30.9.06
L'opinione non è più libera
La gente immagina di avere opinioni proprie, non quelle dei grandi magnati corporativi che competono per colonizzare la sfera pubblica. Non siamo proprio così liberi di pensare come crediamo.
Juergen Habermas, filosofo, storico e sociologo tedesco, è spesso citato, tra i molteplici studi accademici, per il grandissimo contributo dato alla sociologia ed alla teoria critica. Il suo risultato più prestigioso, tuttavia, consiste nell’introduzione del concetto di “sfera pubblica”, un fenomeno la cui nascita fa risalire all’Europa del XVIII secolo e che venne costretto ad un prematuro letargo dalle stesse forze che ne decretarono l’inizio.
La “sfera pubblica” teorizzata da Habermas potè svilupparsi grazie alla sua vantaggiosa nonchè logica specificità nello spazio e nel tempo: l’Inghilterra del XVIII secolo. La nascita della cultura borghese, insieme con lo sviluppo della democrazia liberale, diede vita ad una popolazione sempre più istruita con interessi, diritti ed aspettative ben definite. La frequentazione dei Caffè e di altri luoghi pubblici come punti di incontro per il dialogo permise alla borghesia inglese di creare la propria sfera pubblica, che contribuirà, infine, al formarsi dell’opinione pubblica. Le altre democrazie occidentali, e tanto più la Francia con la sua innegabile esperienza di cittadinanza attiva, sarebbero state presto coinvolte in questo cambiamento crescente.
Naturalmente l’idea di Habermas, come qualsiasi altra intuizione rivoluzionaria, diede vita a discussioni e generò accaniti dibattiti. Alcuni affermarono che esistono, in realtà, varie “sfere pubbliche” sovrapposte e simultanee; altri negarono del tutto l’esistenza di tale concetto. La questione è chiaramente assai più complessa e non sembra destinata a risolversi in un breve arco di tempo. Le congetture di Habermas e le loro implicazioni, esposte per la prima volta nel 1962 in “The Structural Transformation of the Public Sphere: An Inquiry into a Category of Bourgeois Society” [La trasformazione strutturale della Sfera Pubblica: un’indagine sulla categoria della società borghese n.d.t.], continuano ad essere attuali e di estrema rilevanza.
La crescita e la persistenza della sfera pubblica nel XVIII e XIX secolo fu di enorme importanza, dal momento che riuscì infine a definire la relazione tra Stato e Società in modo decisamente più imparziale che in passato. Finalmente l’opinione pubblica contava qualcosa, o almeno così sembrava. Il modo in cui tale opinione veniva trasmessa richiedeva meno mezzi ed assai meno intermediari.
A prescindere dal dove cominci e dove finisca la “sfera pubblica”, dal momento che ha fallito più volte nel rappresentare adeguatamente le donne, le minoranze, i lavoratori ed altri gruppi storicamente marginalizzati, di certo è riuscita almeno nello stabilire i confini tra il “Mondo della vita” [life-world: in tedesco lebenswelt, mondo vitale n.d.t.] e il “Sitema”; il primo rappresenta la mutua solidarietà di coloro che sono coinvolti nel formare la sfera pubblica, il secondo riguarda lo Stato, il suo apparato e la sua relazione col potere e l’autorità.
Di norma, il rapporto dovrebbe essere di tipo elastico [push and pull: tira e molla n.d.t.], dove il Mondo della vita cerca di proteggere ed espandere il suo peso sociale e politico, mentre il Sistema tenta incessantemente di colonizzare la sfera pubblica ed il suo Mondo della vita. Giustamente, ci si aspetterebbe che una democrazia esemplare sia quella che offra un bilanciamento del potere tra la Società e lo Stato, in modo da tenere sotto controllo coloro che rappresentano l’autorità e proteggere la Società dal caos.
È chiaro che solide democrazie avrebbero ben poco interesse a regredire al livello dei regimi feudali ed autoritari di precedenti epoche storiche. Il XX secolo fu prova di tale affermazione, tanto quanto della rapida colonizzazione della sfera pubblica [da parte dello Stato] con mezzi che andavano al di là del potere e della coercizione: quelli del capitalismo.
Il capitalismo determinò l’iniqua distribuzione della ricchezza e, conseguentemente, del potere. Mentre nei secoli passati la sfera pubblica della borghesia aveva da tempo accettato la continua espansione del Mondo della vita, la concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi, ancora una volta, ridefinì la relazione tra Società ed Autorità. Il Sistema aveva finalmente trovato il modo di penetrare la solidarietà di fatto del Mondo della vitaattraverso i recenti rapporti stabilitisi tra lo Stato ed i nuovi capitalisti. Questi si accorsero che era più redditizio tenere sotto controllo l’opinione pubblica, per compiacere lo Stato, in cambio di una parte del potere e dei privilegi che solo esso poteva garantire; la popolazione può continuare così a credere che la sua opinione conti qualcosa, mentre di fatto vale ben poco.
Questo può aiutarci a capire come mai Habermas, tra gli altri, abbia parlato di “ascesa e caduta” della sfera pubblica proprio nel momento in cui sembrava avessimo raggiunto un accesso ai mezzi di comunicazione mai visto prima. In breve, ciò che rimane della sfera pubblica è l’illusione che ce ne sia una.
Le idee di Habermas non richiedono spiegazioni convincenti per essere comprese; sono evidenti di per sè. Tuttavia, un articolo su “The Guardian” del primo luglio a firma di Lance Prince, ex consulente d’immagine [media advisor] del Primo Ministro inglese, ha riportato il soggetto alla ribalta. Price afferma che il magnate dell’informazione Rupert Murdoch è probabilmente l’uomo più potente nel panorama mondiale dei mezzi di comunicazione. Murdoch, cittadino americano nato in Australia, possiede letteralmente una quota significativa dell’opinione pubblica attraverso il controllo del più vasto impero mediatico al mondo.
“Non ho mai incontrato il signor Murdoch, ma a volte, quando lavoravo a Downing Street [10 Downing St. è l’indirizzo della residenza e dell’ufficio del Primo Ministro inglese n.d.t.], avevo l’impressione che fosse il 24˚ membro del gabinetto. Raramente si sentiva la sua voce (ed allora si sarebbe potuto dire lo stesso di molti degli altri 23 membri), ma la sua presenza era sempre percepita”, scrive Price.
Murdoch “partecipò a molte sedute di emergenza al Ministero dell’Interno e si potrebbe scrivere un’interessantissima tesi di dottorato su come la sua stampa influenzò la politica del governo riguardo ai temi dell’immigrazione e del diritto d’asilo,” aggiunge l’autore del best-seller The Spin Doctor's Diary [“Diario di uno Spin Doctor” n.d.t.]. “È davvero ironico che, durante il suo primo anno alla guida del Partito Laburista, Tony Blair sia volato dall’altra parte della Terra per discutere con il signor Murdoch e i suoi dirigenti di “News International”(1) e che si appresti nuovamente a fare lo stesso il mese prossimo (luglio 2006), probabilmente l’ultimo del suo mandato.”
Per quanto incredibili possano sembrare, le rivelazioni di Price, un uomo che fu profondamente coinvolto nei lavori del governo britannico, appaiono assolutamente coerenti con il rafforzarsi del legame tra il mondo dei media ed i governi delle democrazie occidentali. Tale vincolo è poi particolarmente visibile nel caso degli Stati Uniti.
La relazione tra media e Stati, però, diventa ancora più pericolosa nel momento in cui entrambi si alleano, e non a caso, sullo stesso terreno ideologico. Murdoch è un ideologo di destra, pro Israele (è ben nota la sua amicizia con Ariel Sharon), e favorevole alla guerra. Nel 2003 [attacco e invasione dell’Iraq – NdT], ogni pagina editoriale della massa dei suoi 175 giornali sparsi per il mondo recitò lo stesso identico mantra guerrafondaio. Alcuni potrebbero aver candidamente pensato che tutti i media mondiali stessero convergendo indipendentemente verso un consenso unanime che vedeva nel presidente Bush colui che “si comporta con un profondo senso della morale e nel modo più opportuno”, per usare le parole dello stesso Murdoch, e che tale convergenza fosse un riflesso complessivo del consenso pubblico internazionale riguardo l’argomento. La realtà, tuttavia, era spiacevolmente un’altra.
Naturalmente, Murdoch, proprietario di numerosi giornali, stazioni televisive e mezzi di informazione in tutto il mondo, non è un’eccezione, ma la regola. Nel mondo dei media statunitensi, infatti, si sta verificando una convergenza costante che tende ad accentrare in mano a poche multinazionali, in un modo mai osservato prima, la proprietà di migliaia di stazioni radio e televisive, giornali, riviste, ecc. Mentre alcuni, all’oscuro di chi possieda cosa, cantano ancora le lodi della “libertà di stampa”, la democrazia si sta avviando verso un declino pericolosissimo: il “Mondo della vita”, come mai accaduto prima, sta cedendo di fronte al perenne dilagare del “Sistema”, ed ormai non esiste quasi più una vera “sfera pubblica”, almeno non in forma significativa.
Benchè gli Stati non siano più in grado di prevenire incidenti o di garantirsi un potere assoluto, hanno, però compreso l’inestimabile valore dei mezzi di comunicazione nel manipolare un’opinione pubblica favorevole e, guarda caso, coincidente con quella dello Stato stesso. In cambio, gli interessi commerciali e persino quelli ideologici di coloro che controllano i media sono sempre garantiti. Fino a quando tale correlazione non sarà riconosciuta appieno e resa inefficace, la democrazia reale procederà verso uno spaventoso declino, alla fine del quale un’efficace democrazia partecipativa verrà scalzata dalla mera retorica democratica, utile solo a soddisfare fini politici, ideologici ed infine imperialistici. Tale spirale discendente è destinata solo a peggiorare senza la fondamentale presa di coscienza che porti la collettività a riappropriarsi di ciò che le appartiene: la propria opinione, la propria sfera pubblica e la propria democrazia.
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