25.2.08
L’Europa e Gaza: una vergogna da nascondere
Il governo israeliano «sta ricevendo forti segnali che USA ed Europa sono molto irritate dalla mancanza di progressi nei negoziati coi palestinesi».
Lo scrive il quotidiano ebraico Haaretz, che descrive come gli ambasciatori israeliani in Europa abbiamo mandato numerosi telegrammi cifrati segnalando al ministero degli Esteri (Tzipi Livni) come molti Stati europei minaccino di rivedere il loro atteggiamento verso Hamas, in relazione alla situazione umanitaria creata a Gaza dal blocco sionista.
I rapporti cifrati - alcuni dei quali l’inviato di Haaretz dice di aver letto personalmente - si appuntano con allarme sull’ultima riunione del Quartetto per il Medio Oriente, tenuta a Berlino
l’11 febbraio.
C’erano l’americano David Welch (assistente di Condoleezza Rice per il Medio Oriente),
Mark Otte, che è l’inviato della UE per la pace, Robert Serry, l’inviato dell’ONU, e il russo
Sergei Yakovlev, responsabile del Medio Oriente per Mosca.
Il Quartetto dovrebbe monitorare i progressi del «processo di pace» secondo il ruolino di marcia messo a punto ad Annapolis.
In quella riunione, si sono sentite frasi piuttosto lontane dal solito servilismo verso Sion.
Serry, l’europeo, «Ha criticato Israele fin dall’inizio della seduta», riporta Haaretz: «Siamo molto preoccupati della situazione a Gaza, specie sotto il profilo umanitario», ha esordito: «Si deve trovare una soluzione».
E ha denunciato che l’assedio israeliano impedisce persino ai soccorritori dell’ONU di portare aiuto ai palestinesi.
Otte, l’inviato della UE, è stato duro: «Non solo nulla migliora sul terreno, ma il comportamento di Israele diventa sempre peggiore, e sempre più inadempiente verso le obbligazioni della road map» che Olmert ha accettato ad Annapolis.
Otte ha sottolineato che non solo Israele ha chiuso a Gerusalemme Est le istituzioni dell’Autorità Palesinese (il futuro «governo» collaborazionista con cui Sion dovrebbe trattare), ma ha prolungato di sei mesi l’ordine di chiusura, il che non indica né buona volontà né buona fede.
«Per cui, dobbiamo considerare un cambio di politica in tutto ciò che riguarda Gaza», ha concluso Otto.
Il che significa fare qualche apertura ad Hamas, ciò che Israele assolutamente non vuole - essendo riuscita ad imporre l’equazione «Hamas eguale terrorismo islamico» - e che le sue lobby nei vari Stati si prodigano per impedire.
Il russo Yakovlev ha detto, a nome del suo Paese, che bisogna fare in modo che i palestinesi formino un governo di unità nazionale (Autorità e Hamas), altra cosa che Israele non vuole.
Ma senza una riconciliazione tra Hamas e Fatah, ha detto Yakovlev, «la striscia di Gaza diventa una bomba a orologeria che distruggerà il processo di Annapolis».
Persino David Welch ha criticato le azioni israeliane a Gaza, dicendo che gli Stati Uniti le disapprovano, anche se ha ricordato i razzi Kassam che continuano a cadere sul villaggio di Sderot, la scusa con cui Israele si rifiuta di proseguire il negoziato, e a cui risponde con bombardamenti e missili e omicidi mirati con danni collaterali di civili massacrati.
In ogni caso, Welch ha detto anche: il Quartetto deve esigere da Israele a riapertura dei valichi di Gaza.
Evidentemente gli occidentali cominciano a vergognarsi di assistere senza protestare, anzi cooperandovi, al lento sterminio per fame del milione e mezzo di abitanti di Gaza.
Haaretz rivela che solo «grazie ad una massiccia offensiva diplomatica» e lobbyistica Israele è finora riuscita a impedire che da Bruxelles parta una formale dichiarazione di disapprovazione,
da parte della UE, di ciò che gli ebrei fanno a Gaza (probabilmente la campagna della comunità contro «gli antisemiti» in Italia e la famosa lista dei professori lobbyisti definita «una nuova Notte dei Cristalli» fa parte della massiccia offensiva).
Solo forti pressioni israelo-americane sulla Svizzera hanno impedito alla Confederazione Elvetica di indire un vertice internazionale con lo scopo di forzare la riapertura dei valichi di Gaza.
Il ministro della Guerra sionista, Ehud Barak, in visita in Turchia, s’è sentito chiedere da Ankara di consentire ai soccorsi turchi di passare a Gaza, almeno una volta.
Il ministro francese Bernard Kouchner ha chiesto ad Israele, durante la sua visita, di riaprire i maledetti valichi.
Inoltre, «alti responsabili dell’Unione Europea sono stati sentiti mentre denunciavano gli atti di Israele a Gaza, e deplorazioni su questo tema sono state passate in diversi parlamenti europei».
«Tutta questa agitazione», ha scritto Ran Koriel, ambasciatore israeliano alla UE, nel suo rapporto segreto alla Livni, «è collegata alla cultura europea di esibire preoccupazione per le questioni umanitarie» (eh sì, scusateci, abbiamo questa debolezza), sicchè «nonostante la sospensione» dell’iniziativa di una deplorazione formale a Bruxelles del comportamento giudaico (grazie alle accuse di «antisemitismo» sparse a mitraglia), «i giorni sono contati» prima che venga discussa
«la legittimità internale di ciò che avviene a Gaza».
La prospettiva peggiore, per lo stato ebraico, è che - come sta pensando di fare Parigi - ciò porti a una riconsiderazione generale dell’atteggiamento europeo verso Israele, che potrebbe anche finire con un riconoscimento di Hamas.
Non avverrà, non avverrà.
State tranquilli: le vostre lobby e Frattini il Kommissario vegliano contro questo «disagio umanitario», maschera estrema dell’antisemitismo.
Ma è istruttivo sapere che questo disagio c’è e cresce in Europa.
Ed è ancora più istruttivo apprenderlo da un giornale israeliano.
I nostri media, ovvio, non ne hanno dato notizia.
Maurizio Blondet
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