10.12.07

Montezemolo e, il pubblico impiego


"Più un paese cresce e più un paese è in condizione di ripagare il proprio debito”.

Queste sono le parole del Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, durante l’odierno intervento alla Luiss di Roma, preceduto da quello del Presidente di Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo.

Questa è la questione centrale per risolvere il problema del debito pubblico italiano. Tuttavia, bisogna intenderci su come si intende “far crescere il Paese”. Montezemolo sostiene che debba essere la produttività delle imprese il perno della crescita, che poi consentirà anche un innalzamento dei salari. Ma anche l'aumento della capacità produttiva risulta insufficiente se non si ferma l'aumento ben più grande della liquidità legata solamente all'economia di carta. Il problema centrale è allora il blocco delle attività speculative, ossia di quelle attività dove all’emissione di credito – istituto che deve inevitabilmente avere una “funzione sociale” per dirla col nostro Costituente – non corrisponde un aumento dell’economia fisica. Basterebbe semplicemente distogliere la liquidità che finisce nel rifinanziamento della bolla speculativa e destinarla ad un aumento dei redditi, per non assistere ad alcun processo inflazionistico. Tuttavia, un immediato innalzamento dei redditi senza interventi limitativi o meglio ad eliminazione dei fenomeni speculativi (pensiamo solo a tutto quel credito destinato alle operazioni in derivati finanziari), rappresenterebbe un palliativo, nella migliore delle ipotesi, di brevissima durata.

Eliminati i fenomeni di tipo speculativo che distraggono fonti finanziarie dalla crescita dell’economia fisica, il problema è come aumentare 1) la produttività del lavoro, e dunque l’offerta quantitativa e qualitativa di beni e 2) di nuovo, (proporzionalmente) i redditi da lavoro.

Ci sono due modelli di società, con due differenti paradigmi ad ispirarli, che qui entrano in gioco: 1) una società dedita al Bene Comune – vero fine della Nazione – dove lo Stato è a ciò preposto per lo sviluppo armonico di tutte le energie individuali e collettive – siamo allora di fronte ad una Repubblica – ; 2) oppure una società dedita al profitto, rimessa ad un potere a lei sovraordinato, quello della casta delle banche centrali (consorzi di banche private) che controllano la moneta circolante come più le aggrada, e che subordinano costantemente il benessere generale ai propri interessi di bottega – siamo allora di fronte ad un’Oligarchia.

Nel caso della Repubblica – il modello che noi vogliamo venga concretamente risposato – la produttività è rilanciata passando per un programma di credito pubblico diretto in tal senso. La produttività deve aumentare sia a livello pro-capite che per chilometro quadrato. Per farlo, la questione infrastrutturale è centrale. Un sistema infrastrutturale carente, infatti, non può consentire un salto di qualità nella produzione. Sono dunque necessarie politiche di stampo rooseveltiano, volte a finanziare con credito pubblico a lunga scadenza ed a basso tasso d’interesse, opere pubbliche che elevino il contenuto tecnologico della base infrastrutturale su cui si erge una civiltà. Il credito pubblico, poi, può andare direttamente verso quelle imprese private che investono in ricerca e puntano su tecnologie produttive avanzate in settori di interesse strategico (non certo verso quelle aziende che si occupano di speculazione finanziaria). Interventi di defiscalizzazione devono andare nella stessa direzione.

Nel caso dell’Oligarchia, e noi temiamo che sia Draghi che Montezemolo restino aggrappati a questo modello che sinora hanno sostenuto, il credito necessario per lo sviluppo della produttività lo si racimola distraendolo dalle voci del welfare. Questo sistema, rimette il costo del futuro sviluppo alla popolazione inerme, già in forte difficoltà, creando un sistema ancor più orientato ad ampliare la forbice tra bassi ed alti redditi.

Questo secondo sistema è dunque una trappola per ignoranti.

D’altra parte gli interventi di Montezemolo e Draghi alla Luiss, hanno sviluppato un coro stonato, dove prima il Presidente di Confindustria ha attaccato il mondo dei lavoratori pubblici dicendo che colpendo questo settore potremmo racimolare cifre corrispondenti ad un punto di p.i.l.; poi, Draghi ha spiegato che per risanare il debito – peccato che tale conquista concettuale avvenga dopo finanziarie che hanno ridimensionato fortemente il welfare italiano e corrispondentemente aumentato la pressione fiscale – sia necessario aumentare la produttività. I due, dunque, si pongono senza ombra di dubbio sulla sella del modello oligarchico, andando a finanziare lo sviluppo economico con i sacrifici dei lavoratori, piuttosto che andando a colpire la speculazione ed intervenendo con sforzi pubblici in investimenti in produttività.

Montezemolo, il quale dubitiamo si rechi personalmente presso gli uffici della pubblica amministrazione, dovrebbe andare presso quelle cancellerie di tribunale dove gli impiegati, quasi fossero lavoratori a cottimo, oberati da pratiche e richieste di avvocati e notai, si recano al bagno solo alla fine della giornata lavorativa. Oppure presso quei centri per l’impiego – la cui efficienza il Sole 24 ore ogni tanto si diverte a diffamare con paragoni con le società di lavoro interinale – a cui è stato quasi dimezzato il personale e dove i giovani assunti, quasi sempre con contratti a tempo determinato rinnovati di nove mesi in nove mesi per anni, gestiscono il lavoro con un senso di responsabilità impensabile per chi come Montezemolo può permettersi di spendere anche tremila euro a pranzo.

Questi signori, come spacciatori di fumo che fanno credere alla propria clientela di dargli cose buone, stanno scatenando una vera e propria guerra tra poveri dove purtroppo in molti stanno cadendo.

Si sta creando un mix populista tra politica e mass media, dove ad essere attaccati sono sempre interi settori del lavoro, piuttosto che il cancro speculativo nazionale ed internazionale che distrae le fonti finanziarie dallo sviluppo del Paese, e di cui sia Montezemolo che Draghi sono esponenti di primo piano.

Per comprendere che si tratta di una vera e propria guerra tra poveri è interessante soffermare la nostra attenzione su un’indagine Codacons del 6 maggio scorso, per cui le categorie più odiate sarebbero: benzinai al 20%, tassisti al 18%, commercianti al 17%, impiegati di enti pubblici al 13%, lavavetri al 10%, professionisti e artigiani al 9%, commessi e camerieri al 5%, farmacisti al 4%, bancari e assicuratori all’1%. Nella classifica non vi sono le multinazionali del petrolio (ma i benzinai!) e non vi sono i banchieri (ma i bancari!). E’ ovvio che questo è il risultato di una visione distorta indotta dai media, per cui non si vanno ad individuare le vere lobbies responsabili della disastrosa situazione italiana.

Tutte queste categorie di lavoratori, direttamente o indirettamente, vengono continuamente attaccate da quei soliti signori – finanzieri, politici e giornalisti – che in tutti questi anni, mentre l’Italia crollava, se la spassavano con la bella vita, ed ora pretendono, come se nel frattempo avessero vissuto su un altro pianeta, di sciolinare ricette. Guarda caso il prezzo di queste ricette è sempre a carico dei più deboli e le soluzioni proposte sono sempre a vantaggio degli oligarchi. Si strumentalizzano i problemi esistenti, invece che col reale intento di risolverli, per agevolare i processi di acquisizione di nuovi settori (trasporti, distribuzione, servizi pubblici locali) da parte dell’oligarchia finanziaria. Le nuove società private che sorgono sulle ceneri del settore inghiottito, offrono sempre bassi redditi e turni di lavoro estenuanti. Si guardi Telecom su chi ha riversato il costo della nuova grande efficienza che doveva sostituirsi all’inefficiente azienda pubblica di un tempo! Dipendenti ed utenza. Oppure si guardi ad Autostrade di Benetton che a fronte del costante aumento del prezzo delle tratte stradali, ha sostenuto solo in minima parte gli investimenti infrastrutturali a cui si era impegnata.

Perché Montezemolo non denuncia il fallito modello liberista delle privatizzazioni tanto decantato durante gli anni ’90?

Questi signori stanno diventando molto pericolosi per il Bene Comune, a causa degli approcci reazionari sempre più radicali che sostengono. Infatti, la crisi finanziaria mondiale accelera e loro proporzionalmente vedono accelerare il timore di uscire sconfitti dagli scontri tra oligarchie che nel dietro le quinte (di ciò che i media mostrano) si stanno verificando. Il prezzo di tutto ciò vorrebbero riversarlo su chi in questo momento per loro rappresenta un intralcio, ossia la popolazione che si era comunitariamente organizzata per perseguire in modo constante l’interesse generale.
Fonte movisol.org

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