30.4.10
E gli economisti sbagliano ancora
Gli economisti? Bravissimi. Dopo. Prima, molto meno. Sbagliano, eccome se sbagliano. Ieri, tantissimo. Oggi, altrettanto.
È come se venisse proiettato lo stesso film, cambiano i Paesi e le situazioni: Wall Street nel 1987, l’Asia dieci anni dopo, i mutui subprime nel 2008, ora la Grecia e con ogni probabilità, Spagna e Portogallo. Ma il finale è sempre lo stesso. Gli economisti elaborano tabelle, scenari, si consultano, producendo previsioni basate sul cosiddetto «consenso di mercato». Ma alla fine fanno cilecca.
E tu, risparmiatore, soffri. Vai in banca, chiedi spiegazioni al tuo gestore, lui si difende e allargando le braccia ricorda che non è l’unico a sbagliare, perché tutti hanno fatto le stesse scelte, seguendo gli stessi orientamenti suggeriti dai nomi, dai grandi nomi, che fanno tendenza. Ma l’ha detto Tizio... ma l’ha detto Caio... Chi poteva prevederlo... E il bello è che ha persino ragione.
D’accordo, l’economia non è una scienza esatta e la storia dimostra che tutti i grandi teorici del passato quando sono passati dalla teoria alla pratica si sono rivelati dei pessimi investitori, inclusi Einaudi e diversi premi Nobel, con le sole eccezioni di Ricardo e, in parte, di Keynes. Ovvero: non affidare i tuoi soldi a un professorone. Quasi certamente non ne farà buon uso. E infatti nessun premio Nobel è diventato miliardario.
Ma da loro, così come dai grandi esperti di finanza, ti aspetteresti un grado di attendibilità più elevato. E un po’ più di coraggio. Hanno diritto a delle attenuanti, d’accordo. I mercati di oggi sono molto complessi, la speculazione possiede una potenza di condizionamento che non ha precedenti nella storia e questo favorisce movimenti bruschi e repentini. Ma perché gli economisti sbagliano sempre tutti assieme?
Non tutti, a onor del vero. Ogni crisi ha il suo eroe, qualche analista o gestore che, andando controcorrente, è riuscito a vedere quel che gli altri nemmeno consideravano. Roubini, ad esempio, nel 2007 veniva deriso dai colleghi; eppure è stato uno dei pochissimi ad aver annunciato la crisi dei subprime. Anche oggi qualche voce libera si è alzata per tempo, pronosticando la bufera in Europa, come quella dello svizzero Hummler.
Ma alla fine nulla cambia. Passata la crisi torna tutto come prima. E la maggior parte degli economisti riprende a muoversi in gregge. Perché? Sono modesti? In teoria è possibile, ma in realtà improbabile; da qualche anno le facoltà di economia e finanza drenano alcune delle menti più brillanti, attratte da stipendi stratosferici. Qualcuno li considera alla stregua di meteorologi o di cartomanti. Ne ha il diritto. Ma non serve a capire come va il mondo.
Perché questo è il punto. Com’è possibile che in una società liberale come la nostra prevalga, tra gli economisti, il pensiero unico? Perché sono così facilmente condizionabili? Domande a cui è difficile rispondere, ma che vanno analizzate in un contesto più ampio. Quello a cui assistiamo non è il semplice fallimento degli economisti in genere, ma di un sistema, che pur scosso da crisi incredibili è ancora incapace di correggere le sue storture.
Prendiamo le agenzie di rating, che danno i voti a chi emette titoli di Stato e obbligazioni. Sono finanziate dalle società che poi sono chiamate a giudicare, hanno commesso errori colossali, mantenendo doppie e «triple A» a compagnie come Enron e Lehman Brothers fino al giorno del fallimento, l’anno scorso sono emersi intrecci finanziari sconcertanti, connivenze eclatanti. Venivano giudicate inattendibili e manipolabili. È passato un anno e mezzo dalla crisi dei subprime. E nulla è cambiato. Avevano promesso riforme, non ci sono state. Moody’s e Standard & Poor’s non hanno più credibilità. Dovrebbero essere ignorate. Eppure continuano a condizionare i mercati. Le bufere sulla Grecia e negli ultimi giorni su Portogallo e Spagna si sono alzate quando loro hanno abbassato i rating. Manco fosse un giudizio divino.
Quella degli economisti, oracoli bislacchi, non è l’unica anomalia di questa strana epoca.
di Marcello Foa
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