In questo caos politico ognuno dice "facciamo chiarezza". Un altro modo di dire mettiamoci d'accordo sulle balle da raccontare tanto cosa possono farci? Nuotiamo sulla stessa acqua! Qualcuno si lascia sfuggire "Non possiamo pensare alle riforme, dobbiamo pensare alle tasse, alle evasioni fiscali a tutto quello che è tassabile".
Perchè ?
Perchè, si è scoperto l’immenso spreco provocato dalle «partecipate», ossia dagli enti un tempo pubblici o municipali ora pseudo-privatizzati, dall’ENI all’ENEL alla Centrale del Latte di un qualunque Comune.
Queste aziende ex di Stato sono state dichiarate «private», il che significa che sono ora soggette al diritto privato e non al controllo pubblico.
Ma la loro privatizzazione è meramente formale, legalistica.
Restano aziende pubbliche per almeno due motivi: poiché l’azionista di maggioranza di queste presunte società per azioni resta il Tesoro, o il Comune o la Regione, a pagare le perdite sono sempre i contribuenti, attraverso le casse pubbliche.
Queste SpA presunte, fornendo un servizio pubblico, non possono esser lasciate.
Non si possono lasciare senza luce, acqua e gas i cittadini delle ex-municipali, ora «partecipate».
Queste cosiddette imprese, inoltre, continuano ad operare più o meno in regime di monopolio: dunque sono al di fuori di ogni «mercato», su di loro non agisce la mano invisibile di Adam Smith, e non devono occuparsi di alcuna «competitività».
A che cosa è servito dunque «privatizzarle»?
E si capisce che sarebbe facile, qui la «riforma»: basta ritornare al sistema pubblico per tutto ciò che dà servizi pubblici. Perché la privatizzazione (pseudo) non ha nulla a che fare con la devoluzione, e nemmeno con la democrazia. Aziende pubbliche erano autoritarie, ma soggette a qualche genere di controllo e in teoria almeno, possono essere rese più trasparenti.
Le aziende «partecipate» restano autoritarie, ma ora opache e non-responsabili, in mano ad oligarchie che si sottraggono ad ogni controllo ed esame.
Sono «private» nel senso che se ne infischiano del bene pubblico (res publica), ma non portano nessuna efficienza né vantaggio al consumatore o utente.
Dunque, si deve creare uno statuto giuridico diverso e nuovo per queste aziende.
Si deve ri-centralizzare ogni servizio pubblico: la regionalizzazione, proclamata per portare «il potere vicino al cittadino», è solo un enorme colabrodo con più buchi di prima.
E poi, che senso ha chiamare Servizio Sanitario Nazionale un’entità che invece è gestita dalle regioni, ciascuna a suo modo, con ineguali servizi e costi enormemente diversi?
Perché infinite municipalizzate per fornire elettricità e gas, comprati da fornitori unici e colossali, come l’Arabia, l’Algeria e la Russia, che sono pure stati sovrani?
Centralizzare è d’obbligo, per risparmiare e rendere più efficiente il servizio, e perché i manager capaci non sono poi tanti.
Ma questa riforma «facile» è anche quella che non si farà.
L’Ulivo non la farà perché è appunto il partito dei parassiti miliardari di stato e delle burocrazie inadempienti. Ma anche il Polo si è ben guardato dal fare una riforma di questo spreco vergognoso: è troppo comodo disporre di posti inutili ma ben pagati per amici e clienti.
Chi può farlo?
Strano a dirsi nella presunta «culla del diritto» (dove è vero il diritto non è mai uscito dalla culla), nessun giurista, nessuna Corte costituzionale, ha avvertito la perversione legale, la vera patologia del diritto che è costituita da «partecipate» che sono «private» per statuto, ma le cui perdite vengono pagate da contribuenti.
Il mostro giuridico dura, perché serve.
La Banca d’Italia non fiata: il grande responsabile e promotore di queste privatizzazioni false e mostruose è stato Mario Draghi, che può citare in suo appoggio anche Monti, Ciampi, Padoa Schioppa…tutta gente che il «mercato» non sa nemmeno cos’è, e che ha trovato il modo di perpetuare il suo potere attraverso questo nuovo mostro giuridico.
Nessuno vorrà farlo.
Nessuna burocrazia inutile, nella storia, si è riformata da sé.
Nessuna mostruosità è mai stata spontaneamente risanata, anche quando la sua natura suicida era chiara a tutti: così come la legge sciagurata che diede al Parlamento polacco l’obbligo di decidere all’unanimità, benchè palesemente paralizzante e patologico, non fu mai sanato dai parlamentari.
Il motivo è semplice: ciascuno di loro aveva un diritto di veto, un potere demente a cui non voleva rinunziare.
La «guarigione» venne solo dall’esterno: con spartizioni della Polonia fra le potenze vicine, perdite di territorio e di indipendenza spaventevoli…
Così accadrà all’Italia.
Stiamo davvero andando verso la situazione dell’Argentina, a forza di tasse per pagare i parassiti e i loro sprechi.
Il nostro destino è già stato descritto: «Una spirale discendente a circolo vizioso, dove la debolezza della crescita economica provoca introiti fiscali in diminuzione nonostante ogni inasprimento della torchia; conseguente rialzo dei tassi a lungo termine sul debito pubblico, a cui seguiranno tasse ancora più feroci, che provocheranno un ulteriore rallentamento dell’economia e un deficit pubblico crescente dovuto a introiti fiscali ancora diminuiti».
La spirale argentina.
Nessuno ci salverà, perché lorsignori che sono al potere saranno pronti ad accusare chi proponesse le necessarie evidenti riforme di «ritorno al centralismo», di socialismo (tale è la pretesa che la cosa pubblica resti pubblica e non sia regalata ai privati), e di sospette nostalgie autoritarie antidemocratiche.
Ma la «democrazia» su cui loro presiedono e da cui ricavano le loro ricchezze è quella così definita da Gore Vidal: «il sistema che dà ai ricchi la licenza di rubare ai poveri, facendo loro credere che hanno votato per questo risultato».
La sola soluzione - come sempre quando si tratta di sbattere fuori una grossa casta di parassiti costosi - si chiama rivoluzione.
Ma chi la vuole fare?
Blondet M.
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