Le denunce raccolte in un rapporto di una ong israeliana per i diritti umani. I racconti di alcuni soldati: l’ordine era «se non sei sicuro, spara». La replica dei vertici di Tsahal: sono testimonianze «anonime e generiche».
Sparare senza preoccuparsi della sorte dei civili palestinesi: questa era la prassi seguita dall’esercito israeliano a Gaza durante l’operazione «piombo fuso», che dal 27 dicembre 2008 al 18 gennaio scorso ha provocato circa 1.300 morti, secondo le testimonianze di una trentina di soldati, che hanno partecipato alle operazioni di guerra, raccolte da «Breaking the silence», un’organizzazione composta da ex militari che si batte per il rispetto dei diritti umani. Il rapporto è composto da 112 pagine e raccoglie le testimonianze anche video di uomini «coinvolti nelle operazioni a ogni livello».
ROMPERE IL SILENZIO
Dalle testimonianze, raccolte dall’organizzazione non governativa israeliana (breakingthesilence.org.il) risulta chiaramente che era meglio colpire un innocente che attardarsi a individuare il nemico, perché la regola era «prima sparare e poi preoccuparsi». Un piano basato sull’imperativo di ridurre al minimo le perdite israeliane, avanzando sempre ad armi spianate. Secondo le testimonianze, l’ordine era: «Se non sei sicuro, spara». Il fuoco, racconta un soldato, «era dissennato, appena raggiunta la nostra nuova postazione cominciavamo a sparare contro tutti gli obiettivi sospetti». Perché, come dicevano i capi, «in guerra sono tutti tuoi nemici, non ci sono innocenti». Il rapporto della ong, finanziato da gruppi di attivisti per i diritti umani israeliani e dai governi di Spagna, Gran Bretagna, Olanda e dall’Ue, parla di «civili usati come scudi umani, costretti a entrare in siti sospetti davanti ai soldati che usavano la loro spalla per tenere il fucile puntato».
Secondo Mikhael Mankin, di Breaking the Silence, «le testimonianze provano che il modo immorale in cui la guerra è stata condotta era dovuto al sistema in vigore e non al comportamento individuale di soldati». «Si è dimostrato - continua - che le eccezioni in seno alle forze armate sono divenute la norma e ciò richiede una profonda riflessione e una seria discussione. Questo è un urgente appello alla società israeliana e alla sua dirigenza a guardare sobriamente alla follia delle nostre politiche». Nel dossier si ripetono, inoltre, le accuse sull’uso indiscriminato di armi al fosforo bianco nelle strade di Gaza da parte dell’Esercito dello Stato ebraico e si parla di «distruzioni totali non collegate a nessuna minaccia concreta per le forze israeliane», oltre che di «permissive» regole d’ingaggio. «Non siamo stati istruiti a sparare a ogni cosa che si muovesse - ha dichiarato un altro soldato - ma ci dicevano: «Se vi sentite minacciati sparate». Secondo uno dei testimoni citati dal rapporto, «l’obiettivo era terminare la missione con il minor numero possibile di perdite per l’Esercito senza chiedersi quale sarebbe stato il prezzo pagato dagli altri (i palestinesi ndr)». «Meglio colpire un innocente che esitare a sparare a un nemico», era l’ordine impartito dai vertici di Tsahal, secondo un’altra confessione pubblicata nel dossier di «Breaking the silence».
Barak: criticate me
In una minuziosa risposta alla denuncia, il portavoce militare israeliano, dopo aver ricordato che l’operazione Piombo Fuso fu lanciata in risposta a otto anni di tiri di razzi sulla popolazione civile nel sud di Israele, ha accusato l’ong di aver redatto un rapporto basato su «testimonianze anonime e generiche». L’ong, afferma il portavoce, «non ha avuto la decenza di presentare il rapporto alle forze armate e non ha permesso di investigare le testimonianze prima della sua pubblicazione pur continuando a diffamare le forze armate e i suoi ufficiali». Il portavoce militare sottolinea l’assenza «di ogni elemento atto a identificare gli autori delle testimonianze, il loro grado e la loro posizione al momento degli incidenti denunciati, l’unità di appartenenza, il modo in cui le testimonianze sono state raccolte e come la credibilità delle testimonianze sia stata verificata». «Le critiche rivolte alle forze di sicurezza israeliane da questo o quel gruppo sono inappropriate», taglia corto il ministro della Difesa Ehud Barak. «L’Idf (le forze di difesa israeliane, ndr) sono uno degli eserciti che meglio rispettano l’etica al mondo e agiscono nel rispetto di alti valori morali. Ogni critica alle operazioni delle forze di sicurezza - aggiunge Barak - dovrebbe essere rivolta a me, in quanto ministro della Difesa israeliano».
Nessun commento:
Posta un commento