9.10.06

I video di Al Qaeda rilasciati dal Governo di Bush, ecco le prove


La provenienza dell’ultimo video, con la partecipazione di Mohammed Atta e il dirottatore del volo 93 Ziad Jarrah, è stata nascosta ai mezzi di informazione i quali in modo bizzarro ammettono che il governo aveva avuto la registrazione alla fine del 2001, per poi suggerire anche che esso è un nuovo rilascio di Al Qaeda.

E’ interessante anche il fatto che in un articolo dell’NBC, essi ammettono che prima di ricevere ‘l’esclusiva analisi USA’ del video del London Sunday Times, avevano compilato all’inizio dell’anno il Freedom of Information Act per lo stesso video:

"The Sunday Times ha detto di aver ottenuto il video “attraverso un canale precedentemente verificato” ma non ha fornito ulteriori dettagli. NBC News ha compilato un Freedom of Information Act di richiesta ma il Pentagono non ha ancora espresso il proprio parere”.

Questa è una aperta ammissione che è il Pentagono ad aver rilasciato il video e non Al Qaeda. E si incastra perfettamente con una nostra precedente analisi che ha rivelato che il video in questione era già stato visto in un documentario, The Road to Guantanamo, dove viene mostrato a detenuti del Campo Delta sotto forma di un video di sorveglianza dell’intelligence.

Insieme agli esperti sui gruppi terroristici islamici che si sono sentiti sconcertati dal video e che hanno sostenuto la sua provenienza da una agenzia di sicurezza, lo stesso giornalista che ha ricevuto il video ha anche detto che la fonte non è Al Qaeda.

E’ inoltre interessante che questo giornalista, Yousri Fouda, sia non solo un giornalista del Sunday Times ma anche il responsabile dell’agenzia di Al Jazeera a Londra. Egli è l’individuo che normalmente diffonde tutti i video di Al Qaeda, e così in verità il legame al London Times è solo una cortina fumogena.

Tutto indica che i video sono forniti a Fouda e Al Jazeera da As Sahab, la “compagnia di produzione” di Al Qaeda, attraverso un gruppo conosciuto con il nome di Intelcenter, che vende anche i video online.
Intelcenter di norma mette in vendita i video non appena vengono rilasciati, e, a dire il vero, in passato sono stati capaci anche di predire quando avrebbero ottenuto un video prima del suo rilascio, come hanno fatto con il video del secondo attentatore di Londra nell’anniversario del 7/7.

Intelcenter è diretto da Ben Venzke, che è un interessante personaggio. Una ricerca su Google rivela che egli una volta era il direttore dell’intelligence presso una compagnia chiamata IDEFENSE, che è una compagnia di sicurezza sul web che monitorizza le notizie sui conflitti in Medio Oriente e, fra le altre cose, si focalizza sulle minacce informatiche. E’ anche fortemente popolata da ex membri dei servizi segreti militari.

Il direttore del ramo “Threat Intelligence”, Jim Melnick, è stato per 16 anni nell’esercito americano e nella Defense Intelligence Agency (DIA), occupandosi di operazioni psicologiche. Dal sito IDEFENSE:

Prima di lavorare per la IDefense, Mr. Melnick si è distinto per oltre 16 anni nell’esercito americano e nella Defense Intelligence Agency. Durante tale periodo, Mr. Melnick ha svolto la sua attività in una varietà di ruoli, tra cui operazioni psicologiche, problemi di allarme internazionale con enfasi sugli affari esteri e operazioni di informazione e affari russi. Ha anche lavorato in ruoli attivi di intelligence politico/militare in particolare per problemi esteri. Mr. Melnick è attualmente un colonnelo di riserva dell’esercito americano con compiti di intelligence militare, assegnato all’ufficio del segretario della difesa. Mr. Melnick ha pubblicato in numerosi giornali militari e di affair esteri ed è stato insignito di numerosi premi militari e della DIA. Mr. Melnick si è laureato in sicurezza nazionale e studi strategici presso l’U.S. Naval War College, in studi sulla Russia presso l’Università di Harvard, e, con lode, in scienze politiche al Westminster College.

Così abbiamo qui una compagnia che per propria ammissione ha un funzionario dei servizi segreti militari, esperto in operazioni psicologiche, che ha lavorato direttamente per Donald Rumsfeld. Poiché Intelcenter e Ben Venzke sono direttamente connessi alla IDEFENSE, Rumsfeld viene a trovarsi a soli tre passi dai video di propaganda su Al Qaeda.

Il problema “analisi USA” della NBC dovrebbe essere il punto centrale dell’ultimo video e non gli articoli del Times. Si tratta di uno sbalorditivo pezzo di propaganda psicologica che tenta in un modo gretto di riempire le lacune dei servizi sull’11/9. L’analista, Evan Coleman, dopo aver ammesso che il Pentagono “ha indagato su questo” è giunto a dire:

"E’ importante che la gente guardi e realizzi che questo video è la prova conclusiva che l’11/9 è stato orchestrato da Al Qaeda ai più alti livelli”.

E successivamente attacca in modo diretto il movimento per la verità sull’11 settembre dicendo:

"Questo genere di prova video metterà in disparte e per buone ragioni molti dei teorici cospirazionisti dell’11/9”


Coleman finisce poi con il contraddirsi dicendo, da un lato, che il Pentagono era in possesso del video dal 2001 e, dall’altro, che Al Qaeda ha rilasciato il video.

Il ruolo del governo USA nell’ottenere, studiare e gestire attentamente la disseminazione di questi filmati, molti dei quali vecchi video rilasciati più volte, è adesso senza alcun dubbio manifestatamene ovvio e richiede una immediata inchiesta del Congresso. Per favore diffondete questa informazione e aiutateci ad smascherare l’amministrazione più manipolativa nella storia, un regime che è impegnato in una guerra psicologica contro il popolo americano.
Guarda il video
di Steve Watson

5.10.06

Il papa nero:il controllore dell'Umanita'?


L'ex vescovo del Guatemala Gerard Bouffard ha affermato che il Vaticano è "il vero controllore spirituale" degli Illuminati e del Nuovo Ordine Mondiale, mentre i Gesuiti, tramite il Papa Nero, il padre generale Peter Hans Kolvenbach , controllano effettivamente la gerarchia vaticana e la Chiesa Cattolica Romana.

Il vescovo Bouffard, che ha lasciato la Chiesa ed ora è un Cristiano Rinato che vive in Canada, ha raggiunto la sua conclusione dopo aver lavorato sei anni come sacerdote in Vaticano, incaricato del compito di trasmettere la corrispondenza giornaliera riservata tra il Papa ed i dirigenti dell'Ordine dei Gesuiti, che risiede in Borgo Santo Spirito n° 5, nei pressi di Piazza di San Pietro.

"Sì, l'uomo conosciuto come il Papa Nero controlla tutte le più importanti decisioni prese dal Papa e questi a sua volta controlla gli Illuminati",
ha dichiarato il vescovo Bouffard la settimana scorsa nel corso della trasmissione radiofonica di Greg Szymanski, The Investigative Journal, all'indirizzo www.gcnlive.com, dove le registrazioni di queste dichiarazioni sorprendenti possono essere ascoltate nella loro interezza.

"So che questo è vero, in quanto ho lavorato per anni in Vaticano ed ho viaggiato con Papa Giovanni Paolo II. Il Papa prende i suoi ordini di marcia dal Papa Nero, mentre i Gesuiti sono anche i leader del Nuovo Ordine Mondiale, con il compito di infiltrare le altre religioni ed i governi del mondo, allo scopo di realizzare un unico governo mondiale fascista ed una religione mondiale unica, basata sul Satanismo e Lucifero".

"Le persone non possono immaginare quanto male e quanta distruzione i Gesuiti abbiano causato e causeranno, mentre contemporaneamente usano la perfetta copertura di nascondersi dietro tuniche nere e di professarsi uomini di Dio".

La conoscenza di prima mano da parte del vescovo Bouffard del male che aleggia all'interno della gerarchia del Vaticano e particolarmente entro l'Ordine dei Gesuiti conferma la testimonianza di altri ricercatori, compreso Bill Hughes, autore degli sconvolgenti libri The Enemy Unmasked e The Secret Terrorists, come pure il preminente ricercatore sull' Ordine dei Gesuiti Eric Jon Phelps, autore di Vatican Assassins.

Oltre a dipingere un cupo ritratto del Papa Nero in Roma, il vescovo Bouffard rivela che il potere malefico dei Gesuiti si estende da un capo all'altro del mondo, inclusa una solida infiltrazione del governo Usa, del Consiglio delle Relazioni Estere (CFR) e delle maggiori organizzazioni religiose.

Il vescovo Buffard proclama che i Gesuiti agiscono come perfetti camaleonti, assumendo l'identità di Protestanti, Mormoni, Battisti e Giudei, con l'intenzione di causare il tracollo degli Usa così come di portare la nazione sotto una religione mondiale unica, fondata in Gerusalemme e sotto il controllo del loro leader, Lucifero.

"Io so di prima mano che il Vaticano controlla e monìtora ogni cosa in Israele, con l'intenzione di distruggere i Giudei", ha affermato il vescovo Bouffard, aggiungendo che l'autentico proposito dell'Ordine dei Gesuiti è quello di orchestrare e controllare tutti i leader del mondo, allo scopo di provocare un più importante conflitto esteso al mondo intero, che alla fine distruggerà gli Usa, il Medio Oriente ed Israele. "Essi distruggono ogni cosa dall'interno e vogliono provocare la distruzione pure della stessa Chiesa Cattolica, allo scopo di inaugurare una religione mondiale unica basata sul Satanismo. Ciò si vede anche nel modo in cui i sacerdoti svolgono i servizi religiosi nella Messa, in effetti venerando i morti . Inoltre segni di Satanismo si riscontrano in molti simboli esteriori, consuetudini e paramenti esibiti dalla Chiesa".
DI GREG SZYMANSKI
The Arctic Beacon

2.10.06

La guerra al Terrorismo è un inganno collettivo?


Cosa hanno in comune Henry Kissinger, George W. Bush, Charles Krauthammer (1), George Soros ed il Papa?

Sono tutti mezzi-busti Illuminati e, eccetto Soros, la settimana scorsa battevano i tamburi della propaganda a favore di un completamente ingiustificato e catastrofico "scontro di civiltà", cioè la 3a Guerra Mondiale.
Soros, invece, ha rilasciato delle dichiarazioni realmente sensate. Sfortunatamente, solo "Cybercast News Service" le ha riportate.

Giovedì scorso il miliardario (in dollari) e filantropo George Soros ha equiparato l'amministrazione Bush ai regimi socialisti e comunisti, mentre criticava la guerra al terrore intrapresa dagli Usa.

L'attivista politico liberal ha affermato che la strategia Usa di combattere una "guerra" contro il terrorismo è "falsa" e che costituisce una "lugubre e scoraggiante situazione".

Agli intervenuti presso la "Fondazione Carnegie per la Pace Internazionale" Soros ha dichiarato: "Fronteggiamo una montatura di estrema falsità, quando parliamo di una "guerra al terrorismo", ed ormai essa viene universalmente accettata".

"Ognuno ormai riconosce che l'invasione dell'Iraq è stata un errore grossolano, ma la guerra al terrorismo è ancora il contesto accettato da Democratici e Repubblicani indistintamente", ha inoltre dichiarato Soros. "E' una falsa, fuorviante, controproducente, distruttiva montatura".

Mi auguro che il discorso di Soros rappresentasse una sincera retromarcia e la ricerca del buonsenso da parte dei banchieri Illuminati. Più verosimilmente è solo un tentativo da parte dei Rothschild e dei Rockefeller di strappare il controllo dalle mani dell'incapace Bush. In definitiva anche loro sono responsabili dell'11 settembre e della guerra al terrorismo, ma intendono trarre vantaggio dalla rivolta contro il Presidente assediato, creando una falsa opposizione.

Un fatto è certo. La guerra al terrorismo è un inganno collettivo, orchestrato da una ristretta cerchia di persone. George W. Bush è l'Imperatore senza abiti. Secondo l'Agenzia dei servizi segreti tedeschi (BND) Bush ricevette tre precisi avvertimenti precedenti l'11 settembre da Germania, Francia e Russia, e li tenne nascosti. George W. Bush è il terrorista contro cui mette in guardia.

Il rapporto dei servizi segreti tedeschi è autentico, secondo me. Al governo tedesco fu chiesto di disconoscerlo, ma esso si rifiutò. Nessuno è stato capace di confutarne anche un solo dettaglio in 4 anni.

Il Rapporto tedesco contiene informazioni di cui nessun falsario avrebbe potuto disporre. Per esempio riporta che il Mossad finanziò le operazioni correlate all'11 settembre commerciando ecstasy negli USA. Il commercio della droga fu in seguito confermato da un rapporto DEA. Il Rapporto rivela anche un incontro segreto avvenuto l'11 luglio 2001, nel corso del quale gli Usa informarono Russia e Pakistan dei loro piani di attaccare l'Afghanistan in ottobre.

Non è possibile assistere al nuovo documentario "9-11 Press For Truth" senza concludere che l'amministrazione Bush sta effettuando un ostruzionismo accanito sull'11 settembre. Il film documenta gli sforzi infruttuosi delle famiglie delle vittime per ottenere credibili spiegazioni.

Bush e Cheney hanno agito come colpevoli: essi, alla prova dei fatti, hanno rifiutato di testimoniare sotto giuramento presso la Commissione per l'11 settembre! In seguito Bush ha avuto l'audacia di dire: "Sono contento di aver preso tempo". Ricordate che l'11 settembre è stato la scusa per lacerare la Costituzione, che egli aveva giurato di proteggere.

Il film procede sollevando un'altra sconvolgente possibilità: che la CIA tuttora sostenga i Talebani tramite lo ISI Pakistano. La CIA, come il Mossad e lo MI-6, rappresenta gli interessi dei banchieri Illuminati. I loro piani sono quelli di rovinare gli Usa attraverso costose guerre ed incorporarli nel Nuovo Ordine Mondiale. "9-11 Press For Truth" esamina in che modo gli Usa consentirono a Bin Laden di fuggire da Tora Bora ed autorizzarono un'evacuazione aerea dei quadri militari Talebani dalla città di Konduz.

La settimana scorsa Lisa Meyer della NBC ha riportato che in luglio, ad un aereo militare Usa senza pilota, fu impedito di attaccare un folto gruppo di Talebani riuniti per un funerale con la motivazione delle "regole di ingaggio". Io avverso l'invasione Usa-NATO dell' Afghanistan, ma questo evento ricorda Korea e Vietnam, guerre nelle quali gli Usa furono ostacolati dagli Illuminati.

"9-11 Press For Truth" manca di menzionare il ruolo del Mossad e molto di più, ma siano benvenute tutte le operazioni che fanno avanzare elementi di verità. Questo film fa parte di uno sforzo per attribuire tutta la colpa a Bush e ai Repubblicani, ma in questi tempi difficili metà della verità è preferibile a niente del tutto. Naturalmente anche Larry Silverstein e la alta gerarchia del partito Democratico sono complici.

In generale il "movimento per la verità sull'11 settembre" è la nostra migliore speranza per restaurare il buon senso ed opporre resistenza al fascismo. Gli eroi della "Verità sull'11 settembre" sono persone come Steve di Aspen, in Colorado, che mostra i film sull'11 settembre nel canale via cavo del luogo. Joe di Winnipeg ha inciso a proprie spese migliaia di DVD sull'11 settembre e li ha distribuiti a sconosciuti. Neil ha un nuovo sito, che offre video in streaming. Dobbiamo concedere riconoscimenti ed appoggio ad iniziative come questa. Si organizzino ricevimenti o concerti, focalizzati a far venire a galla la verità.

Non possiamo comprendere il mondo senza riconoscere che esso è largamente controllato dai banchieri centrali con sede a Londra, che hanno creato un monopolio truffaldino sulla gestione del credito nella maggioranza delle nazioni. Il "Denaro" non è altro che un prestito gravato di interessi e concesso al governo, che i banchieri hanno creato dal niente. Allo scopo di proteggere questa attività illegale redditizia, ma costituita di furti, i banchieri sono determinati a farci schiavi, usando mezzi sofisticati di controllo sociale e mentale.

Jesse Helms non era un teorico della cospirazione. Ma, in un discorso al Congresso il 15 dicembre 1987, il futuro leader della maggioranza al Senato mise in guardia che lo "establishment orientale" stava preparando un "sistematico stato di guerra psicologica" contro il popolo Usa, per instaurare un governo mondiale. Egli indirizzò questo energico attacco al sistema della Federal Reserve (2).

Ovviamente i banchieri Illuminati non credono in un Dio di amore. Progenitori del Comunismo, adorano Lucifero, la cui ribellione ispira in loro la negazione delle leggi naturali (p.e. le differenze uomo-donna) e realtà spirituali come verità e giustizia. Essi vogliono conformare la realtà secondo i loro propri fini. Vogliono essere Dio. La più recente loro invenzione è l'11 settembre e la guerra al terrorismo. Distruggere questa macchinazione è cruciale per mantenere il governo di Dio sulla terra.

Henry Makow

30.9.06

L'opinione non è più libera


La gente immagina di avere opinioni proprie, non quelle dei grandi magnati corporativi che competono per colonizzare la sfera pubblica. Non siamo proprio così liberi di pensare come crediamo.

Juergen Habermas, filosofo, storico e sociologo tedesco, è spesso citato, tra i molteplici studi accademici, per il grandissimo contributo dato alla sociologia ed alla teoria critica. Il suo risultato più prestigioso, tuttavia, consiste nell’introduzione del concetto di “sfera pubblica”, un fenomeno la cui nascita fa risalire all’Europa del XVIII secolo e che venne costretto ad un prematuro letargo dalle stesse forze che ne decretarono l’inizio.
La “sfera pubblica” teorizzata da Habermas potè svilupparsi grazie alla sua vantaggiosa nonchè logica specificità nello spazio e nel tempo: l’Inghilterra del XVIII secolo. La nascita della cultura borghese, insieme con lo sviluppo della democrazia liberale, diede vita ad una popolazione sempre più istruita con interessi, diritti ed aspettative ben definite. La frequentazione dei Caffè e di altri luoghi pubblici come punti di incontro per il dialogo permise alla borghesia inglese di creare la propria sfera pubblica, che contribuirà, infine, al formarsi dell’opinione pubblica. Le altre democrazie occidentali, e tanto più la Francia con la sua innegabile esperienza di cittadinanza attiva, sarebbero state presto coinvolte in questo cambiamento crescente.

Naturalmente l’idea di Habermas, come qualsiasi altra intuizione rivoluzionaria, diede vita a discussioni e generò accaniti dibattiti. Alcuni affermarono che esistono, in realtà, varie “sfere pubbliche” sovrapposte e simultanee; altri negarono del tutto l’esistenza di tale concetto. La questione è chiaramente assai più complessa e non sembra destinata a risolversi in un breve arco di tempo. Le congetture di Habermas e le loro implicazioni, esposte per la prima volta nel 1962 in “The Structural Transformation of the Public Sphere: An Inquiry into a Category of Bourgeois Society” [La trasformazione strutturale della Sfera Pubblica: un’indagine sulla categoria della società borghese n.d.t.], continuano ad essere attuali e di estrema rilevanza.

La crescita e la persistenza della sfera pubblica nel XVIII e XIX secolo fu di enorme importanza, dal momento che riuscì infine a definire la relazione tra Stato e Società in modo decisamente più imparziale che in passato. Finalmente l’opinione pubblica contava qualcosa, o almeno così sembrava. Il modo in cui tale opinione veniva trasmessa richiedeva meno mezzi ed assai meno intermediari.
A prescindere dal dove cominci e dove finisca la “sfera pubblica”, dal momento che ha fallito più volte nel rappresentare adeguatamente le donne, le minoranze, i lavoratori ed altri gruppi storicamente marginalizzati, di certo è riuscita almeno nello stabilire i confini tra il “Mondo della vita” [life-world: in tedesco lebenswelt, mondo vitale n.d.t.] e il “Sitema”; il primo rappresenta la mutua solidarietà di coloro che sono coinvolti nel formare la sfera pubblica, il secondo riguarda lo Stato, il suo apparato e la sua relazione col potere e l’autorità.
Di norma, il rapporto dovrebbe essere di tipo elastico [push and pull: tira e molla n.d.t.], dove il Mondo della vita cerca di proteggere ed espandere il suo peso sociale e politico, mentre il Sistema tenta incessantemente di colonizzare la sfera pubblica ed il suo Mondo della vita. Giustamente, ci si aspetterebbe che una democrazia esemplare sia quella che offra un bilanciamento del potere tra la Società e lo Stato, in modo da tenere sotto controllo coloro che rappresentano l’autorità e proteggere la Società dal caos.

È chiaro che solide democrazie avrebbero ben poco interesse a regredire al livello dei regimi feudali ed autoritari di precedenti epoche storiche. Il XX secolo fu prova di tale affermazione, tanto quanto della rapida colonizzazione della sfera pubblica [da parte dello Stato] con mezzi che andavano al di là del potere e della coercizione: quelli del capitalismo.
Il capitalismo determinò l’iniqua distribuzione della ricchezza e, conseguentemente, del potere. Mentre nei secoli passati la sfera pubblica della borghesia aveva da tempo accettato la continua espansione del Mondo della vita, la concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi, ancora una volta, ridefinì la relazione tra Società ed Autorità. Il Sistema aveva finalmente trovato il modo di penetrare la solidarietà di fatto del Mondo della vitaattraverso i recenti rapporti stabilitisi tra lo Stato ed i nuovi capitalisti. Questi si accorsero che era più redditizio tenere sotto controllo l’opinione pubblica, per compiacere lo Stato, in cambio di una parte del potere e dei privilegi che solo esso poteva garantire; la popolazione può continuare così a credere che la sua opinione conti qualcosa, mentre di fatto vale ben poco.

Questo può aiutarci a capire come mai Habermas, tra gli altri, abbia parlato di “ascesa e caduta” della sfera pubblica proprio nel momento in cui sembrava avessimo raggiunto un accesso ai mezzi di comunicazione mai visto prima. In breve, ciò che rimane della sfera pubblica è l’illusione che ce ne sia una.

Le idee di Habermas non richiedono spiegazioni convincenti per essere comprese; sono evidenti di per sè. Tuttavia, un articolo su “The Guardian” del primo luglio a firma di Lance Prince, ex consulente d’immagine [media advisor] del Primo Ministro inglese, ha riportato il soggetto alla ribalta. Price afferma che il magnate dell’informazione Rupert Murdoch è probabilmente l’uomo più potente nel panorama mondiale dei mezzi di comunicazione. Murdoch, cittadino americano nato in Australia, possiede letteralmente una quota significativa dell’opinione pubblica attraverso il controllo del più vasto impero mediatico al mondo.
“Non ho mai incontrato il signor Murdoch, ma a volte, quando lavoravo a Downing Street [10 Downing St. è l’indirizzo della residenza e dell’ufficio del Primo Ministro inglese n.d.t.], avevo l’impressione che fosse il 24˚ membro del gabinetto. Raramente si sentiva la sua voce (ed allora si sarebbe potuto dire lo stesso di molti degli altri 23 membri), ma la sua presenza era sempre percepita”, scrive Price.
Murdoch “partecipò a molte sedute di emergenza al Ministero dell’Interno e si potrebbe scrivere un’interessantissima tesi di dottorato su come la sua stampa influenzò la politica del governo riguardo ai temi dell’immigrazione e del diritto d’asilo,” aggiunge l’autore del best-seller The Spin Doctor's Diary [“Diario di uno Spin Doctor” n.d.t.]. “È davvero ironico che, durante il suo primo anno alla guida del Partito Laburista, Tony Blair sia volato dall’altra parte della Terra per discutere con il signor Murdoch e i suoi dirigenti di “News International”(1) e che si appresti nuovamente a fare lo stesso il mese prossimo (luglio 2006), probabilmente l’ultimo del suo mandato.”
Per quanto incredibili possano sembrare, le rivelazioni di Price, un uomo che fu profondamente coinvolto nei lavori del governo britannico, appaiono assolutamente coerenti con il rafforzarsi del legame tra il mondo dei media ed i governi delle democrazie occidentali. Tale vincolo è poi particolarmente visibile nel caso degli Stati Uniti.

La relazione tra media e Stati, però, diventa ancora più pericolosa nel momento in cui entrambi si alleano, e non a caso, sullo stesso terreno ideologico. Murdoch è un ideologo di destra, pro Israele (è ben nota la sua amicizia con Ariel Sharon), e favorevole alla guerra. Nel 2003 [attacco e invasione dell’Iraq – NdT], ogni pagina editoriale della massa dei suoi 175 giornali sparsi per il mondo recitò lo stesso identico mantra guerrafondaio. Alcuni potrebbero aver candidamente pensato che tutti i media mondiali stessero convergendo indipendentemente verso un consenso unanime che vedeva nel presidente Bush colui che “si comporta con un profondo senso della morale e nel modo più opportuno”, per usare le parole dello stesso Murdoch, e che tale convergenza fosse un riflesso complessivo del consenso pubblico internazionale riguardo l’argomento. La realtà, tuttavia, era spiacevolmente un’altra.
Naturalmente, Murdoch, proprietario di numerosi giornali, stazioni televisive e mezzi di informazione in tutto il mondo, non è un’eccezione, ma la regola. Nel mondo dei media statunitensi, infatti, si sta verificando una convergenza costante che tende ad accentrare in mano a poche multinazionali, in un modo mai osservato prima, la proprietà di migliaia di stazioni radio e televisive, giornali, riviste, ecc. Mentre alcuni, all’oscuro di chi possieda cosa, cantano ancora le lodi della “libertà di stampa”, la democrazia si sta avviando verso un declino pericolosissimo: il “Mondo della vita”, come mai accaduto prima, sta cedendo di fronte al perenne dilagare del “Sistema”, ed ormai non esiste quasi più una vera “sfera pubblica”, almeno non in forma significativa.
Benchè gli Stati non siano più in grado di prevenire incidenti o di garantirsi un potere assoluto, hanno, però compreso l’inestimabile valore dei mezzi di comunicazione nel manipolare un’opinione pubblica favorevole e, guarda caso, coincidente con quella dello Stato stesso. In cambio, gli interessi commerciali e persino quelli ideologici di coloro che controllano i media sono sempre garantiti. Fino a quando tale correlazione non sarà riconosciuta appieno e resa inefficace, la democrazia reale procederà verso uno spaventoso declino, alla fine del quale un’efficace democrazia partecipativa verrà scalzata dalla mera retorica democratica, utile solo a soddisfare fini politici, ideologici ed infine imperialistici. Tale spirale discendente è destinata solo a peggiorare senza la fondamentale presa di coscienza che porti la collettività a riappropriarsi di ciò che le appartiene: la propria opinione, la propria sfera pubblica e la propria democrazia.

28.9.06

Lo scenario prossimo in Iran


Esperti militari di Washington hanno riconosciuto la validità dell'analisi di Lyndon LaRouche secondo cui Bush e Cheney si ripromettono un attacco contro l'Iran a tempi ravvicinati, “senza preavviso”, come ha detto lo statista democratico, senza consultare il Congresso, le Nazioni Uniti e gli “alleati” degli USA. Lo scenario più probabile, ha spiegato LaRouche, è un ordine di Bush di attaccare l'Iran dalla base aerea di Offutt nel Nebraska.

L'allarme è stato lanciato da diversi ambienti contrari alla politica imperiale:
- Il colonnello in congedo dell'Air Force Sam Gardiner ha scritto un articolo per «The Century Foundation» in cui spiega che elementi dell'amministrazione Bush non tengono conto delle preoccupazioni espresse dagli ufficiali in servizio ma sono sempre più propensi a ordinare gli attacchi aerei, miranti non solo ai siti del programma nucleare iraniano, ma a colpire lo stesso governo per “decapitare” il regime. L'analisi di 25 pagine di Gardiner è intitolata “La fine della 'estate della diplomazia'.”

- Un lungo articolo pubblicato il 21 settembre da The Nation, intitolato “Segnali di guerra”, riferisce: “The Nation è venuto a sapere che l'amministrazione Bush e il Pentagono hanno emesso ordini per la costituzione di 'gruppo d'assalto' di navi ... che si diriga verso il Golfo Persico, sulle coste occidentali dell'Iran”. Al gruppo apparterrebbero la portaerei Eisenhower e una scorta di sottomarini. The Nation cita Gardiner e diversi altri ufficiali militari e dell'intelligence, tra cui il noto ex analista della CIA Ray McGovern, che hanno confermato l'estrema gravità della situazione.

- Sull'American Conservative, l'ex funzionario CIA Phil Giraldi ha riferito i moniti provenienti da diversi militari in servizio e da parte di politici preoccupati per la fretta con la quale la Casa Bianca sta procedendo verso il bombardamento dell'Iran.

- Il colonnello dell'Air Force Karen Kwiatkowski spiega in un articolo su LewRockwell.com che l'invasione dell'Iran “non è soltanto già pianificata, ma è già in corso”. “Prove, piani e documenti mostrano che l'invasione dell'Iran, usando l'Iraq, il Golfo Persico, il Pakistan, la Turchia , il Kurdistan, soldati e marines iracheni e americani … è già in corso, illegalmente”.

- Lo scrittore iraniano Abbas Bakhtiar, professore universitario in Norvegia, ha pubblicato due analisi sul pericolo di un attacco USA in Iran. La prima è un articolo apparso il 28 agosto su “Scoop Independent News”, la seconda è un'analisi di 80 pagine intitolata “U.S. vs Iran: Hybrid War”.

Secondo Bakhtiar, l'Iran risponderà all'aggressione con l'impiego di forze regolari e irregolari (da qui il termine guerra ibrida). Dopo aver ampiamente descritto le forze di cui dispone l'Iran, (350 mila regolari, 100 mila della guardia repubblicana, 100 mila volontari. Inoltre: 350 mila riservisti dell'esercito e 300 mila riservisti dei volontari. 45-60 mila poliziotti. Ma secondo alcune stime i volontari potrebbero salire, con le riserve, fino ad alcuni milioni).
Bakhtiar cita rapporti della sicurezza saudita secondo cui l'Iran disporrebbe di elementi piazzati ad alto livello nei ministeri ed in altre istituzioni irachene. Di conseguenza l'Iran potrebbe scatenare la guerra asimmetrica in Iraq, colpendo in profondità le forze anglo-americane ivi stanziate e le loro linee di rifornimento.

Bakhtiar spiega inoltre che le forze iraniane hanno la capacità di bloccare lo stretto di Hormutz, in maniera tale da costringere gli USA ad occupare la regione meridionale dell'Iran e le trenta isole, con un impiego incredibile di forze navali per liquidare le numerose piccole imbarcazioni della guardia repubblicana. Sullo stretto di Hormuz grava inoltre un'ipoteca cinese: nel caso di blocco americano dello stretto, la Cina si troverebbe tagliata fuori dai rifornimenti vitali. Inoltre, lo stesso Iran potrebbe decidere di prendere di mira con i suoi missili tutti i pozzi della regione, compresi quelli del Qatar, del Bahrein e del Kuwait, dove sono presenti basi USA.
Bakhtiar illustra approfonditamente la strategia della guerra ibrida alla quale l'Iran si starebbe preparando dal 1980, anche studiando le esperienze USA in Afghanistan e Iraq. “Le recenti manovre militari iraniane mostrano come, se attaccato, il paese potrebbe schierare uno dei più imponenti eserciti irregolari che si sia mai visto…”

L'Iran probabilmente risponderà alle incursioni aeree USA con spedizioni della Guardia Rivoluzionaria a combattere le truppe americane sia in Iraq che in Afghanistan. A quel punto agli USA non resterebbe che l'opzione di invadere l'Iran, ma il grosso delle sue truppe sarebbe già inchiodato a combattere contro le truppe irregolari nei due paesi confinanti. Allora resterebbe solo l'opzione nucleare. L'Iran, di contro ha anche l'opzione delle armi chimiche e biologiche, scrive Bakhtiar. Inoltre, se l'Iran attacca Israele, quest'ultimo si rivolgerebbe contro la Siria , che comunque ha un patto di difesa con l'Iran e a quel punto non potrebbe restare fuori dal conflitto.

Lo studio è una utile esposizione, molto dettagliata, su come si sviluppa la guerra irregolare che LaRouche ha denunciato come il pericolo maggiore derivante da un attacco dei neocon contro l'Iran.
Non sorprende come un'accelerazione di questa politica folle sia avvenuta proprio nel momento in cui il presidente iraniano Mohamoud Ahmadinejad ha fatto diverse offerte a favore della pace nel corso della visita negli USA ed alle Nazioni Unite

Le audizioni dei democratici al Senato
Intanto sono iniziate il 25 settembre le audizioni del Senate Democratic Policy Committee sulla condotta della guerra in Iraq. La seduta è stata presieduta dal capogruppo Harry Reid e dai sen. Durbin, Dorgan e Shumer. La controparte repubblicana, vivamente invitata a partecipare, ha preferito disertare la seduta.
La lista di tutto quello che è andato per storto nella guerra in Iraq è stata presentata da Reid e sono stati poi ascoltati tre alti ufficiali in congedo. Tutti e tre hanno auspicato un avvicendamento ai vertici del Pentagono ma al tempo stesso hanno anche deprecato la latitanza del Congresso e degli stessi democratici nel contrastare la guerra.

Il colonnello dei Marines Thomas X. Hammes, autore di un libro molto apprezzato sulla guerra irregolare, ha ricordato ai senatori che la banda composta da Bush, Cheney e Rumsfeld non ha “preso il potere”, piuttosto, “il potere è stato loro ceduto” da parte dei parlamentari democratici quando nel 2002 decisero di non indire il dibattito sull'Iraq prima del voto. Dopo quelle elezioni fu troppo tardi, anche perché il dispiegamento militare era entrato in una fase avanzata.
Il general maggiore dell'esercito Paul Eaton ha dovuto rispondere al sen. Schumer sulla riluttanza degli ufficiali in servizio di parlare senza riserve sulla situazione reale in Iraq. Gli ha ricordato che il Congresso ha l'autorità di convocare a deporre, e di obbligare gli ufficiali a dire tutta la verità, a prescindere da chi è al governo. Se il Congresso lo facesse, gli ufficiali sarebbero finalmente liberi di ignorare le pressioni di Rumsfeld, ha detto Eaton.

Il general maggiore John Batiste, uno degli ufficiali in congedo più critico nei confronti di Rumsfeld, ha spiegato che occorre smetterla di “ipotecare il nostro futuro al tasso di 1,5 miliardi a settimana e di sostenere il nostro grande esercito e i Marines con finanziamenti straordinari”.
da movisol

27.9.06

I colpi di Stato USA: per la democrazia!


Il magnate della stampa britannica, lord Northcliff aveva detto "l'informazione è ciò che qualcuno, da qualche parte, vi vuole nascondere, tutto il resto è soltanto della pubblicità." In questo caso, il finanziamento di Reporters senza frontiere da parte del governo degli Stati Uniti deve essere un'informazione, perché quest'organizzazione ed i suoi amici a Washington hanno tentato di tutto per nasconderlo.

Nonostante 14 mesi senza ricevere risposta da parte del "National Endowment for Democracy" (NED) alla nostra domanda sulla legge della libertà d'accesso all'informazione ("Freedom of information Act") ed un rifiuto netto da parte del direttore esecutivo di RSF, Lucia Morillon, la NED ha finalmente ammesso che Reporters senza frontiere aveva ricevuto regali nel corso degli ultimi tre anni dall'"International Republican Institute". La NED rifiuta sempre di fornire i documenti chiesti o anche di rivelare gli importi versati, ma questi regali sono identificati dai riferimenti seguenti: IRI 2002-022/7270, IRI 2003-027/7470 ED IRI 2004-035/7473. Il giornalista d'indagine Jeremy Bigwood ha chiesto il 25 aprile al direttore esecutivo di Reporters senza frontiere, Lucia Morillon, se la sua organizzazione ricevesse denaro del IRI, ella ha negato. Ma l'esistenza di questo finanziamento è stata confermata da Patrick Thomas, assistente del presidente del NED.

Questa scoperta mette a nudo una grande menzogna dell'organizzazione che, negli anni, ha negato di ricevere denaro da Washington fino a che alcuni importi relativamente deboli - da parte della NED e del "Center for a Free Cuba" - sono stati scoperti (1). Interrogata sulle origini del suo importante bilancio, RSF ha affermato che il denaro proveniva dalla vendita di libri di fotografie. Il ricercatore Salim Lamrani ha sottolineato l'incoerenza di tale risposta. Anche considerando che questi libri erano stati stampati gratuitamente, sarebbe stato necessario vendere 170200 copie nel 2004 e 188400 nel 2005 per ottenere quasi 2 milioni di dollari che l'organizzazione afferma di raccogliere ogni anno - cioè 516 copie vendute al giorno nel 2005. Evidentemente, dovevano esistere diverse fonti di finanziamento. E risulta che è così. La IRI, un'organizzazione americana repubblicana, è specializzata nell'ingerenza nelle elezioni di paesi terzi, come indicato nella relazione annuale del NED e nel sito Internet dell'IRI. La IRI è uno dei quattro principali finanziatori del NED, un'organizzazione fondata dal congresso USA nel 1983 sotto l'amministrazione Reagan per sostituire i programmi di azioni clandestine della CIA verso le società civili, programmi rivelati e smontati dalla Commissione d'indagine Church neli anni 70 (2). I tre altri pilastri del finanziamento del NED sono "National Democratic Institute" (della parte democratica), "Solidarity Center" (del sindacato AFL) e "Center for International Private Enterprise" (della camera di commercio degli Stati Uniti). Ma di tutti questi gruppi, è la IRI che è più vicina all'amministrazione Bush - come spiega anche il recente articolo del New York Times che rivela il ruolo di questa organizzazione nella deposizione del presidente haïtiano Jean-Bertrand Aristide.

È il presidente Bush che ha designato il suo presidente, Lorne W. Craner, per dirigere i programmi dell'amministrazione destinati ad "instaurare la democrazia". L'istituto, che interviene in più di 60 paesi, ha visto il suo finanziamento d'origine governativo praticamente triplicare quest'ultimi tre anni, passando da 26 milioni di dollari nel 2003 a 75 milioni di dollari nel 2005. Nella primavera scorsa (2005), in occasione di una serata di raccolta di fondi per la IRI, Bush ha qualificato la creazione di democrazie come una "industria in crescita". (3) Il finanziamento da parte della IRI costituisce un problema importante rispetto alla credibilità di RSF come organizzazione di "difesa della libertà della stampa" perché quest'ultimo è stato all'origine di propagande contro i movimenti popolari di Venezuela ed Haiti al momento anche dove uno dei suoi finanziatori, la IRI, tentava di sovvertirli. La IRI ha finanziato l'opposizione venezuelana al Presidente Hugo Chavez ed ha attivamente organizzato l'opposizione haïtiana ad Aristide in coordinamento con la CIA .

Il collegamento che manca tra RSF e quest'attività si chiama Otto Reich, che è inizialmente intervenuto su questi colpi di stato come primo segretario di stato aggiunto per l'America latina e, a decorrere da novembre 2002, come inviato speciale in America latina per conto del Consiglio nazionale di sicurezza. Oltre ad essere uno degli amministratori del "Center for a Free Cuba", finanziato dal governo degli Stati Uniti, e che versa 50.000 dollari all'anno a RSF, Reich ha lavorato dall'inizio degli anni 80 con il primo vicepresidente dell'IRI, Georges Fauriol, altro membro del "Center for a Free Cuba". Ma è l'esperienza di Reich in materia di propaganda che è particolarmente interessante. Negli anni 80, è stato oggetto di indagini sulla guerra illegale dell'amministrazione Reagan contro i Sandinisti. L'indagine ufficiale aveva rivelato nel 1987 che l'"Ufficio di diplomazia pubblica" di Reich "aveva condotto azioni clandestine illegali di propaganda.".

All'inizio dell'anno 2002, dopo che George Bush lo ha impegnato nel dipartimento di Stato, "Reich fu rapidamente destinato alla orchestrazione di una campagna mediatica di diffamazione massiccia contro Chavez che non ha cessato da allora" (5). È Reich all'origine del finanziamento di RSF da parte della IRI? È Reich che ha diretto le operazioni di propaganda di RSF contro Aristide, Chavez e Cuba? Un esame dei metodi dell'organizzazione sembra confermare la tesi; la propaganda contro Aristide, un ex sacerdote, fu altamente grezza. RSF qualificò il presidente haïtiano come "predatore della libertà di stampa" dopo averla implicato, senza nessuna prova, negli assassinii dei giornalisti Jean Dominica e Brignol Lindor. L'organizzazione presentò apertamente fotografie dei cadaveri dei giornalisti nel suo sito web, che li trasformò così in icone di una repressione supposta di Aristide contro la stampa.

Nel 2002, RSF scrisse "il 3 dicembre 2001, a Petit-Goâve, un borgo situato a 70 chilometri al sud-ovest di Port-au-Prince, un giornalista è stato colpito a morte da una banda di assassini legata agli enti politici locali legati al movimento Lavalas (la valanga) del presidente Jean-Bertrand Aristide...." Quest'omicidio si verifica mentre la situazione della libertà della stampa non cessa di deteriorarsi in Haiti dall'assassinio di Jean Dominica, direttore di radio Haiti Inter, il 3 aprile 2000 "(6). Notate l'errore di traduzione intenzionale" di Lavalas "(che significa inondazione e non valanga) e come RSF lega la gang di uccisori al movimento Lavalas di Aristide, implicando con ciò che la gang era diretta dal presidente stesso. L'articolo è pieno di questo tipo di insinuazioni e falsità grezze. "In questo contesto, l'assassinio di Brignol Lindor è interpretato come un nuovo avvertimento a tutta la professione (giornalisti)". Qui, RSF ha già condannato Aristide lasciando intendere che quest'ultimo ha ordinato l'omicidio dei giornalisti per inviare un avvertimento ai mass media d'opposizione e fare cessare le loro critiche al suo riguardo. Ma Jean-Dominica fu assassinato nell'aprile 2000, cioè di numerosi mesi prima dell'elezione di Aristide, e non ci sono prove che il presidente abbia un legame con l'omicidio di Lindor. Nello stesso articolo, RSF qualifica il governo di Aristide come "regime autorevole" e conclude che queste azioni "si integrano in una strategia più ampia delle autorità di ricorrere a milizie per intimidire la stampa".

Questa propaganda sarebbe stata già sufficientemente forte se RSF non avesse adottato misure supplementari per strangolare un paese disperatamente povero e dipendente dall'aiuto esterno - tattica che è stata anche usata contro Cuba (1). L'agenzia Associated Press cita il segretario generale Robert Ménard, che parlava dell'incapacità supposta del governo haïtiano di fermare l'assassino di Dominica, "il Presidente Jean-Bertrand Aristide è responsabile di questa ostruzione, e lo classificheremo fra i predatori della libertà della stampa se nessun progresso verrà compiuto nei mesi che vengono" (8). Le sanzioni economiche imposte dagli Stati Uniti hanno causato un'esplosione dell'inflazione ed hanno privato il governo del denaro indispensabile al suo funzionamento ed alla sua difesa. Per illustrare il doppio standard applicato da RSF, il bilancio dei giornalisti assassinati in Colombia è impressionante, ma Ménard non ha mai fatto pressione sugli Stati Uniti o l'Unione europea per tagliare gli aiuti al governo Uribe. Ma Reporters senza frontiere non si accontentò di una semplice sospensione dell'aiuto. Nel mese di gennaio 2002, Ménard lanciava un appello presso il congresso degli Stati Uniti e dell'Ue per imporre "sanzioni individuali" contro Aristide ed il primo ministro Yvon Neptune, fra le quali i "rifiuti di visti d'entrata o di transito" ed "il congelamento di ogni conto bancario aperto all'estero" (9)

Dopo la cacciata di Aristide il 29 febbraio 2004, RSF ha ignorato praticamente tutte le violenze e persecuzioni contro i giornalisti critici verso il governo Latortue, imposto dell'esterno, affermando al contrario che la libertà di stampa era migliorata. Le relazioni 2005 e 2006 da RSF si astengono di condannare l'esecuzione extragiudiziaria di Abdias Jean che, secondo i testimoni, è stato ucciso dalla polizia dopo avere preso tre fotografie di tre giovani che la polizia aveva appena ucciso. RSF ha anche ignorato gli arresti di giornalisti Kevin Pina (Pacifica Radio - radio progressista USA) e Jean Ristil, e si è astenuto da condurre una vera indagine su molti attacchi contro stazioni di radio pro-lavalas.

Interrogato sulla rivelazione di questi finanziamenti, Pina ha dichiarato: "Fu rapidamente ovvio che RSF e Robert Ménard non erano custodi oggettivi della libertà dell'informazione in Haiti ma piuttosto degli attori chiave in ciò che occorre chiamare una campagna di disinformazione contro il governo di Aristide." I tentativi di implicare Aristide nell'omicidio di Jean Dominica ed il loro silenzio quando il supposto assassino, il senatore Lavalas Dany Toussaint, ha raggiunto il campo anti-Aristide e si presentò alle elezioni nel 2006 è soltanto uno dei numerosi esempi che rivelano il vero ruolo e la natura di organizzazioni come RSF. Diffondono informazioni false e relazioni distorte per fabbricare un'opposizione interna ai governi considerati incontrollabili e che non sono graditi a Washington preparando il terreno per la loro eventuale deposizione fornendo una giustificazione col pretesto di pericolo per la libertà di stampa."

Abbiamo chiesto all'esperto di Haiti a RSF, a Parigi, perché l'organizzazione aveva ignorato l'omicidio di Abdias Jean ed ha risposto: "Abbiamo interrogato la polizia sulla morte di Abdias Jean e ci ha risposto che l'attacco era stato sì effettuato dalla polizia ma che questa non sapeva che era giornalista." Prendeva fotografie. Riconobbe che nessuno dei testimoni dell'omicidio era stato interrogato mentre tutta l'informazione che possedeva su questo caso era basata sulla prova della polizia, conosciuta per i suoi assassinii ed abusi correnti. Per quanto riguarda l'arresto di Pina e Ristil, dice, "generalmente quando qualcuno è imprigionato, aspettiamo per sapere quanto tempo... Sono stati liberati e allora noi non siamo intervenuti." Dato che RSF non è mai intervenuta per il caso di Abdias Jean, è molto poco probabile che essa si impegni per Pina, critica allo stesso tempo del governo d'interim e di RSF. Chi paga decide. Prendendo istruzioni dal dipartimento di Stato USA, RSF si è resa colpevole di demonizzare i governi che gli Stati Uniti vogliono sovvertire, come quelli di Cuba, Venezuela ed Haiti, riducendo al minimo le segnalazioni delle violazioni dei diritti dell'uomo commesse dai suoi alleati strategici come il Messico o la Colombia. Poiché l'organizzazione è riuscita a nascondere il finanziamento dell'IRI, cosa che avrebbe potuto dare l'allarme all'opinione sui suoi obiettivi reali, RSF ha svolto un ruolo efficace nelle aggressioni clandestine dell'amministrazione Bush contro i capi di stati recalcitranti dell'America Latina. L'organizzazione è anche riuscita a usare la sua immagine di organizzazione indipendente a difesa dei diritti dell'uomo per fare passare il suo messaggio nei mass media USA e nelle aule universitarie. Tale risultato potrebbe passare per un'impresa da parte di un piccolo gruppo di individui senza esperienza reale del giornalismo se quest'ultimi non avessero alle spalle i padroni più ricchi e più potenti del mondo.
tratto da reporters sans frontieres

26.9.06

Le bombe a grappole del Sionismo


Sono solamente gli osservatori al di fuori della massa ad aver notato che con i suoi sanguinosi attacchi al Libano, e al tempo stesso a Gaza, Israele ha finito col mostrare, anche ai più illusi, il totale fallimento dell'ideale alla base della sua nascita?

È possibile che gl'illusi continuino ad illudersi? È possibile che il fallimento d'Israele salti agli occhi solo di quelli che già lo avevano intuito, di quelli che avevano già bollato come illegittimo il sionismo per i principi razzisti che lo permeano?

È dunque possibile che solo quelli già convertiti riescano a vedere il collasso finale del sionismo, e della stessa Israele in quanto stato esclusivo degli ebrei?

Il razzismo è sempre stato la linfa vitale di Israele. Il sionismo si basa sulla convinzione che gli ebrei hanno maggiori diritti nazionali, umani e naturali sul territorio: una visione fondamentalmente razzista che esclude ogni possibilità di vera democrazia o uguaglianza tra i popoli.

La distruttiva violenza in Libano e a Gaza è stato il logico sviluppo di questa idea di fondo. Proprio perché postula l'esclusività e superiorità dei diritti di un popolo, l'ideologia non può ammettere limiti legali o morali al suo comportamento; e men che mai limiti territoriali, dato che ha bisogno di un territorio sempre più ampio per realizzare questi diritti illimitati.

Il sionismo non può tollerare che venga minacciato, o anche solo rimesso in questione, il controllo assoluto del proprio spazio: non semplicemente quello all'interno dei confini israeliani del 1967, ma anche quello che lo circonda, oltre i limiti geografici che il sionismo non ha ancora ritenuto opportuno fissare. Controllo assoluto significa nessuna minaccia fisica e nessuna minaccia demografica: gli ebrei dominano, gli ebrei sono totalmente protetti, gli ebrei sono sempre quelli più numerosi, gli ebrei hanno tutto il potere militare, gli ebrei controllano tutte le risorse naturali, e tutti i popoli vicini sono senza poteri e completamente asserviti. È questo il messaggio che Israele ha cercato di trasmettere attaccando il Libano: né Hezbollah né nessun altro in Libano che protegga Hezbollah potrà continuare ad esistere, per il solo fatto che Hezbollah sfida la suprema autorità di Israele nella regione e che Israele non può tollerare un simile affronto. Il sionismo non può coesistere con nessuna altra ideologia o etnicità che metta in gioco la sua posizione di preminenza, perché ogni ideologia che non sia quella sionista rappresenta una minaccia potenziale.

In Libano, Israele ha cercato con la sua selvaggia e temeraria violenza di distruggere la nazione, farne una zona di caccia all'uomo in cui solo il sionismo avrebbe dovuto regnare e in cui i non ebrei avrebbero dovuto o morire o scappare o sottomettersi, come avevano già dovuto fare durante l'ultima quasi venticinquennale occupazione israeliana dal 1978 al 2000. Mentre osservava la guerra a Beirut, dopo la prima settimana di bombardamenti, e descriveva la morte in un raid israeliano di quattro tecnici libanesi del genio militare venuti a riparare le linee elettriche e le tubature idriche per "mantenere in vita la città", il corrispondente britannico Robert Fisk ha scritto di avere infine capito sulla propria pelle quello che Israele voleva: "Beirut doveva morire...A nessuno doveva essere permesso di lasciare vivo la città". Il capo di stato maggiore israeliano Dan Halutz (lo stesso che quattro anni orsono, quando era a capo delle forze aeree israeliane, aveva affermato di non provare alcun disagio psicologico dopo che, nel mezzo della notte, uno dei suoi F16 aveva sganciato una bomba da una tonnellata su un edificio di appartamenti a Gaza, uccidendo 14 civili in gran parte bambini) aveva dichiarato, all'inizio dell'aggressione, di voler riportare il Libano indietro di 20 anni, quando il paese non era vivo e un terzo del suo territorio meridionale era occupato da Israele, a perenne ricordo di un decennio di guerra civile inutilmente distruttiva.

Le bombe a grappolo sono una prova evidente dell'intenzione d'Israele di rendere nuovamente il Libano, o quanto meno la sua parte meridionale, una regione priva di popolazione araba e incapace di funzionare, se non secondo il suo capriccio. Le bombe a grappolo - di cui gli Stati Uniti, che le forniscono a Israele, sono leader mondiali nella produzione (e in posti come la Yugoslavia anche nell'uso) - esplodono a mezz'aria, spargendo intorno centinaia di submunizioni (bombe secondarie) su una superficie di vari ettari. Oltre un quarto delle submunizioni non esplodono all'impatto col terreno e restano lì in attesa di essere scoperte da ignari civili che tornano alle proprie case. Gl'ispettori delle Nazioni Unite stimano che nel Libano meridionale ci siano oltre 100.000 submunizioni inesplose, sparse in oltre 400 raid aerei. Dopo il cessate il fuoco del mese scorso, numerosi ragazzi e adulti libanesi sono stati uccisi o feriti da questi residui bellici.
Disseminare mine anti-uomo in aree densamente abitate non è un'operazione chirurgica delle forze armate a caccia di obiettivi militari: è una operazione di pulizia etnica. Secondo Jan Egelund, coordinatore per gl'interventi umanitari dell'ONU, oltre il 90% delle bombe a grappolo israeliane sono state sganciate nelle 72 ore che hanno preceduto il cessate il fuoco, quando era oramai chiaro che la risoluzione dell'ONU per una sospensione delle ostilità sarebbe entrata in vigore. Non può essersi trattato che di un ultimo sforzo, senza dubbio inteso come un colpo di grazia, per spopolare l'area. Se a questo aggiungiamo i bombardamenti del mese precedente - che hanno distrutto il 50% (e in qualche caso l'80%) delle abitazioni di molti villaggi, inferto irreparabili danni all'infrastruttura civile dell'intera nazione, resa inutilizzabile una centrale elettrica sulla costa che ancora oggi sparge tonnellate di petrolio e di benzene sulle coste libanesi e su parte di quelle siriane, ucciso oltre 1.000 civili in edifici di appartamenti, in ambulanze, in auto che fuggivano inalberando la bandiera bianca - la guerra di Israele non può essere giudicata altro che una massiccia operazione di pulizia etnica per rendere la regione un'area sicura per il dominio ebraico.

Secondo le stime ONU, circa 250.000 persone non possono in effetti rientrare nelle loro case, o perché le abitazioni sono state distrutte o perché le bombe a grappolo inesplose e le altre armi non sono ancora state neutralizzate dalle squadre di sminamento. Questa non è stata, se non in misura marginale, una guerra contro Hezbollah, non è stata una guerra al terrorismo, come Israele e i suoi accoliti statunitensi vorrebbero farci credere (in effetti Hezbollah non ha compiuto atti terroristici ma si è impegnata lungo la frontiera in una serie di sporadiche scaramucce con i soldati israeliani, di solito scatenate dagli israeliani). Questa è stata una guerra per consentire a Israele di avere più spazio, di essere assolutamente sicura di dominare i vicini. Questa è stata una guerra contro un popolo non completamente sottomesso, tanto audace da ospitare una forza come Hezbollah e da non piegarsi alla volontà di Israele. Questa è stata una guerra contro altri esseri umani e la loro maniera di pensare, esseri umani che non sono ebrei e che non vivono per favorire il sionismo e l'egemonia ebraica.

In un modo o nell'altro, sin dalla sua creazione Israele ha sempre agito alla stessa maniera contro i suoi vicini, anche se ovviamente i palestinesi sono stati più a lungo le vittime, e i maggiori oppositori, del sionismo. I sionisti pensavano di essersi liberati del loro più grande problema, quello alla base stessa del loro credo, nel 1948, quando avevano costretto alla fuga circa due terzi della popolazione palestinese che intralciava i piani per fare di Israele uno stato unico a maggioranza ebraica; non era infatti possibile creare uno stato ebraico con una maggioranza della popolazione non ebraica. Diciannove anni più tardi, quando ha cominciato ad allargare i suoi confini conquistando la Cisgiordania e Gaza, Israele ha scoperto che quei palestinesi che pensava fossero spariti erano dopo tutto ancora nei dintorni, e minacciavano l'egemonia ebraica dei sionisti.
Nei quasi quarant'anni successivi, la politica di Israele è stata in massima parte – con brevi intervalli per avere il tempo di aggredire il Libano – diretta a far sparire definitivamente i palestinesi. I metodi di pulizia etnica sono molti: sottrazione dei territori, distruzione delle terre coltivabili e delle risorse, strangolamento economico, paralizzanti restrizioni sul commercio, abbattimento delle case, revoca dei permessi di soggiorno, deportazioni, arresti, omicidi, smembramento delle famiglie, limitazioni nei movimenti, distruzione dei registri della popolazione e del catasto, appropriazione delle tasse doganali, privazioni alimentari. Israele vuole tutte le terre dei palestinesi, incluse la Cisgiordania e Gaza, ma non può continuare ad essere un paese a maggioranza ebraica fino a quando continuano a viverci i palestinesi. Ed ecco il perché del lento strangolamento. A Gaza, dove quasi un milione e mezzo di persone vivono accatastate in un'area che non è nemmeno un decimo dell'isola di Rodi, Israele sta facendo senza interruzione quello che ha fatto in Libano per un mese: uccidere civili, distruggere le infrastrutture civili, rendere l'area inabitabile. A Gaza, i palestinesi vengono uccisi al ritmo di otto al giorno, le mutilazioni avvengono con un tasso più alto. Ecco quanto vale la vita dei non ebrei secondo la visione sionista del mondo.

Lo studioso israeliano Ilan Pappe lo definisce un genocidio al rallentatore (ElectronicIntifada, 2 settembre 2006).
Sin dal 1948, il minimo atto di resistenza dei palestinesi all'oppressione israeliana è stato preso come scusa da Israele per mettere in opera una politica di pulizia etnica, un fenomeno considerato nel paese talmente inevitabile e accettato che Pappe aggiunge "il lavoro giornaliero di uccidere deliberatamente i palestinesi, soprattutto i bambini, viene ora registrato nelle pagine interne della stampa locale, spesso in caratteri microscopici". Secondo il suo modo di vedere, gli ininterrotti omicidi a questo ritmo o porteranno a una migrazione di massa o a uno sterminio più massiccio, se, come è molto più probabile, i palestinesi si manterranno incrollabili e continueranno a resistere. Pappe ricorda che il mondo ha assolto Israele da ogni responsabilità e perseguibilità per la sua operazione di pulizia etnica del 1948, e ha permesso al paese di trasformare questa politica "in uno strumento legittimo del suo piano di sicurezza nazionale", che, se il mondo resta ancora una volta muto dinanzi a questa nuova fase di pulizia etnica, aumenterà inevitabilmente "in misura ancora più drammatica".

Ed è questo il punto cruciale dell'odierna situazione: qualcuno si accorgerà dell'orrore? Come abbiamo detto all'inizio, con la sua selvaggia campagna estiva di pulizia etnica nel Libano e a Gaza, Israele ha veramente mostrato il totale fallimento dell'ideale alla base della sua fondazione, l'illegittimità di base del principio sionista di esclusività ebraica? Se ne rendono conto anche i più illusi, o continueranno ad illudersi e il mondo seguiterà a guardare da un'altra parte, giustificando le atrocità perché vengono commesse da Israele per rendere i territori circostanti un luogo sicuro per gli ebrei?

Da quando ha lanciato la sua folle incursione nel Libano, numerosi attenti osservatori nei media alternativi europei e arabi hanno sottolineato la nudità morale d'Israele, e del suo fiancheggiatore americano, con un insolito livello di schiettezza. Si analizza anche molto la nuova consapevolezza della crescente opposizione araba e islamica alla incredibile brutalità delle azioni israelo-americane. Ai primi di agosto, lo studioso anglo-palestinese Karma Nabulsi ha lamentato "l'indiscriminata rabbia di un nemico guidato da una mania esistenziale che non può essere contenuta ma solo bloccata". La studiosa americana Virginia Tilley (Counterpunch, 5 agosto 2006) osserva che ogni possibilità di vita normale e pacifica è un anatema per Israele, obbligata a "guardare e trattare i suoi vicini come una minaccia alla propria esistenza, in modo da giustificare ... il suo carattere etnico e razziale". Già prima della guerra in Libano, ma dopo che Gaza aveva cominciato a essere affamata, l'economista politico Edward Herman (Z Magazine, marzo 2006) aveva condannato "la prolungata pulizia etnica e il razzismo istituzionalizzato" d'Israele, e l'ipocrisia con cui l'occidente e i media occidentali avevano accettato e sottoscritto queste politiche "in violazione di tutti i presunti illuminati valori".

Il razzismo è alla base dell'asse neoconservatore israelo-statunitense che ha oggi scatenato la sua furia omicida nel Medio Oriente. Il razzismo insito nel sionismo ha trovato un alleato naturale nella filosofia razzista imperiale fatta propria dai neoconservatori dell'amministrazione Bush. La logica ultima della guerra globale israelo-americana, scrive l'attivista israeliano Michel Warschawski, dell'Alternative Information Center di Gerusalemme (30 luglio 2006), è la "completa etnicizzazione" di tutti i conflitti, "nei quali non viene combattuta una politica, un governo o un obiettivo specifico, ma una minaccia che coincide con un'intera comunità" (o, nel caso d'Israele, con tutte le comunità non ebraiche).

Il concetto fondamentalmente razzista di scontro delle civiltà, esaltato sia dall'amministrazione Bush che da Israele, fornisce una giustificazione per le aggressioni ai palestinesi e al Libano. Come ha osservato (al-Ahram, 10-16 agosto 2006) Azmi Bishara, importante membro palestinese della Knesset israeliana, se l'argomento israelo-americano secondo cui il mondo è contraddistinto da due diverse e inconciliabili culture, noi contro loro, è corretto, allora l'idea che "noi" agiamo con un doppio standard perde ogni implicazione morale negativa, perché diventa l'ordine naturale delle cose. Per gl'israeliani, questo è sempre stato l'ordine naturale delle cose: nel mondo d'Israele e dei suoi alleati americani, l'idea che gli ebrei e la cultura ebraica siano superiori e incompatibili con i popoli vicini è alla base stessa dello stato.

Dopo la presa di coscienza che ha fatto seguito al fallimento israeliano in Libano, arabi e islamici hanno la sensazione, per la prima volta dall'arrivo degli ebrei nel cuore del Medio Oriente arabo circa 60 anni orsono, che Israele sia andata troppo lontano con la sua arroganza e che il suo potere e le sue azioni possono essere contrastate. La "etnicizzazione" del conflitto globale di cui parla Michel Warschawski – l'arrogante vecchio approccio coloniale, ora rinverdito con uno strato di alta tecnologia fornita dagli F16 e dalle armi nucleari, che ribadisce la superiorità dell'occidente e di Israele e postula uno scontro apocalittico tra l'occidente "civilizzato" e un oriente arretrato e furioso – è stata vista, dopo il folle assalto israeliano al Libano, per quello che è. Cioè, una brutale dichiarazione razzista di potere da parte di un regime sionista che persegue l'egemonia assoluta e incontrastata a livello regionale e di un regime neoconservatore americano che persegue l'egemonia assoluta e incontrastata a livello mondiale. Come ha fatto notare, una settimana dopo l'inizio della guerra libanese, il commentatore palestinese Rami Khouri in un'intervista con Charlie Rose, sia Hezbollah in Libano che Hamas in Palestina sono il frutto delle prime guerre di egemonia israeliane e rappresentano la risposta politica di popolazioni che "sono state ripetutamente degradate, occupate, bombardate, uccise e umiliate dagli israeliani, spesso con il consenso tacito o esplicito o, come abbiamo capito adesso, l'aiuto degli Stati Uniti".

Queste popolazioni oppresse hanno adesso ricominciato a lottare. Non importa quanti leader arabi – in Egitto, Giordania e Arabia Saudita – possano chinare la testa di fronte agli Stati Uniti e a Israele: il popolo arabo vede adesso l'intrinseca debolezza della cultura e della politica razzista israeliana e ha una crescente fiducia nella possibilità di arrivare alla fine a sconfiggerla. I palestinesi, in particolare, aspettano questo momento da 60 anni, senza mai sparire nonostante la migliore buona volontà israeliana e senza mai smettere di ricordare a Israele e al resto del mondo la loro esistenza. Non è certo adesso che soccomberanno, e il resto del mondo arabo sta prendendo coraggio dopo aver visto la loro capacità di resistere, e quella di Hezbollah.

Qualcosa deve cambiare nel modo di fare di Israele, e nel modo in cui gli USA sostengono i suo modo di agire. Sempre più commentatori, dentro e al di fuori del mondo arabo, hanno cominciato a rendersene conto, e un numero sorprendente si sente abbastanza audace da prevedere una sorta di fine del sionismo, nella forma razzista ed esclusivista in cui esiste e funziona al giorno d'oggi. Non si tratta di buttare i sionisti a mare. Israele non verrà battuta sul piano militare, ma può essere battuta sul piano psicologico: il che vuol dire limitare la sua egemonia, fermare la sua avanzata predatoria nei territori dei vicini, mettere fine al dominio razziale e religioso sugli altri paesi.

Rami Khouri sostiene che il più ampio sostegno del mondo arabo a Hezbollah e Hamas è una "catastrofe" per Israele e gli Stati Uniti, perché sottolinea l'opposizione ai loro progetti imperialistici. Khouri non si spinge più lontano nelle sue previsioni, ma altri lo fanno, delineando, anche se solo nelle linee generali, la visione di un futuro in cui Israele non godrà più del dominio assoluto. Il pensatore e musicista jazz Gilad Atzmon, un ex israeliano che vive in Gran Bretagna, vede nella vittoria di Hezbollah in Libano un segnale della disfatta di quello che chiama il sionismo globale, termine con cui indica l'asse neoconservatore israelo-americano. Sono i libanesi, i palestinesi, gli iracheni, gli afgani e gli iraniani – sostiene – ad essere "in prima linea nella battaglia per l'umanità e l'umanesimo", mentre Israele e gli USA seminano morte e distruzione; un numero sempre crescente di europei e americani se ne rende conto e sta scendendo dal carrozzone dei sionisti e dei neoconservatori. Atzmon definisce in ultima analisi Israele "un episodio della storia" e una "entità morta".

Molti altri hanno un punto di vista simile. Sempre più spesso i commentatori discutono la possibilità che Israele, ora che si è sgonfiato il suo mito d'invincibilità, attraversi una fase di trasformazione simile a quella sudafricana, in cui i leader politici riconoscano in qualche modo l'errore della scelta razzista e in un impulso di umanità abbandonino le iniquità sioniste, ammettendo che ebrei e palestinesi devono vivere su un piano di parità in uno stato unitario. Il parlamentare britannico George Galloway (Guardian, 31 agosto 2006) prevede la possibilità che in Israele e tra i suoi sostenitori internazionali si sviluppi "un momento F.W. de Klerk ", nel quale, come accadde in Sudafrica, una "massa critica di oppositori" andrebbe oltre le posizioni della precedente minoranza e i leader giustificherebbero il trasferimento dei poteri partendo dalla constatazione che farlo più tardi, in una posizione più sfavorevole, risulterebbe meno vantaggioso. In mancanza di una simile transizione pacifica, e di una contemporanea azione per risolvere il conflitto israelo-palestinese, Galloway, come molti altri, non vede altro che "guerra, guerra e ancora guerra, fino al giorno in cui Tel Aviv sarà a fuoco e l'intransigenza dei capi israeliani farà crollare sulle loro teste l'intera impalcatura dello stato ebraico".
E sempre di più questa sembra essere l'alternativa futura: o Israele e i suoi sostenitori neoconservatori americani riescono a eliminare i peggiori aspetti del sionismo, accettando di creare uno stato unitario in una Palestina abitata da palestinesi ed ebrei, o il mondo si troverà di fronte a un conflitto di un livello oggi non immaginabile.
Proprio come Hezbollah è parte integrante del Libano, impossibile da distruggere con il bombardamento di ponti e centrali, così, prima del 1948, i palestinesi erano la Palestina, e continuano ad esserlo. Colpendoli dove vivevano, in senso proprio e figurato, Israele ha lasciato ai palestinesi un solo obiettivo e una sola visione. Una visione di giustizia e compensazione, dove compensazione significa, in ultima analisi, sconfitta del sionismo e recupero della Palestina, oppure riconciliazione con Israele a condizione che quest'ultima agisca come un vicino normale e non da conquistatore, o infine unione con gli ebrei israeliani in un unico stato in cui nessuna parte goda di più diritti dell'altra parte. In Libano, Israele ha ancora una volta dato l'impressione di voler imporre a un altro popolo la propria volontà, il suo dominio, la sua cultura e la sua etnicità. Non ha funzionato in Palestina, non ha funzionato in Libano, non funzionerà da nessuna parte nel mondo arabo. Siamo a un crocevia morale. Nel “nuovo Medio Oriente” progettato da Israele, Bush e i neoconservatori, solo Israele e gli USA possono dominare, solo loro avranno la forza, solo loro potranno vivere al sicuro. Ma nel mondo giusto all'altro lato del crocevia, questa visione è inaccettabile. La giustizia deve prevalere.
di Kathleen Christison è stata analista politico della CIA e ha lavorato sui temi medio-orientali per 30 anni. Ha scritto Perceptions of Palestine e The Wound of Dispossession .