3.7.10

Noam Chomsky: «Stati falliti. Abuso di potere e assalto alla democrazia in America»


Di Noam Chomsky mi erano noti i testi di linguistica e di filosofia del linguaggio. Testi piuttosto difficili su una matera – la natura del linguaggio umano – già di per sé difficile. Ma forse è questa la migliore preparazione per poi passare ad indagare la natura del potere e l’essenza degli stati. Molto ci sarebbe da riflettere su questo libro di Chomsky, che ci ha invogliato a comprare tutti i suoi libri che abbiamo trovato in commercio e di cui parleremo singolarmente, salvo poi ritornarci sopra tutte le volte che ne avremo il tempo o ci parrà il caso. Tra questi annunciamo “La fabbrica del consenso”, “Capire il potere”, “Sulla nostra pelle”. Il Chomsky analisti o filosopo del potere mi appare non meno interessente e forse più comprensibile del Chomsky linguista, la cui lettura è peraltro assai remoto nel tempo.

Non mi sono note e poco adesso mi interessano le fonti giuridiche a cui Chomsky ha attinto, peraltro da lui dichiarate. Ma molto mi fa riflettere uno dei concetti centrali del libro: il principio di autoesenzione dal rispetto delle norme internazionali per un verso e per l’altro la fine dello stato di diritto e di ogni democrazia sostanziale all’interno. Parliamo degli Stati Uniti d’America, spesso e acriticamente indicati come la terra della democrazia e della libertà. Intanto, una terra ed un popolo che si è concimato sul genocidio della popolazione autoctona. Non pare un caso che si pensa di poter adottare lo stesso modello in Medio Oriente ed in particolare in Palestina: i palestinesi come gli indiani d’America, i pellerossa, stesso destino, stesso silenzio, stesso occultamento di cadaveri e di genocidio, o addirittura costruzione di un mito ed un’epopea – di cui tutti i popoli hanno bisogno – su un vero e proprio genocidio, spudoratamente propagandato da una filmistica di cui siamo stati tutti vittime. Abbiamo giocato tutti da bambini simulando lotte contro i pellerossa, dipinti come i selvaggi.

Le analisi che si trovano nel testo di Chomsky non sono meramente descrittive, ma aiutano a comprende il fenomeno nel suo farsi che è a noi ancora terribilmente attuale. Il libro è stato scritto ed è uscito in italiano nel 2007, ben prima dell’assalto alla Flotilla. Ma fa ben comprendere ciò che successo poche settimane fa ed i cui effetti non sono ancora cessati. Il caldo mentre scrivo è soffocante e tocca smettere, ma non prima di aver abbozzato un concetto che non mi stancherò di sviluppare ad ogni occasione che si presenterà. Se gli USA (e Israele) pensano di potersi sottrarre a qualsiasi rispetto di quelle norme che si sono sviluppate nel tempo e che vengono chiamate con il nome di diritto internazionale. A proposito di questa disciplina che ho studiato all’università ed in vari master ricordo di un docente che parlando di un libro appena uscito con il titolo “Il diritto internazionale e il principio di effettività” osserva che doveva esservi stato un errore di stampa. Il titolo corretto avrebbe dovuto essere: “Il diritto internazionale ossia il principio di effettività”. Voleva significare che non essere nessuna coazione al rispetto delle norme internazione, almeno nella stesso forma in cui può avvenire nel diritto interno.

Ma allora perché si è sviluppato un diritto internazionale e gli stati per il passato o per il presente a volte lo rispettano, altre no ovvero cercano tutti i modi di eluderlo? La spiegazione che io mi sono data è riconducibile ad Hobbes ed alla sua concezione della pluralità degli Stati come soggetti che vivono ed operano nello stato di natura, dove ognuno tenta di sopraffare l’altro. Vale anche nella relazioni internazionali la prima legge di natura che nella sua prima parte dice che occorre cercare con tutti i mezzi possibili la pace, perché solo questa ci dà la vera sicurezza. Gli stati vivono nel timore reciproco e sanno che conviene loro rispettare i patti contratti e le norme consolidate.

Per venire rapidamente a noi diciamo che questo modello salta quando esiste una sola superpotenza che non deve temere nessuno che abbia eguale potenza e per questo può imporre il suo arbitrio ed il suo capriccio. È ciò che succede nella nostra epoca con gli USa ed il suo pendant Israele, il cui esercito pretende addirittura di essere “il più morale del mondo”, anzi della Storia. Perché sia ristabilito un regime di norme rispettate da tutti è necessario che il mondo torni ad essere multipolare, non unipolare. L’utopia dello Stato Unico Mondiale si sta rivelando per quello che è: un regime di arbitrio e di tirannia, di genocidio e schiavitù e con la perversione del linguaggio (quanto è utile in questi casi una formazione linguistica e filologica come quella di Chomsky) anche un regime della Menzogna. Già Hobbes parlava del regno delle tenebre per indicare il sopravvento della menzogna.
di Antonio Caracciolo

2.7.10

Gli USA, lo spettro del default






Lo so, lo so. L'avrò scritto venti volte che, mentre ci trastulliamo con un .5 % in più o meno di deficit (che pure vuol dire lacrime e sangue per essenziali servizi, indispensabili presidi e storiche fondazioni, non essendo vero che tutto quel che DOVRA' essere tagliato sia superfluo e/o inutile) mentre ci trastulliamo con queste cose, passando poi all'ultimo grido di tinture canine o al calamaro gigante spiaggiato in Sicilia, ci sono argomenti di un certo qual interesse su cui discutere.

Vediamo di fare un piccolo riassunto:

L'economia mondiale è finita.

L'economia USA sta risorgendo dalle sue ceneri non come una fenice ma come uno Zombi.

Il thriller chiamato La Grande Crisi è solo alla fine del primo tempo.



L'avrò scritto ma FORSE, nel momento in cui continuano a dirci che tutto sta andando sempre meglio, pare opportuno ricordarlo. Benchè si possano scrivere decine di post, interi libri, oceani di inchiostro, multiversi di byte, alla fine le cose stanno cosi:

Gli USA sono diretti verso il default. Nel processo si trascineranno dietro il sistema finanziario mondiale.

Esagerazioni?

Solo per coloro i quali ritengono che l'espressione "a lungo termine" vada intesa per qualunque periodo superiore ad un anno.

Non sarò un pochino esagerato?

Beh, sinceramente, non credo.

Se gli USA vanno in default, credo ne converrete, si può ritenere che l'economia mondiale o per meglio dire la parte monetaria e finanziaria della stessa, sia finita, a meno di una lucida pianificazione del doloroso passaggio.

Beh, questo, il default prossimo venturo degli USA, scusate la semplicità/rozzezza, lo ritengo un fatto certo.

Il deficit americano viaggia infatti ad un ritmo MEDIO superiore al 10% del PIL già da tre anni.

Il debito pubblico americano cresce del 20% all'anno, DA BEN 5 ANNI.

Dall'Aprile 2005 ad oggi, infatti è raddoppiato.

Entro l'anno, o al massimo entro i primi mesi del 2011, stando così le cose, il debito pubblico americano, che ha da poco superato i 13 k-miliardi, sfonderà i 14 trilioni di dollari ( 14.000 miliardi di dollari), una cifra circa pari al 100% del PIL.

Entro il 2011 ci avrà raggiunto, intorno al 120%, ed entro il 2015 avrà raggiunto il Giappone.

Non vi basta? allora guardiamo il combinato disposto degli interessi federali, statali, delle varie istituzioni E di quelli privati ( mutui, prestiti, etc). Sono quasi 2000 miliardi di dollari. Ovvero il 14% del Prodotto interno lordo. Un valore enorme. In pratica il debito complessivo pubblico e privato è già oltre il 340% del PIL.

E questo, badate bene, solo perchè la FED sta nuovamente regalando denaro alle banche (ad un tasso se ben ricordo, intorno allo 0.5% all'anno) e quindi tiene artificialmente bassissimi gli interessi sui debiti privati. Al primo stormir di foglie andrà MOLTO peggio.

Se volete farvi venire le vertigini Ecco un link che dà il quadro generale delle principali economie.

Il punto è, ancora una volta, che questo trend è IMPOSSIBILE DA FRENARE, figuriamoci invertire, per il banal motivo che non è nemmeno lontanamente concepibile, nei prossimi anni, una crescita a due cifre dell'economia USA, crescita che del resto permetterebbe a stento di mantenere il livello di indebitamento/deficit, comunque elevatissimo, anche tenendo conto che quello del settore privato è ancora peggio di quello pubblico e quindi gli utili da tassare/tosare per raddrizzare il budget federale sono e saranno ben poca cosa.

Ma vi è di peggio. Negli USA, ve lo ricorderete, la previdenza è quasi interamente privata ( Obama ha cominciato ad invertire la rotta, per garantire un minimo di assistenza anche ai meno abbienti ma la cosa, purtroppo pesa ancora di più sulle casse dello stato). Anche questa previdenza presenta costi in aumento verticale e va a drenare risorse che quindi non possono essere utilizzate per ripianare i conti dello stato.

Insomma: gli USA, non solo come Stato ma come nazione (noi tutti, in ultima analisi) hanno fatto una enorme scommessa, pagabile in un remoto futuro, su una crescita sufficiente a pagare la scommessa fatta. E l'hanno persa.

Purtroppo il remoto futuro è arrivato e, avendo perso la scommessa, non vi sono i soldi per pagarla. Il denaro virtuale, necessario ad onorare le poste, tale resta e resterà.

Questo sono, quindi, i cosidetti debiti sovrani: delle scommesse perse.

Finchè si trattava di un piccolo paese, come la Grecia, si è trovato il sistema ( o la quadra, come si usa dire in questi giorni) trasferendo la scommessa su spalle più solide.

Ma in questo caso spalle più solide non ve ne sono ed anzi, già ora, la scommessa continua ad essere onorata, in piccole tranches e con crescente difficoltà, da chi ha appena cominciato a giocare. I paesi emergenti, naturalmente, la Cina, l'India, la Corea...

Alla fin fine, se ci pensate è un immane schema Ponzi, su scala planetaria.

In questo schema, come del resto nei suoi esempi più classici, oltre un certo livello NESSUNO va a vedere davvero cosa c'e' dietro le carte e i numeri, perchè farlo vorrebbe dire contabilizzare perdite enormi, portare al fallimento il proprio istituto e fo***re per benino la propria luminosa carriera da top manager.

Purtuttavia, prima o poi, qualche cosa nel complesso meccanismo cede e i sistemi di sicurezza non riescono a frenare la reazione a catena. BUM.

Quando?

Come?

Beh, presto, anche solo per la cruda potenza dei numeri.

Gli allarmi stanno già suonando, peraltro, in un forzoso disinteresse quasi totale.

Alla fine, quindi, il pianetino in arrivo nel 2012 (forse prima) non sarà qualcosa di palpabile, di reale, ma, come in fondo è giusto, in questo multiverso virtuale, un pianetino virtuale che craterizzerà gli altrettanto immaginari sistemi cartacei e risparmi mondiali.

Distrutta cosi la credibilità delle banche centrali, i risparmi e probabilmente le monete, resterà da trovare, a polverone depositato, un bene posto a garanzia delle nuove monete che risorgeranno, inesorabilmente, dopo il patacrac.

Continuo a pensare che vi siano due alternative possibili: una moneta universale basata su una qualche unità di misura di energia (il kWh potrebbe andare bene) o una moneta il cui valore sarà garantito da beni fisici: immobili, terreni, infrastrutture o intellettuali: brevetti, ad esempio. Come ben sanno i vecchi lettori ho una vecchia fissa in merito ed è l'esempio dato dalle monete coloniali pre unioniste.

Dopo tanti sconquassi è altamente probabile che, per un bel pezzo nessuno vorrà sentire parlare di monete e valute virtuali. Il denaro verrà messo in circolo da coloro che lo chiederanno DIRETTAMENTE in prestito alle banche centrali, mettendo a garanzia beni reali. Del resto il sistema bancario, premessa necessario per la creazione di quelle economie cartacee, avrà virtualmente cessato di esistere.

Certo: vi sarà una stretta creditizia ENORME rispetto alla situazione attuale.

E' una logica conseguenza della fine dell'illusione della crescita infinita.

In un mondo dove più che la crescita sarà l'evoluzione a dominare, questo non dovrebbe costituire un problema, anzi.

Credo che i nostri figli e/o nipoti non riusciranno mai a comprendere come potessimo credere che il gioco sarebbe continuato sine die e come non ci si sia accorti in tempo del disastro in arrivo. Eppure, la Storia insegna che tutto ha una semplice, sempiterna, disarmante spiegazione che consiste nella sostanziale incapacità reale di scontare correttamente gli effetti a lungo termine.

Il punto di vista unanime e prevalente, quando qualcuno prova a farlo, è stato ben espresso da una memorabile frase, ovviamente di Keynes: "nel lungo termine saremo tutti morti".

Il che è verissimo, ovviamente.

Si potrebbe, magari, discutere sul come arrivare a quel pochissimo atteso traguardo.

Ecco che, di nuovo, Keynes ci suggerisce come:

  • The day is not far off when the economic problem will take the back seat where it belongs, and the arena of the heart and the head will be occupied or reoccupied, by our real problems — the problems of life and of human relations, of creation and behaviour and religion. (First Annual Report of the Arts Council (1945-1946))

Non è lontano il giorno in cui il problema economico prenderà il posto che gli compete, ovvero il sedile posteriore e l'arena del cuore e la testa saranno occupate o ri-occupate dai nostri reali problemi, i problemi della vita e delle relazioni umane, della creazione e del comportamento e della religione....

Ecco.

di Pietro Cambi

1.7.10

Un attacco imminente contro il Pakistan



Perché gridare “al lupo” con lo Stato Maggiore israeliano?

Si fa molto caso al fatto che, già da qualche giorno, uno squadra americana ha attraversato il Canale di Suez in direzione del Mar Rosso. La portaerei Truman e una dozzina di navi di scorta, fra cui un lancia missili israeliano, si dirigono verso il Golfo Persico, a quanto scrive lo stesso giornale Haaretz, con notizie di prima mano in provenienza dallo Stato Maggiore israeliano (1).

Nel frattempo ufficiali dell’armata israeliana, sempre loro, informavano il Sunday Times di Londra, dell’accordo con l’Arabia Saudita, per un uso offensivo del suo spazio aereo, in previsione di un attacco israeliano imminente contro i centri di ricerca nucleare iraniani. Di fronte ad un’immediata smentita formale ed ufficiale dell’Arabia Saudita, i venditori di voci si sono fatti suggerire come via alternativa sia la Giordania, che l’Irak o il Kuwait, sotto occupazione americana (2), che sarebbero il nuovo corridoio dell’attacco imminente contro l’Iran. Bombe da varie tonnellate di peso, le anti-bunkers Blu-117, sarebbero inviate verso la base americana di Diego Garcia e verso i depositi di sicurezza americani in Israele. Gli aerei americani B-2, capaci di bucare le difese anti-aeree iraniane, sarebbero pronti a decollare per attaccare l’Iran, senza contare qualche sottomarino nucleare Dolphin, fornito dalla Germania ad Israele, che sarebbe in immersione nel Golfo Persico.

Come se questo scenario apocalittico non fosse sufficiente, il giornale il Manifesto, fornisce un’informazione molto precisa, anch’essa proveniente dallo Stato Maggiore israeliano: truppe aerotrasportate e marines farebbero parte della squadra che ha attraversato il canale di Suez. Il misterioso ufficiale dello Stato Maggiore israeliano ha rifiutato, tuttavia, di svelare la data e l’ora precise dell’attacco contro le centrali nucleari iraniane di Bushehr. Ci si meraviglia di una tale mancanza di cortesia dalla parte di un ufficiale tanto prolisso (3)

Per Michel Chossudovsky l’ultima risoluzione del consiglio di sicurezza dell’ONU, che autorizza delle sanzioni aggravate contro l’Iran, non sarebbe niente altro che un semaforo verde dell’ONU, ad un attacco preventivo americano-israeliano contro l’Iran. Il signor Chossudovsky conclude che “La risoluzione del Consiglio di sicurezza trasforma l’Iran in una facile preda”. (4)

Nessuna risoluzione dell’ONU può trasformare l’Iran in una facile preda per l’imperialismo americano. Gli Stati Uniti lo hanno già provato al momento dell’invasione dell’Irak, fanno a meno delle risoluzioni dell’ONU, quando decidono d’aggredire e d’invadere uno Stato libero ed indipendente. Gli Stati Uniti non hanno assolutamente necessità degli aerei F-16 di cui hanno fornito gli israeliani, come anche della nave porta missili e ancora meno del sottomarino nucleare israeliano, di seconda mano, per effettuare una tale aggressione, contro i centri di ricerca nucleare iraniani. Al momento dell’attacco contro l’Afganistan, come anche al momento dell’invasione dell’Irak , ufficialmente, le truppe israeliane erano state tenute lontano dal teatro delle operazioni. Se aerei B-2 sono stati localizzati a Diego Garcia, possono effettuare il lavoro di distruzione, ed è inutile implicarci gli aerei americani pilotati dagli israeliani, è totalmente ridicolo portare una portaerei americana nel Golfo Persico per renderla preda della contro-offensiva iraniana e per eventualmente bloccarla, con tutta la sua squadra in questo piccolo mare interno, nel caso della chiusura dello stretto di Ormuz.

Infine, gli Stati Uniti, si sarebbero ridotti a prospettare l’utilizzo dell’arma atomica contro l’Iran? No, sicuramente non ancora. Ultimo argomento, dopo il crollo irakeno dal quale gli americani non sono ancora usciti, ma dal quale sperano di uscire prossimamente, grazie alla collaborazione dell’Iran sciita, e del suo appello alla calma, rivolto ai resistenti sciiti irakeni, è assolutamente escluso che gli Stati Uniti possano prospettarsi uno sbarco e un’invasione terrestre dell’Iran. Siamo seri, un milione di soldati irakeni sono stati tenuti sotto scacco dall’Iran khoomeinista. Quanti soldati americani sarebbero necessari per occupare il territorio iraniano?

Senza contare che le truppe della NATO affondano sempre più nella palude afgana, dove sono poste sotto scacco dalla resistenza afgana, non beneficiante affatto del sostegno iraniano, ma solamente del sostegno dei loro fratelli d’armi del Pakistan, dove gli attacchi aerei americani fanno numerose vittime civili, senza peraltro, marcare alcun successo militare. Immaginate qualche istante l’avvenire delle truppe della NATO in questa parte del mondo se l’Iran sostenesse la resistenza afgana, la resistenza pakistana, e se lanciasse la resistenza sciita irakena, contro i collaboratori kurdi e contro i collaboratori irakeni! Dopo tutti questi disastri militari americani, chi crederà veramente che gli Stati Uniti si preparano ad aprire un nuovo fronte militare contro l’Iran?


La Risoluzione 1929 dell’ONU

Cosa dice la risoluzione 1929, che presenta tutta una nuova raffica di sanzioni adottate dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU il 9 giugno scorso? “Il Consiglio di sicurezza ha votato l’imposizione di una quarta serie di ampie sanzioni contro la Repubblica islamica dell’Iran, che comprendono un embargo sulle armi come anche dei: controlli finanziari più severi”. Il presidente Ahmadinejad ha, da parte sua, qualificato la risoluzione del Consiglio di carta sporca senza valore (5). Contrariamente a M. Chossudovsky noi non crediamo che tale risoluzione fornisca “semaforo verde all’alleanza militare Stati-Uniti-NATO-Israele per minacciare l’Iran di un attacco nucleare preventivo e punitivo, corroborato dal sigillo del Consiglio di sicurezza dell’ONU.” (6)

E’ d’altronde la ragione che spiega perché gli alleati dell’Iran, la Russia e la Cina, hanno preferito votare a favore di questa ingiusta risoluzione, iniqua ma in pratica inoffensiva, che entrambe queste potenze non hanno affatto l’intenzione di rispettare, come sospetta il signor Chossudovsky: “se essa fosse pienamente applicata, non solamente la risoluzione invaliderebbe gli accordi bilaterali di cooperazione militare con l’Iran, ma creerebbe una breccia nell’Organizzazione della cooperazione di Shangai (OCS)”. (7) Buona conclusione signor Chossudovsky.

E’ pericoloso per i democratici del mondo e per i popoli intrisi di pace e di giustizia, speculare sulle alleanze imperialiste e proporre d’appoggiare un’alleanza aggressiva (l’OCS) contro un’altra alleanza aggressiva (la NATO) come suggerisce l’autore dell’analisi: “La Federazione Russa e la Repubblica popolare Cinese hanno ceduto alle pressioni americane e hanno votato a favore di una risoluzione, che non è solo pregiudizievole per la sicurezza dell’Iran, ma che indebolisce seriamente e sabota il loro ruolo strategico come potenziali potenze mondiali rivali sullo scacchiere geopolitica eurasiatico”. (8) Cosa ha guadagnato il mondo dal rinforzarsi delle potenze rivali russa e cinese? La guerra fra potenze rivali?

Come prova, che nessuno conta di rispettare questa nuova raffica di sanzioni adottata dal Consiglio di sicurezza, pochi giorni dopo l’adozione della Risoluzione 1929, il Pakistan firmava un accordo d’approvvigionamento di gas con l’Iran e apriva la porta all’approvvigionamento cinese tramite un oleodotto, che evita il tanto minacciato Stretto di Ormuz. Questo ultimo punto è di natura tale da indisporre fortemente gli americani (9) che perdono così un potente mezzo di pressione sull’economia cinese. Noi l’abbiamo già scritto, gli americani non fanno la guerra in questa parte del mondo per costruire degli oleodotti ed assicurare l’approvvigionamento in idrocarburi, ma per ostacolare la costruzione d’oleodotti e l’approvvigionamento dei loro concorrenti commerciali in petrolio e in gas a prezzi economici (10).

Gli americani desiderano, in questo momento storico, perturbare l’approvvigionamento di petrolio e di gas dei loro alleati europei e giapponesi, come dei loro concorrenti e fornitori indiani e cinesi? Non lo crediamo. Un aumento drastico del prezzo delle energie fossili, trascinerebbe l’economia americana e mondiale in una crisi indescrivibile, mentre essa non si è ancora rimessa dalla crisi speculativa conto l’euro (11).


Chi è minacciato dalla portaerei americana e dai suoi complici israeliani?

E’ vero che il lupo americano morde in queste contrade e che prepara un’aggressione a grande scala, ma non è con l’Iran, che se la prenderà questa volta. I popoli del Pakistan e del sud dell’Afganistan corrono immensi pericoli e ci si può aspettare dei bombardamenti massicci e dei massacri di massa in queste due regioni. Quelli che desiderano comprendere le ragioni del movimento a favore del combattimento in Medio-Oriente, devono guardare all’espulsione del generale in capo delle truppe d’occupazione americane in Afganistan, il generale McChrystal, “dimissionato” per aver rifiutato di condurre una nuova sanguinosa offensiva assassina nella provincia del Kandahar (12). Non si deve gridare al lupo, non appena una portaerei americana si sposta – si spostano in continuazione – ma è necessario analizzare la situazione, senza lasciarsi ingannare dagli ufficiali dello Stato Maggiore israeliano, senza una tale prudenza elementare, l’analista diventa il loro portavoce, ed il loro “papagaio” (pappagallo).

Si deve denunciare l’aggressione imminente delle forze combinate della NATO, d’Israele e degli Stati Uniti contro la resistenza e contro i popoli del nord del Pakistan e del sud dell’Afganistan.

Robert Bibeau

30.6.10

Banche intoccabili

Intoccabili banche

Nel momento in cui Francia, Germania e Gran Bretagna annunciano l’intenzione di presentare al prossimo G20 di Toronto la proposta di una tassa basata sugli utili delle banche, da applicare con caratteristiche diverse a seconda delle condizioni economiche e dei sistemi fiscali di ciascun Paese, e l’Unione Europea esplora addirittura la possibilità di un’imposta “globale” sulle transazioni finanziarie, può essere utile fare il punto della situazione sugli interventi pubblici a favore delle banche e degli istituti finanziari durante gli scorsi due anni, in Europa e negli Stati Uniti, basandosi sull’ultimo dei rapporti semestrali elaborati da RS-Mediobanca (http://www.mbres.it/ita/download/rs_piani_di_stabilizzazione_finanziaria.pdf).

Da esso risulta che il totale di aiuti, in termini di iniezioni di capitale e di prestazione di garanzie, ammonta a 1.518,7 miliardi (di euro) per l’Europa ed a 2.593,2 miliardi (di dollari) oltreoceano. Nel dettaglio, è interessante notare come nel Vecchio Continente i più colpiti dalla crisi finanziaria siano state Germania e Gran Bretagna, con rispettivamente 362,5 e 792,5 miliardi di euro di aiuti erogati, con la seconda protagonista anche della nazionalizzazione di due banche, Northern Rock e

The Bradford & Bingley. Considerando inoltre le ingenti sottoscrizioni di capitale azionario realizzate dal governo britannico a favore di Royal Bank of Scotland e Lloyds TSB Group (per un ammontare complessivo vicino ai 700 miliardi di euro), parlare di libero mercato nella patria di Adam Smith e David Ricardo, fondatori dell’economia politica, oggi appare davvero surreale.

Negli Stati Uniti, gli aiuti pubblici si sono invece concentrati su cinque grandi gruppi finanziari, i colossi del credito immobiliare Fanni Mae e Freddie Mac, Aig, Bank of America e Citigroup.

Ai primi due, posti in amministrazione controllata a partire da settembre 2008, sono stati concessi sostegni diretti pari a 200 miliardi e garanzie per ben 1.450 miliardi di dollari. Aig, ora denominato Aiu, può vantare quasi 70 miliardi di aiuti in qualità di sottoscrizione di capitale, mentre Bank of America e Citigroup rappresentano gli unici casi significativi di liquidità (47 miliardi) e garanzie (419) restituiti quasi integralmente al governo, rispettivamente a settembre e dicembre 2009.

Più che gli esborsi complessivi, a differenziare la situazione dell’Europa da quella statunitense è il numero di istituti finanziari e di credito coinvolti nei piani di salvataggio, dove nella prima ammontano a 115 (di cui 4 in Italia per “soli” 4,1 miliardi di euro) mentre negli Stati Uniti sono ben 1.095, dato che testimonia una crisi generalizzata e profonda di tutto il settore.

Nel frattempo, la Federal Reserve ha completato uno studio sui comportamenti di 28 tra le maggiori banche americane, concludendo che incentivi e bonus riconosciuti ai dirigenti rimangono ai livelli esorbitanti di prima e che i gestori delle operazioni speculative ad alto rischio continuano ad operare come sempre. Peccato che tale rapporto probabilmente non sarà reso pubblico prima dell’anno prossimo, mentre a fine 2009 la bolla dei prodotti finanziari derivati, dopo un ridimensionamento nelle fasi iniziali della crisi, è arrivata a 213 trilioni di dollari (615 trilioni a livello mondiale, con un aumento annuo del 12%). La paura di nuove insolvenze sta minando la fiducia tra le stesse banche che stentano persino a farsi credito tra loro, prova ne sia l’aumento costante e progressivo del LIBOR, il tasso di riferimento per i crediti a breve tra gli istituti di credito.

di Federico Roberti

I terroristi del deficit colpiscono nel Regno Unito.




La settimana scorsa il nuovo governo inglese ha dichiarato che avrebbe abbandonato i piani di incentivi del governo precedente e che avrebbe introdotto le misure di austerità richieste per ripagare i debiti stimati in circa 1.000 miliardi di dollari. Questo equivale al taglio della spesa pubblica, al licenziamento dei dipendenti, alla riduzione dei consumi e all’aumento della disoccupazione e dei fallimenti. Ed equivale anche alla riduzione dell’offerta monetaria, in quanto tutto il “denaro” odierno ha origine in pratica sotto forma di prestiti o di debito. La riduzione dei debiti insoluti farà diminuire la quantità di denaro disponibile per pagare i lavoratori ed acquistare le merci, aggravando la depressione e portando altre sofferenze all’economia.

Il settore finanziario a volte è stato accusato di ridurre di proposito l’offerta monetaria, allo scopo di aumentare la domanda per i propri prodotti. I banchieri lavorano nel business del debito e se venisse concesso ai governi di creare abbastanza denaro per tenersi alla larga dai debiti – i governi stessi e i loro elettori – i prestatori fallirebbero. Le banche centrali, che hanno la responsabilità di mantenere il business bancario, insistono dunque su una “moneta stabile” a tutti costi, anche se questo significa il taglio dei servizi, il licenziamento dei dipendenti e l’aumento del debito e degli interessi. Affinché il business finanziario possa continuare a prosperare, ai governi non deve essere permesso di battere moneta, sia stampandola integralmente che prendendola a prestito dalle banche centrali di proprietà dello stato.

Oggi questo obiettivo finanziario è stato ampiamente raggiunto. Nella maggior parte dei paesi, più del 95% dell’offerta monetaria viene creata dalle banche sotto forma di prestiti (o “credito”). La piccola parte generata dal governo viene di solito creata solamente per sostituire banconote o monete metalliche perse o usurate dal tempo, e non per finanziare nuovi programmi di governo. All’inizio del ventesimo secolo, più o meno il 30% della valuta britannica veniva emessa dal governo come sotto forma di sterline cartacee o di monete, contro solamente il 3% di oggi. Negli Stati Uniti, attualmente solo le monete metalliche vengono emesse dal governo. Le banconote di dollari (Banconote della Federal Reserve) sono emesse dalla Federal Reserve, che è di proprietà di un consorzio di banche private.

Le banche anticipano il capitale ma non l’interesse necessario per ripagare i loro prestiti – e dato che i prestiti bancari sono ora praticamente l’unica fonte di nuovo denaro nell’economia, l’interesse può derivare solamente da altri debiti. Per le banche, questo significa che il business continua ad andare a gonfie vele ma per il resto dell’economia questo equivale a tagliare, stringere la cinghia e austerità. Dato che si paga sempre di più di quanto fosse stato anticipato, il sistema è intrinsecamente instabile. Quando la bolla del debito diventa troppo grande da sostenere, viene fatta arrivare una recessione o una depressione che spazza via una grossa parte del debito consentendo al processo di ricominciare da capo. Tutto questo viene definito “ciclo economico” e provoca un forte ondeggiamento dei mercati, permettendo alle classi capitalistiche che hanno dato il via al ciclo di raccogliere a buon mercato il patrimonio immobiliare ed altri beni nell’ondata di flessione.

Il settore finanziario, che controlla l’offerta monetaria e può facilmente impadronirsi dei media, riesce a persuadere il popolino a sottomersi vendendo il proprio programma come un “bilancio equilibrato”, come una “responsabilità fiscale” che risparmia alle future generazioni un enorme carico di debiti se si applicano oggi le misure di austerità. Bill Mitchell, docente di economia all’Università di New Castle in Australia, definisce tutto questo “terrorismo del deficit”. Il debito creato dalle banche diventa più importante delle scuole, dell’assistenza sanitaria o delle infrastrutture. Invece di “pensare al benessere generale”, lo scopo del governo diventa quello di mantenere il valore degli investimenti dei creditori del governo stesso.

L’Inghilterra indossa il cilicio

La nuova coalizione di governo in Inghilterra ha appena adottato questo programma, imponendo a sé stesso lo stesso genere di austerità fiscale che il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha imposto da tempo ai paesi del Terzo Mondo, e che più di recente ha imposto ai paesi europei, tra cui Lettonia, Islanda, Irlanda e Grecia. Anche se quei paesi sono stati obbligati a sottomettersi ai loro creditori, l’Inghilterra ha dato spontaneamente un giro di vite, avendo ceduto sulla questione che deve ripagare i propri debiti per mantenere attivi i mercati per i propri titoli di stato.

I falchi del deficit puntano il dito minacciosamente verso la Grecia, che è stata praticamente estromessa del mercato privato delle obbligazioni perché nessuno vuole più i suoi titoli di stato. La Grecia è stata costretta a prendere a prestito soldi dal FMI e dall’Unione Monetaria Europea, che hanno imposto misure di austerità draconiane come condizione per i prestiti. Come un paese del Terzo Mondo che ha debiti contratti in una valuta straniera, la Grecia non può stampare euro né prenderli a prestito dalla propria banca centrale dato che queste alternative sono vietate dalle norme dell’Unione Monetaria Europea. In un tentativo disperato di salvare l’euro, la Banca Centrale Europa ha recentemente fatto uno strappo alla regola acquistando titoli greci sul mercato secondario invece che prestarli direttamento al governo di Atene, ma la BCE ha dichiarato che avrebbe “sterilizzato” gli acquisti fatti ritirando dal mercato una quantità equivalente di liquidità, rendendo l’accordo senza un nulla di fatto.

La Grecia è bloccata nella trappola del debito ma il Regno Unito non fa parte dell’Unione Monetaria Europea. E anche se appartiene all’Unione Europea, opera nella propria valuta nazionale che ha potere di emettere direttamente o di prendere a prestito dalla propria banca centrale. Come tutte le banche centrali, la Banca d’Inghilterra è un “prestatore di ultima istanza” il che significa che può creare denaro sui propri registri contabili senza doverlo prendere a prestito. La Banca d’Inghilterra è di proprietà del governo e dunque i prestiti dalla banca al governo dovrebbero essere in effetti esenti da interesse. Finché la Banca d’Inghilterra è disposta a comprare titoli che non vengono venduti sul mercato privato, non bisogna temere alcun crollo del valore dei titoli britannici.

Tuttavia i “terroristi del deficit” non capiscono questa soluzione ovvia, apparentemente a causa della loro paura dell’”iperinflazione”. Il 9 giugno scorso un commento da parte di “Cameroni” sul sito web finanziario di Rick Ackerman ha preso questa posizione. Intitolato “La Gran Bretagna diventa la prima a scegliere la deflazione”, inizia così:

Il nuovo governo di David Cameron in Inghilterra ha annunciato martedì che avrebbe introdotto misure di austerità per iniziare a pagare i debiti stimati in mille miliardi (di dollari) contratti dal governo britannico ... Detto questo, abbiamo appena ricevuto il segnale della fine delle misure globali di incentivi – un segnale che mette una pietra sopra il dibattito se l’Inghilterra debba “stampare” la propria via d’uscita dalla crisi oppure no... Si tratta in realtà di un momento celebrativo anche se, per molti, non sembra essere proprio così... i debiti dovranno essere ripagati... il tenore di vita diminuirà... ma si tratta di un futuro migliore di quello che ci potrebbe portare un’iperinflazione.


Iperinflazione o deflazione?

La terribile minaccia di iperinflazione è invariabilmente esibita per rigettare le proposte per risolvere la crisi dei bilanci governativi emettendo semplicemente i fondi necessari, sia come debito (obbligazioni) che come valuta. Quello che in genere i terroristi del deficit non dicono è che prima che un’economia possa essere minacciata di iperinflazione, deve passare attraverso un periodo di semplice inflazione, e ovunque i governi oggi non sono riusciti ad arrivare a questa fase, anche se ci stanno disperatamente provando. Cameroni osserva:

“I governi di tutto il pianeta hanno tentato la via degli incentivi nel corso dell’ultima crisi del credito e delle recessione, con pochi risultati. Hanno cercato, infruttuosamente, di generare persino una leggera inflazione nonostante enormi sforzi di incentivi e spese inutili”.


In effetti, l’offerta monetaria si sta riducendo ad un ritmo allarmante. In un articolo del 26 maggio sul Financial Times dal titolo “L’offerta monetaria degli Stati Uniti precipita ai livelli degli anni Trenta mentre Obama pensa a nuovi incentivi”, Ambrose Evans-Pritchard scrive:

“La quantità di moneta è scesa dai 14.200 miliardi di dollari ai 13.900 miliardi di dollari in tre mesi ad aprile, equivalenti ad un livello annuale di riduzione del 9,6 per cento. I beni dei fondi del mercato monetario istituzionale sono scesi ad un livello del 37 per cento, il più forte calo di sempre”

“E’ preoccupante”, ha detto il professor Tim Congdon dell’International Monetary Research. “La diminuzione dell’M3 non ha precedenti dalla Grande Depressione. La ragione prevalente è che i regolatori di tutto il mondo stiano esercitando pressioni sulle banche per aumentare i livelli dei capitali e per ridurre i loro beni di rischio. E’ questa la ragione per la quale gli Stati Uniti non si stanno riprendendo come dovrebbero”.


Difficilmente potrebbe essere stato iniettato troppo denaro in un’economia nella quale l’offerta monetaria si sta riducendo. Ma Cameroni conclude dicendo che visto che gli incentivi non sono riusciti a riportare il denaro necessario nell’offerta monetaria, i programmi di incentivi dovrebbero essere abbandonati a favore del loro esatto contrario – la più totale austerità. Cameroni ammette però che il risultato sarebbe devastante:

“Significherebbe una lunga, lenta e premeditata flessione finché non verrà raggiunta la solvibilità. Significherà che città, stati e contee falliranno e non saranno salvate. E sarà alquanto doloroso. La spesa pubblica sarà ridotta. I consumi potrebbero diminuire drasticamente. Le cifre sulla disoccupazione potrebbero schizzare alle stelle e i fallimenti potrebbero sbalordire i lettori di blog come questo. Metterà un freno alla crescita in tutto il mondo... Il Dow crollerà e ci saranno effetti di espansione in tutta l’Unione Europea e, alla fine, in tutto il mondo... i programmi di aiuti al Terzo Mondo saranno sventrati e non riesco ad immaginare le conseguenze che avranno sulle popolazioni più povere del pianeta.


Ma “ne vale la pena” dice Cameroni, perché prevale sull’inevitabile alternativa iperinflazionistica, che “è troppo sconvolgente da tenere in considerazione”.

L’iperinflazione, tuttavia, è un falso problema e prima di rigettare l’idea degli incentivi, dovremmo chiederci perché questi programmi hanno fallito. Forse perché erano incentivi elargiti al settore sbagliato dell’economia, l’intermediario finanziario improduttivo che per primo ha fatto precipitare la crisi. I governi hanno cercato di “rigonfiare” le loro economie fiacche riversando soldi alle banche che hanno avuto effetti rovinosi sui bilanci, ma le banche non si sono nemmeno degnate di dare quei fondi alle imprese e ai consumatori sotto forma di prestiti. Invece, hanno utilizzato quei finanziamenti a buon mercato per speculare, per acquistare banche più piccole, e per acquistare dei titoli governativi sicuri, riscuotendo un cospiscuo interesse da quegli stessi contribuenti che avevano dato loro i soldi del salvataggio. Sicuramente alle banche, in base al loro modello di business, viene chiesto di raggiungere quei profitti con prestiti rischiosi. Come tutte le aziende private, non sono là per fare l’interesse pubblico ma di guadagnare soldi per i loro azionisti.

In cerca di soluzioni

L’alternativa a riversare enormi quantità di denaro alle banche non è quella di far morire di fame e punire oltremodo e le imprese e i cittadini ma di foraggiarli direttamente con qualche incentivo, con progetti pubblici che forniscano i servizi necessari creando nel contempo posti di lavoro. Esistono numerosi precedenti di successo con questo approccio, tra cui i programmi di opere pubbliche compiuti in Inghilterra, Canada, Australia e Nuova Zelanda negli anni Trenta, Quaranta e Cinquant e che furono finanziati con denaro emesso dal governo, sia preso a prestito dalle loro banche centrali che stampato direttamente. La Banca d’Inghilterra è stata nazionalizzata nel 1946 nel corso di un forte governo laburista che fondò anche il Servizio Sanitario Nazionale, le ferrovie nazionali e che sviluppò molti altri programmi pubblici dal costo contenuto che giovarono all’economia per decenni.

In Australia, nel corso della crisi attuale, un pacchetto di incentivi sotto forma di contributo in denaro contante è stato dato direttamente alla popolazione come misura temporanea, e non si è avuta alcuna crescita negativa (recessione) per due trimestri e la disoccupazione si è mantenuta stabile al 5%. Il governo, tuttavia, ha preso a prestito questi soldi straordinari in maniera privata invece che emetterlo pubblicamente, sviato dalla paura dell’iperinflazione. Meglio sarebbe stato dare credito esente da interesse attraverso la banca centrale di proprietà dello stato ai cittadini e alle imprese, che erano d’accordo nell’investire il denaro in maniera produttiva.

I cinesi hanno fatto di meglio, espandendo la loro economia di oltre il 9% nel corso della crisi creando denaro aggiuntivo che è stato investito principalmente in infrastrutture pubbliche.

I paesi dell’Unione Monetaria Europea sono intrappolati in uno schema piramidale mortale, perché hanno abbandonato le loro valute sovrane per un euro controllato dalla BCE. I loro deficit possono essere finanziati solamente con altro debito, gravato da interesse, e quindi si deve sempre restituire più di quanto si fosse preso a prestito. La BCE potrebbe fornire un po’ di assistenza impegnandosi in un “alleggerimento quantitativo” (creando nuovi euro) ma ha insistito dicendo che l’avrebbe fatto solamente con la “sterilizzazione” – togliendo dal sistema l’equivalente dei soldi che venivano introdotti. Il modello dell’Unione Monetaria Europea è matematicamente insostenibile e destinato a fallire a meno che in qualche modo venga modificato, o ridando la sovranità economica ai propri paesi membri o consolidandoli in un unico paese con un unico governo.

Una terza possibilità, suggerita dai professori Randall Wray e Jan Kregel, sarebbe quella di assegnare alla BCE il ruolo di “datore di lavoro di ultima istanza”, utilizzando l’”alleggerimento quantitativo” per assumere i disoccupati ad uno stipendio minimo.

Una quarta possibilità sarebbe quella per i paesi membri di costituire delle “banche per lo sviluppo” di proprietà pubblica sulla base del modello cinese. Queste banche potrebbero emettere credito in euro per le opere pubbliche, creando posti di lavoro ed allargando l’offerta monetaria esattamente come fanno ogni giorno le banche private quando erogano dei prestiti. Oggi le banche private sono limitate nel loro potenziale di generazione di prestiti dal requisito sul capitale, da registri contabili infarciti di titoli tossici, da una mancanza di mutuatari cui si può fare credito e un modello di business che antepone il profitto degli azionisti all’interesse pubblico. Le banche di proprietà pubblica avrebbero i beni dello stato per tirare su il capitale, registri contabili puliti, un mandato per essere al servizio della gente e un mutuatario cui si può dare credito perché si tratta della nazione stessa, sostenuta dalla forza di riscossione delle imposte.

A differenza dei paesi dell’Unione Monetaria Europea, i governi di Inghilterra, Stati Uniti e altre nazioni sovrane possono ancora prendere denaro a prestito dalle proprie banche centrali, finanziando i programmi di cui si ha bisogno sostanzialmente esenti da interesse. Possono ma probabilmente non lo faranno, perché sono state ingannate a cedere quel potere sovrano ad un settore finanziario bugiardo che è volto a controllare i sistemi monetari mondiali in modo privato e autocratico. Il professor Carroll Quigley, un addetto ai lavori allevato dai banchieri internazionali, ha svelato questo piano nel 1966, scrivendo “Tragedy and Hope”:

“I poteri del capitalismo finanziario avevano un altro scopo più ampio, nientemeno quello di creare un sistema mondiale di controllo finanziario, in mani private, capace di dominare il sistema politico di ciascun paese e l'economia del mondo nel suo insieme. Questo sistema doveva essere controllato in un modo feudale da parte delle banche centrali del mondo che agiscono di concerto, attraverso accordi segreti cui si arrivava durante frequenti incontri e conferenze private”.


Proprio quando l’Unione Monetaria Europea sembrava essere sul punto di raggiungere quell’obiettivo, ha iniziato a cadere a pezzi. La sovranità potrebbe ancora prevalere.
di Ellen Brown

28.6.10

Quale sindacato per la festa?

La trasformazione economica che stiamo vivendo non e' l'apocalisse. E' semplicemente la trasformazione che in Italia abbiamo sembre cercato di evitare, ovvero la trasformazione di un'economia basata sui costi ad un'economia basata sulla produttivita'. Le difficolta' che stiamo attraversando sono dovute ad un semplice fenomeno, ovvero il fatto che se cambia l'ambiente solo chi e' adatto sopravvive. Vediamo di fare un esempio.

Se avete seguito la vicenda FIAT sui due giornali che riportano il pensiero di marchionne (La Stampa e Il Sole: come dire che per capire il CEI bisogni leggere Avvenire) , avrete notato una cosa molto semplice: Marchionne non chiede di abbassare i salari.

Questo non e' tipico delle economie basate sulla riduzione dei costi, bensi' e' tipico delle economie basate sul'indice di produttivita'. Qual'e' il conto economico che sta facendo Marchionne?

Il conto e' semplice: col livello di Salari di Pomigliano, perche' si possa produrre Panda in quella fabbrica occorre produrne 250.000/anno. Possiamo prendere questa semplice affermazione e splittarla in due o tre parti:

  1. Occorre che questa cifra sia proprio quella. Le previsioni di vendita sono quelle, e non si puo' lasciare il cliente senza prodotto.
  2. Occorre che la fabbrica sia una sola, altrimenti i costi lievitano perche' ogni fabbrica necessitera' di logistica, trasporti, contabilita', infrastruttura dedicata, eccetera.
  3. Il livello di qualita' deve essere abbastanza alto da permettere alle Panda prodotte li' di essere vendute nei mercati di tutto il mondo, anche i piu' difficili.

Questo significa entrare nel mondo dell'indice di produzione: occorre investire 700 milioni perche' la fabbrica possa produrre, addestrare il personale alle nuove automobili e ai nuovi impianti, e occorre che la fabbrica sia operativa, su turni, giorno e notte. In queste condizioni, anche i salari italiani permettono di produrre.

Si tratta del primo esempio di calcolo economico basato sull'indice di produttivita', e non semplicemente sul rapporto tra spese e pezzi prodotti. Perche' dico cosi'?

Se fossimo ancora nel vecchio mondo basato sul rapporto tra spese e costi, la scelta sarebbe stata ovvia: produrre in qualche baracca cinese.In un mondo basato sui costi, le cose sarebbero andate diversamente, ovvero come sono andate sino ad ora in Italia.

  1. Se la cifra non e' di 250.000, affiancheremo a Pomegliano un'altra fabbrica, chiedendo aiuti allo stato.
  2. Se la fabbrica non e' una sola, pazienza: chiederemo allo stato di partecipare alla costruzione di un'altra fabbrica, che ci costera' meno.
  3. Se la qualita' non e' quella di sempre, pazienza: lo stato contribuira' ai costi abbastanza da rendere comunque vantaggioso il prezzo del veicolo.

Questo era il vecchio andazzo di FIAT. Per aziende incapaci di chiedere soldi allo stato, invece, era una cosa fatta cosi':

  1. Se la cifra non e' di 250.000 , chiederemo a qualcun altro di produrci le auto che mancano, magari un cinese che ci vende manodopera e schiavi pagati due euro al giorno.
  2. Se quella fabbrica non basta, ne apriremo due in cina, o in Polonia, tanto quelli non guadagnano niente.
  3. Se la qualita' non e' quella di sempre, beh, con gli schiavi a due euro al giorno ci guadagnamo lo stesso.

Qual'e' la differenza dell'approccio? Che il conto economico basato sull'indice di produttivita' evita il conflitto con i sindacati, ed evita il social dumping, semplicemente chiedendosi quanto deve produrre una fabbrica per sostenere i propri costi. In pratica, quello che fa l'imprenditore non e' chiedersi quali costi debba sostenere per guadagnare col prodotto, ma chiedersi quanto e quanto bene deve produrre per sostenere quei costi.

Adesso andiamo ai punti chiave. Perche' questo approccio si sta affermando sugli altri, e perche' questo approccio si e' incagliato in Italia.

Se andiamo a vedere per quale ragione questo approccio sia vincente, i vantaggi rispetto agli altri approcci sono evidenti.

Rispetto al tradizionale approccio fiat, basato sul "male che va c'e' il governo che paga", il vantaggio e' innanzitutto che non bisogna trattare col governo, ungere ruote, avere a che fare con tutte le trafile politiche, e specialmente coi tempi della politica. Inoltre, permette di lavorare su indici di qualita' migliori.

Marchionne non e' andato, come si faceva prima, ad incontrare i sindacati dentro la grande cattedrale dello stato. Ne' a chiedere aiuti di stato per Pomigliano.Ha semplicemente bypassato la trafila politica rendendo pubblico il suo progetto e trattandolo coi sindacati.

Rispetto al secondo approccio, detto "la capanna dello zio tom", il piu' seguito dalle PMI schiaviste, il grande vantaggio e' che non vai a toccare gli stipendi al ribasso, ma con i lavoratori vai a trattare l'output, ovvero la cifra di automobili che deve uscire dalla fabbrica.

Rispetto all'approccio capanna dello zio tom questo approccio ha il vantaggio di poter progettare sia la qualita' che la quantita', e quindi di poter gestire contratti a medio e lungo termine (prenotazione di materie prime, gestione dei fornitori, etc) molto meglio del negriero che ha tot schiavi sottopagati i quali daranno qualita' quando possono, dentro strutture fatiscenti e non aggiornate, e che non puo' programmare proprio nulla perche' si basa su un'infrastruttura non stabile.

E' quindi del tutto verosimile pensare che questo approccio all'industria , che gia' e' diffuso nel resto del mondo industrializzato moderno, si affermi anche in Italia, nel prossimo futuro.

Le aziende che non lo adotteranno sono destinate a chiudere. Sono destinate a chiudere per diverse ragioni. La prima e' che se ti basi sulle spese non puoi pianificare nel tempo. Quando Marchionne dice che con il costo della manodopera attuale deve produrre almeno 250.000 auto , sta facendo una previsione nel tempo. Potra' contarci sino a quando, perlomeno, saranno prodotti i primi 250.000 veicoli.

Il negriero che si limita a calcolare quanto debba abbassare i costi per avere un certo margine di contribuzione, invece, non si preoccupa ne' delle quantita' ne' delle quantita'. Del resto, non deve. Ma cosi' facendo, corre sia il rischio di avere un'azienda incapace di soddisfare le richieste del mercato, sia di avere un'azienda troppo grande per il prodotto che effettivamente sfornera'.

Ma se MArchionne progetta di ottenere tot macchine in un anno, ha un altro enorme vantaggio: sa per quando le puo' promettere alla catena di distribuzione, cosa che il negriero non sa. Non lo sa perche' il negriero si rivolge ad un mercato del lavoro estremamente variabile, poco addestrato, ad una infrastruttura obsoleta, eccetera.

Sul piano dell'affidabilita' dell'infrastruttura, chi progetta l'infrastruttura produttiva pre-determinando 'output e mettendolo a contratto, e' in vantaggio sul piano commerciale molto piu' di quanto non lo sia chi si limita ad abbassare le spese senza poter prevedere l'output dell'azienda. Il ritorno di investimento e' noto, per il semplice motivo che conosciamo l'output.

E' inutile avere dei pezzi pronti per una data che non sai di preciso, ad un costo che non conosci di preciso , perche' spesso i contratti non prevedono ritardi. Ed e' inutile andare di fronte agli azionisti dicendo che non sai se potrai onorare gli ordini.

Quello che Marchionne deve fare e' andare dagli azionisti a dire "con 700 milioni di euro metteremo questa fabbrica in grado di produrre tot auto in tot tempo. Il ricavo previsto sara' tot". Al contrario, il negriero non puo' farlo, deve vivere alla giornata: deve andare dal cliente a trattare il prezzo perche' non sa quanto gli costi il prodotto di preciso, a seconda della scala. Tutto e' affidato al suo intuito, e alla sua fortuna, e alla speranza di lavorare su un margine di contribuzione cosi' alto da sopportare le oscillazioni.

In altre parole, il vantaggio in termini di pianificazione del conto economico basato sulla produttivita' e' tale da superare gli svantaggi dovuti al costo del lavoro. Non c'e' al mondo negro abbastanza negro in termini di basso reddito da rendere competitiva una fabbrica che lavori seguendo questo approccio.

Questo e' il motivo per il quale non si e' messo in discussione il salario, ma solo l'output della fabbrica: l'assenza di scioperi, il ciclo di lavoro continuo, eccetera.

E qui siamo al punto Italiano. Ne' i sindacati italiani ne' i lavoratori ne' moltissimi industriali (e mi riferisco ai fornitori) sono abituati a discutere in questi termini. MArchionne per esempio e' ingenuo se pensa che i fornitori locali di Pomigliano , se anche riuscisse a creare una fabbrica senza tempi morti, sarebbero capaci di rispettare i tempi di fornitura con precisione.

Il problema FIAT, quindi, impatta contro una gigantesca obsolescenza che riguarda prima di tutto i sindacati, ma anche tutto il resto del mondo industriale.

  • Affermare che una fabbrica possa lavorare a ciclo continuo (come le fabbriche di tutto il mondo) significa accordarsi coi sindacati per avere lavoratori puntuali e aggiornati.
  • Affermare che una fabbrica possa lavorare a ciclo continuo (come le fabbriche di tutto il mondo) significa accordarsi coi fornitori per avere ricambi e parti puntuali e di qualita'.

Il primo punto lo abbiamo visto all'opera: il sincacato, obsoleto ed ottocentesco, non e' nemmeno riuscito a fornire una proposta decente per garantire a FIAT l'output, ovvero il numero di auto, delle quali ha bisogno. FIAT chiede che tot auto escano da quella fabbrica, ovvero che la fabbrica lavori a ciclo continuo. Fine. Sta trattando l'output della fabbrica.

Qual'e' la proposta dei sindacati per fare si' che la fabbrica produca tanto? UIL e CISL hanno accettato quella di FIAT, FIOM no.

Ma al di la' del "NO", che cosa propone FIOM perche' Pomigliano produca 250.000 auto ? Non si capisce. Del resto, FIOM e' cosi' antiquata che non sa parlare la lingua della produttivita'. Si tratta di un sindacato ottocentesco che pensa di poter vivere in eterno contando i minuti di pausa pranzo.

Tutto quello che FIOM sta facendo e' parlare di diritti, ma di quali diritti sta parlando FIOM? La generazione attuale , fatta di precari, cocopro e stagisti, quei diritti non li vedra' mai. E neanche quelli che sono nelle PMI, dove i sindacati si guardano bene dall'entrare, oggi feudo leghista.

Cosi', FIOM tratta di alcuni rituali ottocenteschi praticabili solo tra gli statali e alcune grandifabbriche costruite dallo stato , o coi soldi dello stato, allo scopo di dare lavoro.(1)

Anche dal lato degli industriali, pero', la cosa non andrebbe meglio. Si dice che Pomigliano abbia un indotto, ed e' vero. Ma le aziende dell'indotto sono capaci di supportare una fabbrica che ha bisogno di rifornimenti puntuali? No.

Si tratta in gran parte di baracche basate sul vecchio concetto di rapporto tra costi e fatturato, e come tale non si tratta di fabbriche capaci di promettere output: il rapporto tra costi e fatturato non permette di fare previsioni sulla quantita' ne' sui tempi.

Oggi, pero', il mondo e' cambiato. Viviamo in un mondo economicamente multipolare ed e' questo che sta segnando i tempi del declino del mondo del lavoro italiano.

Le aziende italiane ragionano ancora in termini di spesa/fatturato. Il che significa che sono sempre piu' in difficolta' a fornire le aziende straniere, che da tempo ragionano in termini di produttivita'.

Il sindacato italiano ragiona ancora in termini di "padroni e operai", e si presenta ai tavoli senza proposte su come raggiungere i livelli di produttivita' richiesta, ma solo con astruse teorie del secolo scorso, con retoriche ottocentesche, le quali discutono i minuti di mensa, ma mai che cosa il lavoratore debba produrre.

A Marchionne non frega un cazzo se il lavoratore lavora 80 ore in piu' o meno. Per quanto vale, se il lavoratore produce quell'output che gli e' richiesto, se e' capace di farlo in 20 ore gli va bene lo stesso. Il problema di Marchionne e' che da una singola fabbrica che costa X escano Y macchine in un tempo Z. Fissati i costi, e quindi senza discutere del salario, il termine della discussione e' il prodotto.

La FIOM ha qualcosa da dire , per garantire che da quella fabbrica escano tot macchine? No. Non ce l'ha. La FIOM ha gioco facile a decidere che tale giorno si sciopera: puo' decidere o GARANTIRE invece che tale obiettivo produttivo venga raggiunto? La risposta e' NO.

In definitiva, la misura della crisi di occupazione italiana e' dovuta al fatto che il rapporto commerciale e' l'unico a garantire output. E come tale viene usato. Al cocopro, come alla nostra partita iva, possiamo chiedere di garantirci che il prodotto venga consegnato per la tale data, altrimenti non paghiamo.

Ma non ci sarebbe bisogno di queste figure se il sindacato la smettesse di assomigliare ad una macchietta da film e iniziasse a garantire che , fatto l'accordo, gli obiettivi di produttivita' vengano raggiunti.

In questi giorni, il mio capo mi sta chiedendo di mandare online 500.000 utenti olandesi nelle prossime settimane, in due ondate. Bene. Se io scrivo degli script con dei cicli for che applicano le nuove configurazioni e lo faccio in cinque minuti, o lavoro giorno e notte, al mio capo frega zero.

Io ho una pila di task da portare a termine in un giorno. Che io mi sia scritto degli script per farlo o meno, sono affari miei. Lui vuole vedere che gli utenti sono online e che fatturano. Punto. Se io, come sono uso fare, mi scripto tutto quanto, e poi scrivo sul blog , a lui frega zero. Fino a quando continuero' a dargli il "Deliverable" che lui chiede, in termini di qualita' e quantita', per lui posso anche farlo usando facebook.

Ora, immaginate che arrivi qui una ipotetica RSU(2) e si metta a trattare col mio capo dei miei minuti di pausa o dei miei tempi di lavoro. Probabilmente si sentirebbe rispondere "I couldn't care less". Ed e' vero: non mi controllano gli orari, ma solo i risultati.

Questo significa che la principalre caratteristica di me, in termini di metrica, che li spinge a pagarmi il pane, i viaggi dall'italia e la casa qui sta nel fatto che se mi dicono di fare qualcosa, avranno quella cosa. Affidabilita'.

Ed ecco il punto. Le domande che dobbiamo porci sono in termini di affidabilita': se il mondo passa ad una visuale basata sull'indice di produttivita', chi garantisce l'affidabilita' del lavoro? Quello che si chiede e' che:

  1. I fornitori consegnino sempre in tempo.
  2. I lavoratori facciano quanto previsto in tempi previsti.
  3. Il sindacato rispetti gli accordi fatti, "facendosi garante" anche della produzione.

In qualche modo, in Germania questo obiettivo si e' parzialmente raggionto, e quindi i tedeschi riescono ad esportare come pazzi pur avendo dei livelli di reddito enormi. In Italia questo e' possibile? Le difficolta' sono:

  1. Il fornitore italiano e' spesso impreciso, pianifica poco e pensa che il prezzo sia tutto. Quando arriva in ritardo pensa ancora di ovviare con uno sconto, senza rendersi conto di aver fermato la produzione di uno stabilimento piu' grande.
  2. Il lavoratore italiano e' spesso molto attaccato alla cifra del contratto in termini di minuti per il cesso, orari, eccetera, segue i processi in maniera burocratica, si ferma se qualcosa va storto, passa la palla e la responsabilita' ad altri sedendosi e fermando il processo.
  3. Un accordo col sindacato e' carta straccia. Anche accordandosi con la FIOM per qualcosa, domani scenderanno in sciopero comunque, con qualche altro pretesto. Lo sciopero di mirafiori "per solidarieta'" , proprio mentre giovava la nazionale , e' un esempio. Gli accordi della fabbrica di Mirafiori coi sindacati locali sono stati rispettati? No.

Del resto, in che modo un accordo con FIOM avrebbe valore, se anche accordandosi per non scioperare piu', domani FIOM sciopererebbe comunque per solidarieta' a qualsiasi altra vertenza, o perche' la CGIL ha fatto uno sciopero contro il governo?

Questi sono i nodi sul tavolo della nostra economia industriale: avere fornitori affidabili, lavoratori affidabili, sindacati affidabili.

Sui fornitoriaffidabili ancora non sappiamo, molti lavoratori si sono impegnati (65%) a fare quanto richiesto, ma il 35% e' troppo e puo' ancora fermare la fabbrica, FIOM ha fatto la solita figura del sindacato italiano, che per sindacato intende sciopero, sciopero, sciopero. Sciopero per solidarieta', sciopero per la partita, sciopero per tutto.

E quindi, il destino e' gia' scritto: solo chi riuscira' a garantire affidabilita' nel lavoro e nelle consegne sopravvivera'. E oggi l'unico modo di ottenerlo, con un sindacato inaffidabile, e' di avere il cocopro pagato solo se consegna, la partita iva pagata solo se consegna, eccetera.

Non per nulla, e' stato Treu a inventare il precariato: senza di esso, la riforma del lavoro avrebbe riguardato tutti i lavoratori e cambiato le regole sindacali per tutti. Cosi' facendo, invece, abbiamo lavoratori che discutono i turni e i minuti per il cesso e precari che lavorano tempi qualsiasi senza alcuna regola.

MA i primi, almeno sostengono ancora il vecchio, obsoleto sindacato. Il che era quello che Treu voleva.

Quindi, i precari non si aspettino aiuti dai ssindacati italiani. Essi pagano il prezzo che il sindacato ha dovuto pagare per poter vivere, vecchio e obsoleto come sempre, nelle grandi realta'.

Senza il precariato, si sarebbe dovuto discutere tutto, per tutti i lavoratori. E un sindacato obsoleto sarebbe morto. Cosi', il sindacato sopravvive, e le esigenze produttive le soddisfano i precari.

Tranne alcune riserve indiane come Pomegliano. Che stanno chiudendo. The party is over.

Uriel

(1) Quando la gente si lamenta che lo stato abbia dato soldi a FIAT, dovrebbe ricordare che con quei soldi si sono mantenuti dei "lavoratori" che altrimenti non avevano la piu' pallida chance di avere un lavoro.

(2) Non sono iscritto a nessun sindacato, in italia.

27.6.10

Corruzione e burocrazia, nemici dell’economia



E’ assai singolare la disputa in corso tra economisti keynesiani e antikeynesiani sulla manovra di finanza pubblica. I primi pensano che sia necessario lasciare inalterata la spesa pubblica perché questa, stimolando l’economia, contribuisce alla crescita (più correttamente alla domanda aggregata, di beni e servizi). Essi sostengono che siano, addirittura, necessari stimoli monetari - stampare moneta ovvero prendere denaro in prestito dalle banche centrali - non essendo ancora comprovata l’uscita dalla crisi e ritenendo, quindi, più importante garantire lo stimolo alla economia privata, alla piena occupazione e agli acquisti, che provvedere alla riduzione del deficit statale. I secondi rilevano che, al contrario, tagliando la spesa appena usciti dalla crisi, in un momento di crescita economica - seppur debole - come quello attuale, l’effetto recessivo sarebbe nullo o, perlomeno, molto molto basso. Inoltre, le correzioni dei conti pubblici basate sulla riduzione della spesa, e non sull’aumento delle tasse, possono incidere più energicamente sul deficit e sul debito pubblico. Sono scuole di pensiero legittime, entrambe con importanti ricerche e studi ed esempi storici volti a supportare le proprie tesi. Intanto, l’Europa nel suo complesso ha scelto la seconda strada. Tutti i governi hanno puntato a misure di contenimento dei deficit di bilancio e di rientro in parametri più consoni del rapporto debito/PIL. L’Italia ha puntato su un contenimento della spesa pubblica e sul recupero dell’evasione fiscale, non nascondendo che la manovra avrà comunque un effetto recessivo immediato - su un Prodotto Interno Lordo previsto comunque in crescita - almeno per il prossimo biennio. Chiunque può proporre le proprie soluzioni ai problemi di bilancio italiani con piena legittimità. Non esistono, a priori, ricette giuste o sbagliate, se sono proposte nell’interesse comune. Certo è che, finite le dispute macroeconomiche, che comunque nel giro di quattro-cinque anni ci mostreranno chi aveva ragione e chi torto, bisogna inquadrare ogni intervento sui conti pubblici italiani in un ambito più particolare, che gli altri paesi europei non devono fronteggiare. La spesa pubblica italiana ha l’aggravante di essere appesantita da costi impropri, che sulle altre economie europee non pesano. Quasi duemila reati l’anno tra corruzione e abuso d’ufficio, con un trend crescente negli ultimi anni, comportano un costo complessivo valutato, dalla Corte dei Conti e dal Servizio Anticorruzione e Trasparenza del ministero della pubblica amministrazione e dell’innovazione, tra i 50 e i 60 miliardi di euro l’anno (3,3-4 punti percentuali di PIL ovvero quasi il doppio della cifra che viene investita ogni anno in diritti sociali, politiche sociali e famiglia). Sei milioni di aziende costrette ad affrontare un costo medio di 12.000 mila euro per impresa (secondo le stime delle associazioni di categoria) per i famosi “lacci e laccioli” della burocrazia, fanno un totale di 72 miliardi (4,8 punti percentuali di PIL ovvero una cifra che copre quasi il costo dell’intero sistema pensionistico). A questi costi va aggiunto l’onere delle mancate liberalizzazioni - ma anche quello delle liberalizzazioni e privatizzazioni fatte male - che danno un valore stimato (forse per difetto dalle associazioni favorevoli al libero mercato) in 40 miliardi (2,6 punti percentuali di PIL ovvero una somma molto vicina al costo dell’intero sistema di istruzione scolastico). Queste sono spese che non gravano sul bilancio dello Stato, ma direttamente sui bilanci delle famiglie italiane (maggiori costi per gas, energia elettrica, smaltimento rifiuti, ferrovie, trasporto aereo, trasporto locale, telefonia, credito, commercio). Tali, continuano ad essere i grandi dilemmi del nostro paese che affronta i propri problemi strutturali di bilancio con una manovra che ha un impatto massimo pari a 25 miliardi, quando avrebbe a disposizione, come abbiamo visto, almeno altri 160-170 miliardi se recuperasse la propria efficienza. Ecco, allora, che anche le più giuste ed oneste tesi macroeconomiche saltano per aria quando l’economia si scontra con i flagelli della corruzione e della burocrazia.

di Alessandro L. Salvaneschi