Ad un certo punto, la padrona dell’azienda mi disse “ormai siamo economicamente piu’ robusti, e abbiamo superato la crisi, al punto che non lavoriamo piu’ per FIAT”.
Li per li’ la cosa mi lascio’ perplesso: che senso aveva vantarsi di aver perso un cliente che, a rigor di logica, e’ il piu’ succoso del paese? Laa risposta e’ molto semplice: FIAT non e’ il piu’ succoso cliente del paese per le PMI. Questo non perche’ non dia lavoro, anzi: fosse per FIAT, produrrebbe in Italia.
Il guaio e’ che FIAT ha un’organizzazione a dir poco “esponenziale”, con un middle management che e’ , in pratica, una casta sacerdotale intoccabile. Come tutte le caste sacerdotali, quella di FIAT ha instaurato alcune pratiche verso i fornitori. Ovviamente non mi riferisco a tutte le persone del middle management, ma a tutte quelle che si occupano di rapporti coi fornitori.
A parte i pagamenti a tempi inaccettabili, quando FIAT comincio’ a contattare le PMI italiane per terziarizzare il lavoro, esse non ebbero nulla da ridire, anzi. Spesso si ridimensionarono per sostenere il nuovo carico. Una volta che le aziende furono “assuefatte” al carico di lavoro dovuto a FIAT, arrivo’ la generazione dei “colletti bianchi” figli di Romiti , e prese il controllo dei centri di costo e degli uffici acquisti.
Morale della storia: le aziende che lavoravano con FIAT si videro richiedere, con sempre maggiore insistenza, dei “regali” per continuare a lavorare con FIAT. Questa prassi crebbe sino a diventare consolidata, al punto che c’era un vero e proprio listino: a quanto mi raccontarono, a seconda dei volumi di commesse elargite, si oscillava tra semplici “visite all’azienda fornitrice” con tanto di escort pronta, sino agli scooter (il manager dell’ufficio acquisti parlava dicendo che suo figli aveva ormai 14 anni: segnale in codice che significava “voglio uno scooter”), automobili, immobili, soldi liquidi, a seconda dell’importo delle commesse.
Una volta iniziato col malcostume, si aggiunse una nuova cricca di persone, cioe’ quelli che dopo aver ricevuto i pezzi lavorati facevano i controlli di accettazione. Succedeva questo: l’azienda riceveva la commessa per lavorare , che so io, mille barre di un acciaio molto pregiato, che so io, un ECG. A quel punto , quando arrivava il camion con le barre, si scopriva che l’acciaio consegnato era una robaccia proveniente dall’ est europa, magari radioattiva. Si chiamava l’ufficio acquisti e si veniva minacciati di cause civili, per i ritardi di consegna.
Allora, obtorto collo, il nostro padrone di officina lavorava le barre e le rispediva indietro. Risultato: il signore dell’accettazione del materiale minacciava di rifiutarlo, perche’ la qualita’ era troppo scadente. Ovviamente il nostro imprenditore meccanico rispondeva che di certo lui non aveva cambiato il materiale delle barre, ma si vedeva rispondere che sulla bolla si parlava di purissime barre di ottimo acciaio ECG.
Morale della storia: ungere le ruote prima e dopo. Risultato: a parte il giro di cassa, non era conveniente. Per circa un decennio, il massimo imperativo di coloro che avevano lavorato per FIAT (magari espandendosi e quindi avendone bisogno per reggere le spese correnti) fu quello di “uscire dalla schiavitu’ di FIAT”.
Per circa un ventennio, potersi vantare di “non lavorare piu’ per FIAT” fu un sinonimo di ottima saluta finanziaria. Una PMI che prima lavorava con FIAT o che era nata con FIAT e che aveva la forza si separarsene aveva fatto un “salto di qualita”. Nella mente dei piccoli imprenditori, nel corso dei decenni si e’ fatta strada una strana divisione: da una parte le aziende ancora deboli o naviganti in cattive acque, cosi’ con l’acqua alla gola da dover lavorare con FIAT. Dall’altra parte le aziende fiche, quelle brave, che riuscivano ad affrancarsi da questa schiavitu’.
Questa mentalita’ e’ ormai cosi’ diffusa che e’ quasi normale sentir dire, come motivo di vanto, “noi non lavoriamo piu’ con FIAT”, come se perdere un cliente fosse una cosa buona. E questo perche’ il middle management di FIAT ha reso cosi’ incredibilmente lercio il business che le stesse PMI hanno dovuto cercare altro da farsi.
Il problema e’, a questo punto, che volendo costruire uno stabilimento bisogna avere per forza di cose una grandissima quantita’ di fornitori da gestire. E se pochi sono disposti a lavorare con pagamenti a 360 giorni, mazzetta propedeutica e mazzetta digestiva, il risultato sara’ che gran parte dei servizi e delle forniture bisognera’ farle venire da fuori.
Il problema vero di FIAT e’ che alle condizioni con cui fa le commesse NON PUO’ piu’ aprire stabilimenti in Italia. O trova imprese cosi’ disperate da dover accettare di lavorare coi suoi termini inaccettabili e il malcostume imperante dei suoi funzionari, e quindi aziende a bassa innovazione e bassa qualita’ (o alti prezzi, onde rientrare degli interessi di un anno di pagamento delazionato e di eventuali regalie) , oppure deve far venire dall’estero il materiale.
Non so se il top management di FIAT sia cosciente di questo malcostume, cioe’ di come i loro uffici acquisti lavorano coi fornitori; probabilmente no, e si sentono dire che produrre in Italia costi troppo senza chiedersi per quale motivo non riescano a strappare prezzi migliori dai propri fornitori, nemmeno in tempi di crisi. Fattosta che questa situazione dura ormai da decenni, e “non lavorare piu’ con FIAT” e’ ormai un simbolo di indipendenza economica e di salute aziendali.
Di fatto, costruire uno stabilimento in Italia, grazie a questo middle management, e’ praticamente impssibile. I pochi stabilimenti che ancora ci sono moriranno lentamente, mano a mano che sempre piu’ aziende riusciranno ad ottenere l’agognato status di “noi non lavoriamo piu’ per FIAT”.
Queste PMI che non sognano altro che “non lavorare piu’ per FIAT” sono il cuore dell’elettorato leghista e berlusconiano. Il che significa che, trasferendo il problema sul piano politico, quello attuale e’ un governo che ha una gran voglia di dichiarare “noi non lavoriamo piu’ con FIAT”.
Qui avviene il transfert: una volta che per un elettorato di riferimento “non lavorare piu’ per FIAT” diventa motivo di vanto, lo diventa anche per il partito. E quindi, per il governo.
A questo punto, abbiamo uno Scajola che da un lato non vuole piu’ dare soldi a FIAT , perche’ questa eventuale dazione ricorderebbe ai suoi elettori il ricatto da cui loro stessi voglioni (e alcuni sono riusciti) affrancarsi: “se vuoi il lavoro , paga”.
Non c’e’ , quindi, da temere che il governo possa finanziare, direttamente o in qualsiasi modo, la FIAT. Con una base che ricorda con ribrezzo e assai poca nostalgia gli anni in cui veniva taglieggiata con “se vuoi il lavoro, paga”, ne’ la Lega ne’ FI possono permettersi di farlo. La base vuole “non lavorare piu’ con FIAT”, il governo deve seguire.
Dall’altro lato, la crisi di termini deve portare una soluzione simile a quella degli imprenditori “vincenti”: trovare altri clienti “buoni” che permettano all’ azienda (in questo caso all’ Italia) di “non lavorare piu’ per FIAT”.
Cosi’, quello che dobbiamo aspettarci da questo governo, almeno sul piano della trattativa pubblica, e’ quello che i piccoli imprenditori sono riusciti ad ottenere con grande fatica (e chi non c’e’ riuscito sta sudando per arrivarci), ovvero:
- Smettere di pagare qualsiasi dazio/contributo/aiuto a FIAT, sotto qualsiasi forma. (essi ricordano troppo alle PMI quei “regalini” che dovevano fare per “avere il lavoro”).
- Lavorare come hanno lavorato le PMI, ovvero cercare altri clienti che permettano di evitare l’abbraccio di FIAT.
- Poter annunciare con fierezza “noi non lavoriamo piu’ con FIAT”.
Questo pone innanzitutto due problemi.
Il primo e’ per FIAT: e’ vero che nei paesi stranieri non si e’ ancora verificato il peggioramento del middle management che e’ avvenuto in Italia, ed e’ vero che paesi poveri sono disposti a lavorare a tali condizioni. Ma e’ anche vero che mano a mano che crescono, tali paesi tenteranno a loro volta di affrancarsi da quel modo di fare.
In secondo luogo, la capacita’ di ricatto politico che un gruppo ha sul governo e’ rappresentata dal numero di dipendenti che puo’ licenziare in campagna elettorale. Mano a mano che questo numero si affievolisce il governo ha sempre piu’ le mani libere, e molti governi stranieri non sono altrettanto nella disposizione di finanziare FIAT.
Non sarebbe meglio per FIAT agire sul malcostume del middle management, che ha reso il fatto di lavorare per FIAT quasi un’onta ?
In secondo punto, per il governo: e” vero che gran parte delle PMI trarrebbe sollievo dal sentire il governo annunciare “noi non lavoriamo piu’ per FIAT”, ma rimane il fatto che molte PMI hanno l’acqua alla gola e devono, obtorto collo, lavorarci. Il che significa, in un modo o nell’altro, che queste aziende sono cosi’ fragili da rischiare il collasso se FIAT continua a dismettere.
La mia opinione e, a questo punto, che in questa situazione tantovarrebbe seguire la strada contraria: il governo finanzia FIAT, ma la finanzia troppo. Cosi’ tanto, e a tali condizioni, che il gruppo non riesca piu’ a vivere senza. In questo modo, le parti si invertono e le redini del gruppo vanno al governo. Che poi riporta in Italia la produzione.
Si tratterebbe cioe’ di una “nazionalizzazione alla francese”, nella quale il governo aiuta cosi’ tanto alcune aziende che esse hanno bisogno del governo per sopravvivere. Cosi’ facendo, la politica prende di fatto il controllo dell’azienda, e i soldi investiti vengono recuperati ordinando all’azienda di rispostare la produzione in casa.
Onestamente, non vedo alternative: se continua la contrapposizione tra una FIAT che ha perso il controllo del middle management e non riesce piu’ a lavorare in Italia ed un governo che mira a sostituirla con altre attivita’ per accontentare un elettorato di PMI che hanno fatto altrettanto, il risultato presto sara’ una FIAT che lascia di fatto il paese ed un governo che trova delle alternative non italiane.
Non e’ meglio, allora, una nazionalizzazione furba?
di Uriel
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