2.11.09
La crisi vi renderà liberi
Non e' ancora finita sotto i ferri di Marco Cedolin e Beppe Grillo la notizia dell’ addio che la multinazionale McDonald si appresta a dare all'Islanda [1], ma immagino i possibili commenti che leggeremo nei loro blog nei prossimi giorni. In breve, per coloro che non ne fossero ancora al corrente, la nota catena di "cibo spazzatura" ha dovuto gettare la spugna contro la concorrenza locale puntando il dito contro il "collasso della corona” nei confronti di euro e dollaro e chiuderà i battenti questo fine settimana dopo una storia durata 16 anni.
Una storia che potrebbe essere benissimo il paradigma, o meglio la parabola di quell'ideologia impropriamente chiamata "liberismo" che ha travolto la piccola isola dell'Europa settentrionale di appena 300.000 anime che, fino agli inizi di questa storia, aveva un economia prevalentemente incentrata sulla pesca al merluzzo e l’industria ad essa collegata – un paradiso con un indice di speranza di vita, non a caso di ben 81.8 anni (Italia 79.9 anni) [2].
Come nel Paradiso Perduto” di John Milton (da non confondere con Milton Friedman, il fautore del liberismo della famosa “Scuola di Chicago), questa storia ha inizio da un morso, il primo morso innagurale ad un "Big Mac" dell' allora primo ministro David Oddsson (chiamato dagli amici “King David”) nel 1993, che, come un peccato originario, segna l'avvento della globalizzazione e l’abbattimento generalizzato di vincoli al commercio estero e al controllo dei capitali, rafforzato dalla innovazioni informatiche e tecnologiche. Ebbene, a seguito di quell’ atto, in poco più di un decennio questo luogo dimenticato da dio si è trasformato in uno dei paesi piu’ sviluppati al mondo, con un livello di reddito pro-capite tra i più alti del pianeta (cresciuto del 45% in cinque anni, fino a raggiungere il primo posto posto nella statistica “Human Development Index” stilata dalle nazioni Unite nel 2007 [3] ).
Purtroppo oltre ai dubbi (ed effimeri) vantaggi per la popolazione locale, la globalizzazione porta in seno anche il peccato originale, la bolla del debito sostenuta artificialmente dai bassi tassi di interesse e da agenzie di rating non particolarmente acute e vigili. La repentina caduta del paradiso e' segnata dal deprezzamento della corona islandese (che tra l'altro sottraeva valore alle attività reali in Islanda), gonfiando il valore dei debiti in valuta nazionale contratti all’estero [4]. Il sistema bancario islandese ha cominciato a scricchiolare; quando le banche internazionali hanno cominciato a chiudere i rubinetti del credito, il governo islandese è stato costretto a nazionalizzare una dopo l’altre le tre banche e il paese si è risvegliato dal suo delirio per ritrovarsi davanti agli occhi un sistema finanziario oberato da 100 miliardi di dollari a fronte di un prodotto interno lordo di soli 14 miliardi di dollari, nonche’ un economia reale completamente devastata.
Dopo mesi di manifestazioni pacifiche, una folla imbestialita [5] a gennaio di quest'anno (circa tremila persone, e tremila persone in Islanda sono tanti, specie a gennaio) ha addirittura deciso di entrare -non di cortesia- in Parlamento per reclamare (ed ottenere) le dimissioni in blocco del governo e dei parlamentari e l'immediata rimozione del presidente della banca centrale controllata proprio dal peccatore originario David Oddsson che nel frattempo era stato (guarda caso) chiamato a dirigere.
In questo contesto si creano le condizioni che porteranno a chiudere il prossimo fine settimana i tre ristoranti McDonald presenti sull' isola.
La Lyst, proprietaria del marchio McDonald in Islanda e' infatti costretta per legge a dover acquistare fuori dall' isola tutta la materia prima necessaria, dalla carne al materiale per gli imballi, a tutto vantaggio dei prodotti locali non sottoposti a tassi di cambio penalizzanti e sopratutto a dazi doganali che sfiorano l'80% per alcuni prodotti alimentari semi-lavorati (http://www.tollur.is/default.asp?cat_id=61).
Attualmente il prezzo di un "Big Mac" in Islanda e’ di 650 corone (5.29 dollari), ma per rientrare nei costi di esercizio, a parità di merce venduta il prezzo dovrebbe essere portato a 780 corone (6.36 dollari), troppo per poter competere con i prodotti locali, sulla cui qualità non mi pronuncio, ma sono pronto a scommettere migliore rispetto a quelli che possono essere distribuiti da una multinazionale della ristorazione rapida divenuto sinonimo di "cibo spazzatura". Ma l'impatto che le grosse multinazionali hanno sul tessuto economico e sociale va ben al di là della pur grave malnutrizione. Non voglio "ribattere concetti che i lettori degli autori dei blog citati all’'inizio di quest’articolo conoscono benissimo, ma vorrei limitarmi ad osservare come ad esempio il costo del “Big Mac”, non tenga conto dello spreco di energia richiesto per il trasporto di prodotti che hanno equivalenti locali. Questi sprechi hanno un impatto sulla domanda di energia con il conseguente aumento di prezzo che viene pagato anche da chi non comprerebbe mai un prodotto McDonald.
Spero che il popolo islandese festeggi quest’avvenimento epocale e che chiude questa parabola. Epocale perché non solo il logo della catena della ristorazione rapida McDonald e' uno dei simboli della globalizzazione, ma anche in quanto il suo prodotto principale, il "Big Mac" ne e' anche lo strumento di misura.
Il Big Mac Index [6] e' infatti l'indice ufficioso di comparazione del potere d'acquisto di una valuta.
"L'assunto centrale della "parità dei poteri d’acquisto" è che il tasso di cambio tra due valute dovrebbe tendere naturalmente ad aggiustarsi in modo che un paniere di beni abbia lo stesso costo in entrambe le valute. Nell'indice Big Mac, il "paniere" è composto da un singolo Big Mac, così come viene venduto dalla catena di fast food della McDonald's. Il Big Mac è stato scelto perché è disponibile con le stesse specifiche in diverse nazioni del mondo" [7]
Di conseguenza, il "Big Mac Index", misura sopratutto il grado di appiattimento di usi, costumi e valori (in questo caso alimentari) con l'indice che tende a coincidere con il tasso ufficiale di sconto laddove usi, costumi, ma anche condizioni lavorative sono omogenee e proporzionali rispetto al mondo di McDonald, un mondo che spero questa crisi riuscirà a spazzare via dalla storia.
di Stefano Vernavideo
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