschi, che siamo il solo popolo del mondo che ha un atteggiamento morale verso gli animali, dobbiamo avere un atteggiamento morale anche verso questi animali umani. Ma è un delitto contro il nostro sangue preoccuparsi di loro, se questo causa problemi ai nostri figli e nipoti. Quando qualcuno viene da me e mi dice, “Non posso scavare la trincea anticarro usando donne e bambini, è inumano, li espone alla morte’, io rispondo: ‘Tu sei un assassino del tuo stesso sangue, perchè se la trincea anticarro non è scavata, moriranno soldati tedeschi, e sono figli di madri tedesche, sono il nostro sangue”».

Chi parla? Heinrich Himmler, nel celebre discorso di Posen (Poznan) agli alti ufficiali SS (SS-Gruppenfueher) pronunciato il 4 ottobre 1943 (2).

Si è detto che tutti coloro che in Germania non si opposero al Reich, e magari ne celebrarono le lodi, erano «volonterosi carnefici di Hitler».

Oggi, sul Corriere vantano la superiore moralità ebraica altrettanti volontari carnefici; poichè solo la deplorazione e l’indignazione pubblica, sui media, potrebbe frenare il massacro degli inermi, il pubblico applauso corale dei media occidentali, al contrario, incoreaggia nuove e peggiori imprese SS (soldati sionisti).

E poichè la lode corale va all’attuale ministro della difesa Ehud Barak, converrà ricordare che «Barak» non è il suo vero nome, è un nome di battaglia: significa «Fulmine». In tedesco, Blitz.

Maurizio Blondet

Riusciamo a vedere i vostri telegiornali e restiamo costernati per le bugie che sentiamo


Riusciamo a vedere i vostri telegiornali e restiamo


costernati per le bugie che sentiamo:


anche Cristine era una pericolosa terrorista?







“Cristine è una vittima ‘indiretta’ dei bombardamenti israeliani di quest’ultima settimana… è morta di paura, di stenti e di freddo; e come lei ci sono migliaia di minori, di bambini e adolescenti, che non resistono al continuo martellamento dei bombardamenti, ai boati tremendi che il resto del mondo si ostina a non sentire o a definire incidenti collaterali”.


Padre Manuel Musallam, parroco della Sacra Famiglia, unica chiesa cattolica della Striscia, parla alla MISNA di Cristine al-Turk, una ragazza di 16 anni morta ieri nella sua casa della città di Gaza nel quartiere di Rimal non perché colpita da un ordigno israeliano o da un crollo ma di stenti, di freddo, dopo giorni e giorni di terrore.




Nella Striscia, per divieto di Israele, non sono ufficialmente presenti operatori dell’informazione stranieri e padre Musallam è diventato, non solo per la MISNA, un punto di riferimento anche per notizie sulle condizioni dei circa 3000 cristiani presenti a Gaza.


Le sue descrizioni, testimonianze senza fronzoli, chiare e inconfutabili, raccontano anche le storie dei ‘piccoli’, degli innocenti, della gente di solito anonima e ignorata come Cristine, quello che le grandi cronache di guerra e i freddi bilanci non fanno sapere.




“Da giorni - continua - stanno colpendo Gaza dal mare con le loro navi da guerra, dall’alto con aerei ed elicotteri, da terra con carri armati e cannoni; vengono colpite case di civili con dentro persone”.


Gli abitanti di Gaza uccisi in una settimana, dopo le 750 incursioni aeree ammesse da Israele, sono, secondo fonti mediche locali, 436, almeno un quarto civili dice l’Onu, inclusi 75 bambini e 21 donne.



Cristine frequentava la scuola diretta da padre Musallam ed era una cristiana della piccola comunità greco-ortodossa.




“Avrebbe potuto anche essere musulmana - continua padre Musallam - ma che importanza ha?


Nelle stesse ore Iyad, Mohammed e Abdelsattar al-Astal – tre fratellini di età compresa tra i 7 e i 10 anni - sono stati uccisi da un missile vicino alla loro abitazione ad al-Qarara. I missili qui non guardano in faccia, non bussano a nessuna porta. Uccidono”.



E’ stanco, ma non vuole fermarsi padre Musallam, racconta di come la gente abbia saputo di proteste e manifestazioni a loro favore in diverse città e paesi del mondo, racconta della rabbia di dover sentire solo una verità.




“Riusciamo a vedere i vostri telegiornali – continua – e restiamo costernati per le bugie che sentiamo.

Quanto vale la vita di un palestinese?


Perché un razzo artigianale lanciato dalla resistenza palestinese - ordigni che dal 2002 ad oggi avranno causato al massimo una decina di vittime - fa più notizia di 432 persone morte in una settimana?




Israele dice che teme le minacce palestinesi e intanto ci butta in mare;

dice che teme i razzi e intanto ci bombarda;


dice che siamo terroristi e intanto uccide indiscriminatamente…:


la verità è il primo pilastro della pace;


la verità è che fino al 1948 Israele non esisteva, la Palestina tutta non era un deserto ma era abitata dai palestinesi;


la verità è che prima ci hanno cacciato e adesso tentano di cancellare quel che resta di un popolo mentre il resto del mondo gira gli occhi dall’altra parte.


La verità è il solo strumento che abbiamo per riaprire il processo di pace; perché noi ancora ci crediamo”.



Anche in memoria di Cristine che “aveva un sogno - ricorda padre Musallam - poter uscire da questa prigione dove è nata e viaggiare, vedere con i suoi occhi i posti di cui parlavamo in classe, vedere Gerusalemme, i luoghi dell’altra Palestina, la Cisgiordania, visitare i monumenti e le città che poteva vedere solo sui libri in foto; questo era il suo sogno, ma anche quello di migliaia di bambini che qui sono nati e morti”.

di Padre Manuel Musallam


In una terra rubata, vivere con i giorni contati





Il destino di Israele è profondamente impresso in ogni bomba sganciata sui civili palestinesi






La comunicazione con gli israeliani può lasciare stupefatti. Anche ora che l'aviazione israeliana sta assassinando alla luce del sole centinaia di civili, persone anziane, donne e bambini, gli israeliani riescono a convincersi di essere le vere vittime di questa violenta saga.

Chi conosce bene gli israeliani si rende conto che sono completamente disinformati sulle radici del conflitto che domina le loro vite. Spesso sono capaci di mettere insieme ragionamenti rocamboleschi che possono avere senso nelle argomentazioni israeliane ma fuori della loro realtà non ne hanno alcuno. Sono ragionamenti di questo tenore: “quei palestinesi, perché insistono a vivere sulla nostra terra (Israele), perché non possono semplicemente andare in Egitto, in Siria, in Libano o in qualsiasi altro paese arabo?” Un'altra perla di saggezza ebraica suona più o meno così: “di cosa si lamentano questi palestinesi? Gli abbiamo dato acqua, elettricità, istruzione e in cambio vogliono solo buttarci a mare”.

Per strano che possa sembrare, perfino gli israeliani della cosiddetta “sinistra” e della “sinistra” colta non riescono a capire chi sono i palestinesi, da dove vengono e cosa vogliono. Non riescono a capire che per i palestinesi la Palestina è loro casa. Incredibilmente gli israeliani non riescono a capire che Israele è stato costruito a scapito del popolo palestinese, su terra palestinese, sui villaggi, le città, i campi, i frutteti palestinesi. Gli israeliani non capiscono che i palestinesi di Gaza e dei campi profughi della regione sono gente espropriata da Beer Sheva, Yafo, Tel Kabir, Shekh Munis, Lod, Haifa, Gerusalemme e molti altri villaggi e città. Se vi chiedete perché mai gli israeliani non conoscano la loro storia, la risposta è semplice: non gli è mai stata raccontata. Le circostanze che hanno condotto al conflitto israelo-palestinese sono ben nascoste nella loro cultura. Le tracce della civiltà palestinese anteriori al 1948 sono state spazzate via. Non solo la Nakba, la pulizia etnica dei palestinesi autoctoni compiuta nel 1948, non fa parte della memoria collettiva israeliana, ma non è nemmeno menzionata o discussa in alcun contesto accademico o ufficiale israeliano.

Al centro di quasi tutte le città israeliane c'è un monumento che commemora il 1948 ed è costituito da una strana composizione quasi astratta di tubi. La scultura si chiama Davidka ed è in realtà un mortaio israeliano usato nel 1948. Va notato che la Davidka era un'arma estremamente inefficace. Aveva una portata non superiore ai 300 metri e i suoi proiettili causavano danni molto limitati. Anche se la Davidka arrecava scarsi danni, faceva però molto rumore. Secondo la storia ufficiale israeliana, gli arabi, cioè i palestinesi, quando sentivano da lontano i colpi della Davidka scappavano terrorizzati. Secondo la versione israeliana, gli ebrei, cioè i “nuovi israeliani”, facevano un paio di botti e gli “arabi codardi” scappavano come degli idioti. La versione ufficiale israeliana non fa parola dei molti premeditati massacri condotti dal neonato Esercito di Difesa israeliano e dalle unità paramilitari che lo precedevano. Non fa parola neanche delle leggi razziste che impedirono il ritorno dei palestinesi nelle loro case e nelle loro terre [1].

Il significato di tutto ciò è molto semplice. Gli israeliani non conoscono la causa palestinese. Dunque non possono che interpretare la lotta palestinese come una follia irrazionale e omicida. Nell'universo solipsistico giudeocentrico l'israeliano è una vittima innocente e il palestinese non è altro che un selvaggio assassino.

Questa grave situazione che impedisce all'israeliano di conoscere il suo passato distrugge la possibilità di una futura riconciliazione. Poiché l'israeliano è privo della minima comprensione del conflitto, non riesce a contemplare una soluzione che non comporti lo sterminio o l'epurazione del “nemico”. Tutto ciò che gli è dato di sapere è costituito dai fantasmatici resoconti della sofferenza ebraica. Il dolore palestinese gli è completamente estraneo. Il “diritto al ritorno” dei palestinesi suona alle sue orecchie come un'idea ridicola. Neanche gli “umanisti israeliani” più progressisti sono pronti a spartire la terra con i suoi abitanti autoctoni. Ciò non lascia ai palestinesi altra scelta che quella di liberarsi da soli a tutti i costi. È evidente che sul lato israeliano non c'è un interlocutore che sia disposto a dialogare per la pace.

Questa settimana abbiamo saputo un po' di più della capacità balistica dell'Hamas. Evidentemente l'Hamas finora ha scelto di contenere le proprie azioni contro Israele, rinunciando per molto tempo ad allargare il conflitto a tutto il sud di Israele. Mi viene da pensare che gli sporadici lanci di Qassam su Sderot e Ashkelon non fossero che un messaggio dei palestinesi assediati. Erano in primo luogo un messaggio alla terra rubata, ai propri campi e frutteti: “Nostra terra amata, non abbiamo dimenticato, siamo ancora qui a combattere per te. Prima o poi, ma più prima che poi, torneremo e ricominceremo da dove ci eravamo fermati”. Ma erano anche un chiaro messaggio agli israeliani: “Voi, laggiù, a Sderot, Beer Sheva, Ashkelon, Ashdod, Tel Aviv e Haifa, che lo capiate o no, vivete sulla nostra terra rubata. Fareste meglio a sloggiare perché avete i giorni contati, la nostra pazienza è agli sgoccioli. Noi, i palestinesi, non abbiamo più niente da perdere”.

Ammettiamolo: realisticamente la situazione di Israele è molto grave. Due anni fa furono i razzi dell'Hezbollah a colpire il nord del paese. Questa settimana l'Hamas ha dimostrato oltre ogni dubbio di essere in grado di servire al sud di Israele un cocktail di vendetta balistica. Sia nel caso dell'Hezbollah che in quello dell'Hamas, Israele è rimasto senza risposta militare. Potrà uccidere civili, certo, ma non riesce a fermare il lancio di razzi. L'Esercito di Difesa israeliano non ha gli strumenti per proteggere Israele, a meno che coprirlo con un tetto di cemento armato non sia una soluzione praticabile. In fin dei conti forse ci stanno pensando.

Ma questa non è la fine della storia. Anzi, ne è solo l'inizio. Ogni esperto di Medio Oriente sa che l'Hamas può prendere il controllo della Cisgiordania nel giro di poche ore. Di fatto l'Autorità palestinese e Fatah la controllano solo grazie alle forze israeliane. Una volta presa la Cisgiordania, la numerosa popolazione israeliana del centro sarà in balia di Hamas. Per chi non lo capisca, sarebbe la fine dell'Israele ebraico. Potrà accadere oggi, potrà accadere tra tre mesi o tra cinque anni, non è una questione di “se” ma di “quando”. Allora tutto Israele sarà sotto il tiro dell'Hamas e dell'Hezbollah, la società israeliana crollerà, la sua economia andrà in pezzi. Una villetta a schiera nel nord di Tel Aviv costerà come una baracca a Kiryat Shmone o Sderot. Quando un solo razzo colpirà Tel Aviv, il sogno sionista sarà finito.

Israeli Terror



I generali dell'Esercito israeliano lo sanno, i leader israeliani lo sanno. Ecco perché hanno trasformato la guerra contro i palestinesi in uno sterminio. Gli israeliani non intendono invadere Gaza. Laggiù non hanno perso niente. Vogliono solo porre fine alla Nakba. Sganciano bombe sui palestinesi per spazzarli via. Vogliono cancellare i palestinesi dalla regione. È ovvio che non funzionerà, i palestinesi resteranno. E non solo resteranno, ma il giorno del ritorno alla loro terra si avvicina quanto più gli israeliani mettono in pratica le loro tattiche letali.

Ed è esattamente qui che entra in gioco l'escapismo israeliano. Israele ha superato il “punto di non ritorno”. Il suo destino è profondamente impresso in ogni bomba sganciata sui civili palestinesi. Israele non può fare niente per salvarsi. Non c'è una strategia d'uscita. Non può ricorrere al negoziato perché né gli israeliani né la loro dirigenza comprendono le coordinate fondamentali del conflitto. Israele non ha il potere militare necessario a concludere la battaglia. Può riuscire a uccidere i dirigenti palestinesi, lo ha fatto per anni, ma la resistenza e la persistenza palestinese si stanno rafforzando, non indebolendo. Come predisse un generale dei servizi segreti militari israeliani già all'epoca della prima Intifada, “Per vincere i palestinesi devono semplicemente sopravvivere”. Stanno sopravvivendo, e stanno vincendo.

La dirigenza israeliana lo sa. Israele ha già tentato di tutto: ritiro unilaterale, assedio con privazione del cibo e adesso sterminio. Pensava di sfuggire al pericolo demografico riducendosi a un piccolo familiare ghetto ebraico. Niente ha funzionato. È la persistenza palestinese in forma di politica dell'Hamas a definire il futuro della regione.

Agli israeliani non resta che aggrapparsi alla cecità e all'escapismo per ignorare un destino infausto che è già diventato immanente. Nella loro caduta gli israeliani intoneranno i soliti inni vittimisti. Essendo imbevuti di una visione della realtà egocentrica e suprematista, si concentreranno completamente sul proprio dolore restando insensibili a quello che infliggono agli altri. Quando sganciano le loro bombe gli israeliani agiscono come un collettivo compatto formato da un solo uomo, ma non appena subiscono il minimo danno riescono a trasformarsi in monadi di vulnerabile innocenza. È questa discrepanza tra l'immagine che hanno di sé e il modo in cui noi li vediamo che trasforma l'israeliano in un mostruoso sterminatore. È questa discrepanza che impedisce agli israeliani di conoscere la loro storia, è questa discrepanza che impedisce loro di capire i molti ripetuti tentativi di distruggere il loro Stato. È questa discrepanza che impedisce agli israeliani di comprendere il significato della Shoah per evitare che si ripeta. È questa discrepanza che impedisce agli israeliani di far parte dell'umanità.

Ancora una volta gli ebrei si troveranno a errare verso un destino sconosciuto. In un certo senso, io stesso ho da tempo iniziato il mio viaggio.

di Gilad Atzmon - 04/01/2009

Fonte: tlaxcala

3.1.09

Le previsioni per il 2009

SHARON ASTYK esperta in previsioni si lancia in una catena di avvenimenti probabili. Molti sono catastrofici, ma speriamo che non si avverino...

Ma prima: come mi è andata l'anno passato? (Guardate, solo perché l'anno scorso ne ho imbroccata qualcuna giusta non vuol dire che dobbiate prendere per oro colato tutto quello che dico - Non credo mica che quello che mi esce dalle chiappe sia sempre la verità assoluta, e di certo non dovreste crederci nemmeno voi ;-))

Quest'anno l'ho chiamato "Hic Sunt Leones"
sostenendo che è la situazione in cui ci ritroviamo quando le carte geografiche che danno un senso al nostro mondo diventano inaffidabili. Credo di averci azzeccato abbastanza - credo che in molti non si rendano conto di quanto grande sia questa inaffidabilità, di quanto il funzionamento dell'economia, il nostro ecosistema, la nostra cultura siano completamente differenti da quello che ci è stato insegnato. Penso che tutti possiamo vedere come gli stessi esperti si sentano smarriti, non perché siano stupidi, ma solo perché non sono capaci di operare fuori dalla mappa. Quello che ci raccontiamo plasma la nostra percezione del mondo - e la narrazione comunemente accettata ha ostacolato la nostra comprensione delle cose.

Queste erano le mie previsioni per il 2008, le mie annotazioni e la loro verifica.

1. Quest'anno le parole "picco della produzione di petrolio" andranno alla grande, ma quest'uso massiccio non si accompagnerà a una profonda o articolata comprensione del loro significato. Nel senso che "picco di produzione" sarà usato a scopi politici, non necessariamente commendevoli.

-- Qui ci ho preso. Mentre il prezzo del greggio saliva, la CNN e il resto dei grossi media sembravano non averne mai abbastanza dei testimonial del PdP, tipo Simmons e Kunstler. Ma naturalmente per quei media era impossibile generare nel pubblico una comprensione abbastanza approfondita da fargli capire che il Picco di Produzione non è svanito nel nulla solo perché i prezzi sono crollati, anzi, che a lungo termine quel crollo è la probabile conferma che il picco l'abbiamo superato.

2. Entro la fine dell'anno avrà inizio l'accaparramento di vettovaglie e attrezzatura di sopravvivenza, in stile panico da fine millennio.

-- Nel settore equipaggiamento le cose non sono state drammatiche come alla vigilia del 2000, anche se gli ordini di stufe a legna e bici elettriche sono andati alle stelle. Ma la cosa notevole è stata la ressa per accaparrarsi le confezioni di riso dei discount, come è successo in primavera. Sfortunatamente temo che la cosa si ripeterà, anche se per altre ragioni. Anche qui ci ho preso.

3. I neocon non usciranno di scena tanto docilmente - dovremo aspettarci almeno una grossa sorpresa. Voglia D-o che non richieda la parola "nuculare" [2] o qualche suo derivato.

-- Ritengo che qui ci abbia azzeccato al 50% - credo che l'escalation con la Russia sia stata in effetti l'ultimo tentativo dei neocon di farsi passare come l'ancora di salvezza in un mondo ostile (con l'Alaska a fare da Terra di Nessuno), ma è andata meglio di quanto temessi.

4. Hillary non vincerà le elezioni del 2008. E ad onta delle email che continua a mandarmi un sacco di gente, preannunciandone il successo, nemmeno Ron Paul.

-- Azzeccato.

5. L'economia se la vedrà brutta. Eh, qui sono proprio in minoranza..

-- Azzeccato.

6. Molti di noi si accorgeranno di essere presi più sul serio del previsto. Certo sempre meno sul serio del divorzio di qualche celebrità, comunque.

-- È andata proprio così, almeno per me - non conosco le reazioni di John Michael Greer, Kunstler o Orlov [3], ma per me è stata sorprendente l'attenzione verso le mie predizioni, e la scarsità di gente che ha pensato che esagerassi, anche se magari lo facevo, stando ai rilevamenti di un'affiliata ABC. Ma ovviamente anche la serietà ha i suoi limiti - se è vero che sono in pochi a criticare l'ideologia dominante, è anche perché sono in pochi a occuparsene.

7. Vedremo rivolte per il cibo in ancora più paesi, e ancora più fame. L'idea dei "Victory Garden" [4] non sembrerà più così bizzarra.

-- Eh già! Quest'anno 31 nazioni hanno già avuto qualche forma di rivolta per il cibo, e la lista si allunga. E Michael Pollan ha scritto "Farmer in Chief" [Coltivatore in Capo] e l'idea dell'Orto della Casa Bianca imperversa in rete [5].

8. Si comincerà a riconsiderare la mattana del bio-diesel - ma troppo tardi per impedirla.

-- Come volevasi dimostrare... Naturalmente il crollo del prezzo del petrolio fa la sua parte, ma anche prima di questo abbiamo visto finalmente aprirsi un dibattito serio sul concetto di bio-carburante, in Europa almeno.

9. Vedremo almeno una immagine (o più) di gente disperata che abbandona la propria città, non avendo altra scelta. E molte immagini di sfratti.

-- Mi sono sbagliato solo nella prima parte di questa previsione, e nemmeno del tutto. La gente se ne andava da Houston, e frotte di persone si aggiravano a Memphis e Atlanta, in cerca di benzina... Ma non ho percepito una risonanza alla Katrina o da 11 settembre - i media erano distratti, e non c'è stato l'evento iconico che mi aspettavo. Per il resto, ci ho preso.

10. "La Fine del Mondo per Come lo Conosciamo" (ammettendo che arrivi) verrà rinviata abbastanza a lungo da permettere l'uscita del mio libro, in autunno, così da ammortizzare almeno il mio anticipo e non dare al mio editore un motivo per farmi causa ;-).

-- Non ne sono sicura, ma credo che a quest'ora abbiano già recuperato il mio anticipo (tutti i quattromila), e l'editore non è nemmeno fallito. Chissà, potrei addirittura guadagnarci qualcosa!

D'accordo, d'accordo, vogliamo parlare dell'anno che verrà?

Pur ritenendo che sia stato nel 2008 che ci si è accorti di più che qualcosa stava andando storto, devo mettermi di nuovo in minoranza (non proprio una forte, ma abbastanza) affermando che il 2009 sarà l'anno in cui diremo che la situazione è "al collasso". Non credo che sfangheremo l'anno senza che ci siano, in quasi tutto il mondo, radicali e strutturali cambiamenti nello stile di vita. Vorrei chiamarlo, citando "Il Secondo Avvento" di Yeats, "l'Anno di 'è giunta finalmente la sua ora'" [6].

Cosa intendo per collasso? Usiamo spesso questa parola, ma sul suo significato è facile equivocare. Intendo che è probabile che gli Stati Uniti vadano incontro a un collasso finanziario in stile Grande Depressione - disoccupazione dilagante, masse di persone che affrontano la fame, il freddo e la mancanza di assistenza medica, la disarticolazione di servizi che consideriamo ormai diritti acquisiti, e la percezione che il sistema non è più in grado di funzionare. Non sto dicendo che ci daremo da un giorno all'altro al cannibalismo - anzi, credo che ci accorgeremo di riuscire a cavarcela sorprendentemente bene in questa situazione di collasso, per quanto grave.

Negli scorsi anni sono stata piuttosto faceta nei miei pronostici - quest'anno mi è impossibile. Spero davvero di sbagliarmi. E spero che prenderete decisioni basate sul vostro giudizio, non sul mio. Queste sono previsioni, il risultato di analisi e intuizioni, e qualche volta la cosa mi riesce bene. Ma non sto dicendo che ogni parola che mi esce di bocca (o dalla tastiera) sia la verità, tanto meno che dobbiate prenderla come tale. Sono parole avute gratis in rete - pensate a quanto le avete pagate e valutatele di conseguenza.

1. Un certo grado di normalità reggerà fino a primavera inoltrata o all'inizio dell'estate, più che altro grazie alle speranze legate alla presidenza Obama. Ma entro la fine dell'estate 2009 l'insieme della perdita di posti di lavoro, credito e reddito, provocherà una crisi economica che farà sembrare rosea la situazione attuale. Con una prevista perdita fino a un milione di posti di lavoro al mese, arriveremo al punto in cui l'economia, per come la concepiamo adesso, non potrà più funzionare - avremo oggi l'equivalente delle file per il pane e dei broker che vendono mele per strada, [come nella Grande Depressione].

2. Molti dei progetti di investimento in infrastrutture che oggi vengono proposti non andranno mai in porto, e molti nemmeno vedranno un inizio, perché lo stato non sarà in grado di ottenere il credito per finanziarli. Il prezzo della globalizzazione sarà salato, in termini di ridotta disponibilità di fondi e risorse – e ad onta di quelli che credono che continueremo a costruire con un collasso in corso, questo non accadrà. Negli USA ci sarà qualche variazione sul tema New Deal Verde, altre nazioni continueranno a lavorare su infrastrutture ecosostenibili, ma molti di noi dovranno continuare a convivere con infrastrutture fatiscenti costruite per gente che ha a disposizione molta energia a basso costo. I progetti di maggior successo saranno programmi di piccole dimensioni, a livello locale, capaci di distribuire risorse il più diffusamente possibile.

Prego perché abbiamo l'intelligenza di soprassedere su altre questioni e occuparci della creazione di un qualche tipo di sistema sanitario, uno che ammortizzi la contingenza. In caso contrario siamo davvero fregati - l'ultimissima cosa che ci possiamo permettere è un'assistenza sanitaria come quella di oggi nel contesto di un'economia inoperante. Sfortunatamente prevedo che non affronteremo il problema, ma prego Dio di sbagliarmi.

3. Il 2009 sarà l'anno in cui i più appassionati attivisti del problema climatico (e non escludo me stessa) saranno costretti ad ammettere che dovrà prima gelare l'inferno (e l'inferno invece scotta sempre di più) perché riusciamo a prevenire l'aumento di 2º della temperatura del pianeta. Troppo pochi, troppo tardi, ecco. Questo non significa che dobbiamo mollare - la differenza tra emissioni incontrollate e controllate è comunque una questione di vita o di morte per milioni di persone - ma che, con orrore, rammarico e dolore, l'insieme di una nostra sempre maggiore consapevolezza dello stato attuale del clima e della situazione economica ci spingerà a operare a partire dalla constatazione che il mondo che lasceremo ai nostri figli sarà più degradato di quanto sperassimo, e la nostra eredità più povera e striminzita.

4. Il 2008 sarà probabilmente l'anno del Picco di Produzione a livello mondiale, ma per un po' non ce ne renderemo conto. La consapevolezza sarà una bastonata tra capo e collo, perché saremo già impantanati nelle spire della nostra crisi economica, energetica e climatica. La mancanza di investimenti nell'anno prossimo comporterà che, alla fine dei conti, sempre più petrolio resterà inestratto, il che per il clima sarà positivo, ma scomodo per il nostro obbiettivo di un'economia basata su energie rinnovabili. A lungo termine, in ogni caso, il Picco si avventerà a mordere le nostre chiappe collettive.

5. Il minore accesso a cibo, beni e servizi quest'anno diventerà una realtà. In parte questo si dovrà agli esercizi che chiuderanno - dovremo fare più strada per avere quello che ci serve. In parte sarà dovuto al fallimento dei fornitori, provocato dalla bancarotta delle banche commerciali. Inoltre potrebbero esserci disservizi nel campo di spedizioni e trasporti. Altre difficoltà deriveranno dall'aumento di domanda per generi di nicchia che, finora, vengono prodotti in piccola quantità per un numero ridotto di fanatici dell'ecosostenibile, ma che adesso si scopriranno di diffusa utilità. Potrebbe intervenire la deflazione - coltivatori che non potranno fare il raccolto perché il guadagno sarà inferiore alla spesa, e il collegamento tra chi possiede i beni e chi ne ha bisogno rischierebbe di spezzarsi del tutto. E nel frattempo, altri milioni di americani si troveranno a scegliere tra un paio di scarpe nuove e una visita medica.

6. Molti americani conosceranno un drastico taglio nei servizi sociali e negli ammortizzatori sociali. I fondi di molti stati e di molti programmi locali si volatilizzeranno e basta. La disoccupazione diventerà galoppante, e il governo federale dovrà venir meno ad alcuni dei suoi impegni anche solo per impedire agli affamati di riempire le strade. Nel frattempo i solchi non saranno arati, l'immondizia non verrà raccolta, e le classi saranno di 40 alunni e più (con asilo accorpato), con una scuola di tre o quattro giorni alla settimana.

7. Gli stati mancheranno alla grande i loro impegni finanziari nei confronti dei paesi poveri, e in tutto il mondo le persone che meno hanno arrecato danni all'ambiente moriranno di fame sempre di più. Non sarà un evento inevitabile, ma i paesi ricchi affermeranno di sì.

8. Finalmente affronteremo il problema della crisi degli alloggi, ma il valore decrescente degli immobili renderà l'iniziativa improduttiva. Ogni volta che abbasseremo i prezzi delle case al livello della situazione reale, questa ci sfuggirà da sotto i piedi. Molti di quelli che riceveranno aiuto finiranno per essere sfrattati di nuovo (come già succede) e altri semplicemente non vedranno alcuno scopo nel continuare a pagare il mutuo visto che, proprio per la loro situazione, sarebbero qualificati per un alleggerimento del mutuo stesso (come già succede). Alla resa dei conti, la questione probabilmente si risolverà da sola, magari attraverso in qualche tipo di piano redistributivo che riassegni a un mutuo minimo le abitazioni sequestrate, se i sequestri di case porteranno giù con sé abbastanza banche da rendere fattibile per la gente smettere di pagare mutui che sono di fatto inesigibili, o magari ci saranno disordini che porteranno la gente a a riappropriarsi delle case. Non propendo per l'una o l'altra soluzione, e non credo che la faccenda si concluderà col 2009.

9. Per la fine dell'anno, il dibattito se il collasso ci sia stato o stia per arrivare continuerà accanito, almeno per chi potrà permettersi di mantenersi collegato alla rete. Non ci sarà nessun accordo sulla definizione di collasso, moltissimi continueranno con la loro vita, solo con un tono minore, mentre altri sperimenteranno perdite davvero tragiche e apocalittiche. Alcuni accuseranno le vittime di essere pigre, stupide, superflue e inutili, non importa il loro numero. Altri si guarderanno attorno chiedendosi: "Come ho fatto a non capire che tutto questo era inevitabile?" Parecchi saranno costretti a rendersi conto che i poveri non sono un abisso di pigrizia ed egoismo, quando toccherà a loro diventare poveri. Comprenderemo la situazione in cui ci troviamo solo in retrospettiva, col senno di poi - i nostri figli avranno per quest'esperienza una definizione migliore della nostra, confusa dalla molteplicità di punti di vista. Per intanto, ogni volta che le cose peggioreranno i più fra noi penseranno che si sia toccato il fondo, che le cose si siano "normalizzate", finché diventerà difficile ricordare quali fossero le nostre antiche aspettative.

10. Tutto questo è terribile, ma la realtà è che non tutto cadrà a pezzi. Qui negli Stati Uniti la vita sarà dura e deprimente, ma ci saranno anche passi avanti. La gente tapperà i buchi e riprenderà a remare. Si scoprirà che per la gente comune trovare il modo di cavarsela è sempre stato più facile di quanto pensino gli opinionisti - è per questo che ha smesso di fare shopping nonostante tutti li implorassero di continuare a spendere. Andranno a vivere coi parenti, coltiveranno orti e lasceranno le loro case sovrastimate, o combatteranno per tenersele. Molti per questo soffriranno, e tanto, ma un numero sorprendente di persone si adeguerà a situazioni che, finora avrebbe considerato invivibili. Terranno duro, talvolta addirittura amando la loro nuova esistenza. Vedremo atti di grande eroismo e forza morale, così come atti di profondo egoismo e malvagità. Perderemo tantissimo - ma scopriremo anche che in molti di noi c'è di più di quello che pensavamo, che possediamo più spirito di sopportazione, più coraggio, più generosità di quanto credessimo.

SHARON ASTYK

Un Buon Anno in anticipo a tutti voi. Che in voi la saggezza superi i meriti, e che conosciate nel prossimo, in questi tempi difficili, solo il meglio.

Note del traduttore

[1] Si tratta di indipendenza alimentare, principalmente. L'autore si riferisce a un'espressione di Carla Emery (usata nel suo libro "Encyclopedia of Country Living") per definire il periodo in cui le famiglie si sostentavano con quello che producevano nei loro orti e campi. Attualmente i Giorni dell'Indipendenza sono stati rilanciati, nel contesto della crisi (anche ideologica) che stanno attraversando gli Stati Uniti, per diffondere sempre di più le idee di consumo locale, riduzione della produzione di rifiuti, "urban farming", e in genere quello che si potrebbe accostare al concetto di decrescita. Il sito da cui è tratto questo articolo ha anche promulgato una "Indipendence Days Challenge": i blogger che vi aderiscono fanno la cronaca dei risultati che ottengono (ad esempio nella produzione e nel trattamento del cibo) all'interno dell'ottica "indipendentistica".

[2] Celebre strafalcione di George W. Bush ("nukular" per "nuclear").

[3] Alri intellettuali che, come Sharon Astyk, dibattono di problemi energetici e produttivi nella prospettiva di un'incombente crisi di scarsità. Comedonchisciotte ha pubblicato diversi interventi di Kunstler.

[4] Si tratta della coltivazione in aree urbane e suburbane, diffusa dallo stato nei paesi anglosassoni nel corso delle Guerre Mondiali per sopperire alla carenza di generi alimentari nel periodo bellico. Quello dei Victory Garden è una sorta di emblema del movimento "frugalista" di cui l'autore fa parte.

[5] Quella di Michael Pollan [http://www.commondreams.org/view/2008/10/10-13] è una lettera aperta al neo-presidente Obama sulle tematiche cibo-energia. L'Orto della Casa Bianca è quello di Eleanor Roosevelt, a sostegno dell'iniziativa dei Liberty Garden (vedi nota precedente).

[6] Occorre sottolineare che la citazione di Yeats non ha nulla di pedante. La poesia, col suo tono apocalittico e profetico da catastrofe incombente, negli USA è popolarissima e citatissima.

Titolo originale: "SHARON ASTYK'S PREDICTIONS FOR 2009 "

31.12.08

Democrazia senza senso


La democrazia rappresentativa è in una crisi che alcuni paragonano a quella della
fine degli anni Venti. Rispetto ad allora, più che della credibilità del parlamentarismo, si dubita della rappresentabilità del popolo.
Cosiddetta governance e ascesa del populismo ci fanno interrogare sul senso di una parola sempre usata con sempre meno rigore: democrazia.
Sono ormai rari gli uomini di sinistra che, come Karl Marx, colgano nella
democrazia la trovata della borghesia per disarmare e ammansire il proletariato; e
sono ormai rari gli uomini di destra che - come i controrivoluzionari – vedano
nella democrazia la “legge del numero” e il “regno degli incompetenti” (ma senza
suggerire come sostituirla). Salvo eccezioni, a scontrarsi non sono più fautori e
avversari della democrazia, ma fautori che la pensano diversamente.
La democrazia non mira alla verità. E’ solo il regime che pone la legittimità
politica nel potere sovrano del popolo. Ciò ne implica uno. In senso politico un
popolo si definisce come una comunità di cittadini dotati politicamente delle
stesse capacità e legati da una regola comune all’interno di uno spazio pubblico.
Fondata sul popolo, la democrazia è anche il regime che fa partecipare ogni
cittadino alla vita pubblica, perché tutti possano occuparsi degli affari comuni. Di
più: essa non proclama solo la sovranità del popolo, ma vuol mettere il popolo al
potere, permettergli d’esercitarlo.
L’homo democraticus non è un individuo, ma un cittadino. La democrazia greca
fu subito democrazia di cittadini, cioè democrazia comunitaria, non società
d’individui, cioè di singoli. Individualismo e democrazia sono, da questo punto di
vista, in origine incompatibili. La democrazia esige uno spazio pubblico di
deliberazione e decisione, che è anche d’educazione comunitaria per l’uomo,
considerato naturalmente politico e sociale. Quando si dice che la democrazia
permette ai più di partecipare agli affari pubblici, va ricordato che, in ogni
società, i più includono una maggioranza d’individui delle classi popolari. Una
politica davvero democratica va considerata, se non quella che privilegia gli
interessi dei più poveri, un “correttivo al potere del denaro” (Costanzo Preve).
Ma più la democrazia viene imposta, più viene snaturata, tant’è vero che il
“popolo sovrano” per primo se n’allontana. In Francia, l’astensione e il votosanzione
sono mezzi per esprimere l’insoddisfazione sul funzionamento della democrazia. Dopo di che, il voto protestatario ha ceduto il posto al voto di disturbo, per bloccare il sistema. Il politologo Dominique Reynié la chiama “dissidenza elettorale”, vasto schieramento di scontenti e delusi. Alle presidenziali francesi del 2002, la dissidenza riuniva già il 51 per cento degli iscritti al voto, contro il 19,4 per cento nel 1974; essa ha raggiunto il 55,8 per cento alle legislative seguenti. Nelle presidenziali del 2007, la partecipazione è molto risalita, poi è crollata ancora. Alla dissidenza elettorale aderiscono soprattutto le classi popolari, dunque inesistenza civica e invisibilità elettorale sono tipiche degli ambienti ai quali la democrazia aveva dato il diritto “sovrano” di parlare. Sempre in Francia la convergenza al centro dei programmi dei maggiori partiti politici ha avuto per conseguenza ieri l’ascesa del nazionalpopulismo (fenomeno Le Pen), oggi il ritorno d’influenza dell’estrema sinistra antagonista. Mentre in Italia l’estrema sinistra antagonista è finita fuori dal Parlamento .
Ovunque s’assiste - simultaneamente e da anni, ma stavolta a partire dall’alto -
allo snaturamento della democrazia, di cui la Nuova Classe politico-mediatica,
per salvare i suoi privilegi, intende restringere al massino la portata. Jacques
Rancière ha parlato di “nuovo odio della democrazia”, riassumibilr così: “La sola
democrazia buona è quella che frena la catastrofe della civilità democratica”. Idea
dominante: non abusare della democrazia, salvo uscire dallo stato di cose presente.
Si snatura la democrazia facendo dimenticare che essa è una forma di regime politico, prima che una forma di società. Si snatura la democrazia presentando come intrinsecamente democratici tratti di società - come la ricerca d’una crescita illimitata di beni e merci - inerenti invece alla logica dell’economia capitalista:
“democratizzare” significherebbe produrre e vendere a ceti sempre più larghi
prodotti dal forte valore aggiunto. Si snatura la democrazia favorendo condizioni
per il caos istituzionalizzato, reso sacro come solo ordine possibile, come esito di
una necessità storica davanti alla quale ognuno, per “realismo” (“ Il buon senso
delle canaglie”, lo chiamava Bernanos), dovrebbe piegarsi… L’ideale della
governance, il modo di rendere non democratica la società democratica senza
affrontare la democrazia: senza sopprimerla formalmente, si lavora a un sistema
di governo senza popolo. Se del caso, contro.
Praticata ormai a ogni livello, la governance vuol dire subordinare la politica
all’economia, grazie alla “società civile” trasformata in puro mercato. Per dirla
con Guy Hermet, essa sembra “il modo d’arginare la sovranità popolare”. Privata
di contenuto, la democrazia diviene democrazia di mercato, spoliticizzata,
neutralizzata, affidata agli esperti, sottratta ai cittadini. La governance aspira a
una società mondiale unica, votata all’eternità – perché anche la temporalità
viene reificata. Spoliticizzare, neutralizzare la politica, significa che le poste in
gioco sarebbero in luoghi che non sono luoghi, eliminando ogni ostacolo al l’ambizione di non aver limiti della forma-capitale. Per Jean Baudrillard, “la
grande trovata del capitale è aver reso tutto feudo dell’economia”, subordinando
al capitalismo liberale tutta la società.
Questa non è una nuova teoria cospirazionista sui “padroni del mondo”. La
governance è solo conseguenza di un’evoluzione sistemica delle società che è in
corso da decenni. Criticare la governance non significa considerare il popolo
come se, “buono per natura”, venisse poi alienato e corrotto dai cattivi. Il popolo
non è senza difetti. Con Machiavelli e Spinoza si può però pensare che fondamentalmente i difetti del volgare non si distinguano da quelli dei principi –
e nella storia sono state soprattutto le élite a tradire. Come scrisse Simone Weil,
“il vero spirito del 1789 non è pensare che una cosa sia giusta perche voluta dal
popolo, ma pensare che talora la volontà del popolo, più che un’altra, sia conforme al giusto”.
Della Repubblica di Weimar si diceva che fosse una democrazia senza
democratici. Oggi siamo in società oligarchiche, senza democrazia, dove tutti si
dicono democratici.
di Alain de Benoist

28.12.08

Che cosa sta accadendo nel Golfo di Aden?

Pubblico la traduzione di uno stralcio tratto da un articolo che affronta il tema della militarizzazione e che riguarda il Golfo di Aden, fornendone un'interpretazione... aliena. Fantasie? Disinformazione? Arduo fornire una risposta, ma se il rapporto russo citato nel testo, ammesso che sia autentico, contiene qualche lacerto di verità, non siamo propensi ad appoggiare i governi guerrafondai dei terrestri. Ringrazio il gentilissimo Richard di A.G. per la segnalazione di una notizia da prendere con molta cautela.

Numerosi articoli pubblicati sia dai media mainstream sia dei mezzi di informazione non ufficiali riportano che le marine militari di molti paesi sono impegnate nel Golfo di Aden e nelle aree limitrofe per combattere i pirati somali. Mi pare assurdo che così tante unità siano necessarie per contrastare alcune imbarcazioni di bucanieri.

Secondo la fonte Sorcha Faal, il governo russo ricondurrebbe il vero motivo di questo dispiegamento ad un’offensiva da sferrare contro una base sottomarina aliena.

Le unità navali che sono già nella regione o che si stanno dirigendo nel Golfo di Aden includono "amici e nemici" come Stati Uniti, Iran, Cina, Russia, Germania, Svizzera, Unione europea ed India. Dietro la versione di copertura che si riferisce alla protezione delle navi mercantili dagli arrembaggi dei pirati, si nasconde un'altra verità.

Quello che ha attratto la nostra attenzione, per dirla bruscamente, è un rapporto combinato del Ministero dell'Interno russo e del F.S.B., che circola nel Kremlino. La nota afferma che le marine di molti stati stanno combattendo i "grandi fondatori" dell'antico Giardino dell'Eden per evitare che il nostro pianeta venga nuovamente colonizzato da una razza aliena conosciuta come gli Anunnaki, che gli antichi testi indicano come i Vigilanti della Terra.

Forse le ostilità conobbero un altro episodio cruciale, quando i Vigilanti sabotarono i cavi per le telecomunicazioni posati sul fondale marino sicché vaste aree del Medio Oriente e del subcontinente indiano rimasero isolate.

Il rapporto russo attribuisce il disastroso tsunami del 26 dicembre 2004 ad un attacco nucleare portato dal sommergibile U.S.S. San Francisco, contro un'installazione extraterrestre sottomarina ubicata nell'Oceano Indiano. Lo tsunami, con onde alte fino a cento metri, ed il terremoto causarono la morte di più di 250.000 persone ed un lieve spostamento dell'asse terrestre.

by Zret

24.12.08

Viaggio nell’Italia dei Disvalori. Mazzette, brogli, appalti truffa


«Al giorno d’oggi la gente conosce il prezzo di tutto e il valore di niente». Che c’azzecca una delle più celebri citazioni di Oscar Wilde con quello che leggerete fra qualche riga? C’azzecca, fidatevi. Pensate che, prima o poi, sarà costretto anche lo stesso Antonio Di Pietro, vessillifero dei Valori d’Italia o dell’Italia dei Valori a riconoscere che quella massima c’azzecca. Perché quei suoi Valori conclamati e sbandierati, giorno dopo giorno stanno diventando sempre più Disvalori. Colpa di scivoloni, scandali e incidenti di percorso che hanno coinvolto soldati e militanti di quello che, così annunciò Di Pietro a suo tempo, sarebbe stato il partito più pulito del Paese. Peccato che nel partito della trasparenza il primo a incespicare più volte sia stato proprio il leader maximo.
Era il febbraio di quest’anno quando Di Pietro attirò l’attenzione della magistratura di Roma per appropriazione indebita, falso in atto pubblico e truffa aggravata ai danni dello Stato finalizzata al conseguimento dell'erogazione di fondi pubblici. Storie di presunte irregolarità commesse dall’ex pm nella gestione delle finanze nell'Italia dei Valori riguardo alle spese elettorali, alle movimentazioni dei conti del suo partito: in tutto, oltre 20 milioni di euro. Più l'antipatica questione di un assegno «non trasferibile» da 50mila euro destinato al partito ma ugualmente incassato da Di Pietro. Fatto sta che la Procura decise di rinviare a giudizio anche la deputata-tesoriera dell’Idv, Silvana Mura. Una bolla di sapone, qualcuno obietterà. Dissoltasi nell’aria all’arrivo dei prima caldi primaverili.
Eppure Di Pietro ci rimane male quando qualcuno, metti il Giornale, mette in piazza alcune sue debolezze. Per esempio il vizietto di giocare a Monopoli comprando case con soldi che non si capisce da quale parte e come arrivino. Tra il 2002 e il 2008 ha speso quattro milioni di euro per collezionare, assieme alla moglie Susanna Mazzoleni, immobili un po’ ovunque da Montenero, a Bergamo, a Milano, da Roma a Bruxelles. Lui non appare mai, fa tutto l’amministratore della sua società immobiliare An.to.cri (acronimo di Anna, Toto, Cristiano, i figli di Di Pietro) compagno di Silvana Mura. Siamo alle solite. Confusione di ruoli e ambiguità fra movimento e associazione con locazioni degli immobili di proprietà di Di Pietro al partito del medesimo. «Da noi c’è posto solo per candidati che oltre al certificato elettorale portano con sé anche il certificato penale», amava ripetere. Evidentemente si deve essere distratto in più d’una occasione se è vero come è vero che Paride Martella, ex presidente della Provincia di Latina, esponente Idv è stato arrestato nell’ambito dell’inchiesta su appalti truccati della Acqua latina, un giro da 15 milioni di euro. In Liguria due suoi consiglieri su tre hanno avuto problemi giudiziari. Gustavo Garifo, capogruppo provinciale dell’Idv di Genova, è stato ammanettato in ottobre per aver lucrato sugli incassi delle multe. Andrea Proto, consigliere comunale, reo confesso, ha incassato una condanna a un anno e nove mesi per aver raccolto la firma di un morto. Giuliana Carlino, consigliere comunale Idv, indagata per aver falsificato migliaia di firme.
Per corruzione è finito in cella il segretario Idv di Santa Maria Capua Vetere, Gaetano Vatiero. Mentre Mario Buscaino, già sindaco di Trapani, nel Luglio del 1998 è stato accusato di concorso in associazione mafiosa per voto di scambio. Maurizio Feraudo, consigliere regionale calabrese, indagato per concussione (per anni avrebbe preteso un tot sullo stipendio da un suo autista) e truffa. A Foggia l’ex assessore ai Lavori pubblici e coordinatore provinciale del partito, Orazio Schiavone, è stato condannato a un mese e dieci giorni per esercizio abusivo della professione. Rudy D’Amico, un altro ex assessore dell’Idv, questa volta a Pescara, e rimasto coinvolto nell’inchiesta «Green Connection» sulla gestione del verde pubblico. E ancora per Aldo Michele Radice, portavoce Idv in Basilicata, consigliere del ministro Di Pietro il Pm ha chiesto 9 mesi per la raccomandazione di un manager sanitario.
Sorridete: perché c’è anche chi l’auto blu, pur non avendola assegnata, se la compra e utilizza lampeggiante e paletta in dotazione al Consiglio regionale. È Ciro Campana, fermato nei giorni scorsi a Napoli dai carabinieri. Campana non è un consigliere, ma un collaboratore esterno del capogruppo Idv, Cosimo Silvestro. Che abbia ancora una volta ragione Di Pietro? «Quando crescono le responsabilità, e la classe dirigente la devi trovare sul territorio - si difende - lo sa anche Gesù Cristo che ogni dodici c’è un Giuda».
di Gabriele Villa