La crisi ha reso la Fiat un’impresa assetata di risorse pubbliche, più di quanto non lo fosse in passato. Un’azienda che non riesce a stare sul mercato, senza avvalersi della stampella statale, è un pessimo esempio, oltreché un fattore di destabilizzazione, per tutto il sistema-Paese il quale, tra mille difficoltà e peripezie, tenta strenuamente di reagire e di risollevarsi con le proprie forze, dopo essere stato sobbalzato dal sisma sistemico dell’ultimo anno.
Se l’organismo italiano non riuscirà a liberarsi della patologia assistenzialistica, specialmente in una congiuntura gravissima come quella attuale, perderà di elasticità e si sclerotizzerà definitivamente. Il rischio è quello di precipitare tra i paesi pezzenti del capitalismo all’occidentale, dove la debolezza economica implica la drastica dipendenza politica dagli Stati più saldi.
Semmai, le risorse e le energie, sempre più scarse, dovrebbero essere orientate verso politiche di rilancio generale dell’economia, con sostegno ai settori più innovativi e performativi, quelli cioè che garantiscono uno sviluppo accelerato e l’aggredimento dei mercati esteri.
In Italia abbiamo aziende molto virtuose che hanno dimostrato di saper produrre ricchezza senza sottrarre nulla allo Stato, proprio a quest’ultime la mano pubblica dovrebbe fornire appoggio politico e facilitazioni commerciali. Ci sono poi le PMI che si sgolano, da tempo immemorabile, per ottenere almeno gli sgravi fiscali, ma questi non arrivano perché il governo non sa ancora quanti mezzi finanziari potrà impegnare per garantirsi un certo equilibrio di bilancio, al fine di conciliare esigenze di rilancio dell’economia e stabilità di cassa.
Ma l’esecutivo sembra non tenere conto di questi problemi quando deve trattare con la Fiat e si ostina a dissipare le scarne risorse disponibili in un solo settore, peraltro tecnologicamente maturo ed incapace di generare progresso. La Fiat goded i appannaggi e di privilegi che non merita più dal punto di vista sociale, e men che meno da quello economico.
Questo gigante gargantuesco si mangia un mare di finanziamenti senza restituire niente al tessuto produttivo nazionale. Abbiamo detto in un’altra occasione quali sono pessimi i numeri di Torino (Fiat: cuore americano, portafoglio lussemburghese, sudore italiano) e qui ricordiamo soltanto, a supporto di quanto scritto, che il Lingotto si colloca all’ultimo posto tra i colossi europei per investimenti nella ricerca e nello sviluppo delle nuove tecnologie.
Data questa situazione è una pazzia per lo Stato proseguire nel foraggiamento di una parte privata che non produce innovazione e che sposta all’estero i suoi capitali, i suoi impianti e il grosso dell’occupazione. Quando la Fiat ha bisogno di qualcosa si attacca voracemente alle mammelle di "mamma Italia" , non disdegnando nemmeno l'arma del ricatto. L’ultimo è dell’altro ieri, Torino ha messo in cassa integrazione 30 mila addetti dei suoi stabilimenti italiani per fare pressione sul governo ed ottenere ulteriori incentivi alla rottamazione nel 2010. Altri 2 mld di euro che la Fiat sottrarrà allo Stato e ai contribuenti. Mentre il governo prende la sua decisione, Marchionne e Montezemolo ci costringono pure a sborsare i quattrini necessari alla CIG. Ricordiamo che questa misura sociale è assente in altri paesi dove il Lingotto opera e dove naturalmente non sono stati annunciati tagli di nessun tipo.
Marchionne ha detto più volte, negli ultimi tempi, che la Fiat è una multinazionale. Sarà verosimile... ma lui sembra il solo a non accorgersene
di Gianni Petrosillo
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