30.8.06
Stati Uniti come L'impero Romano, ma in che fase?
Tra il 25 e il 27 agosto la Federal Reserve ha sponsorizzato un incontro della finanza internazionale a Jackson Hole nel Wyoming.
Commentando l'avvenimento Lyndon LaRouche ha posto in risalto come il presidente della Fed Ben Bernanke abbia lanciato un appello alla “globalizzazione” sul modello dell'Impero Romano proprio nel momento in cui sta esplodendo la bolla speculativa immobiliare che minaccia l'intero sistema . La politica promossa da Bernanke condurrà ad un caos come quello dei secoli bui del XIV secolo, ha spiegato lo statista americano che propone di mettere in cantiere al più presto un'alternativa allo sfascio economico. Questo sarà l'argomento della sua prossima trasmissione su internet il 6 settembre.
Aprendo i lavori il 25 agosto, Bernanke ha sottolineato che il governo americano deve respingere l'impostazione politica del Sistema Americano di Economia Politica - cioè il protezionismo e gli investimenti nelle infrastrutture pubbliche - per abbracciare fino in fondo la politica che fu dell'Impero Romano e delle Compagnie delle Indie. Bernanke ha elogiato “l'impero di lunga durata” di Roma perché la sua “unificazione promosse il commercio e lo sviluppo economico”. E' passato poi ad elogiare “le imprese commerciali create dagli Inglesi e dagli Olandesi” che esercitavano un monopolio sui traffici mondiali nel XVII secolo. La globalizzazione compì successivamente un altro grosso passo in avanti nel periodo post-napoleonico (1815-1913), quando “l'Inghilterra abbracciò il libero scambio e il libero movimento dei capitali”. Ma “un'eccezione importante” a questa avanzata della globalizzazione fu rappresentata dagli “Stati Uniti, che, nel corso del XIX secolo, compirono la transizione dalla periferia al centro del mondo”, e al contempo imposero “tariffe sulle manifatture ... a livelli relativamente alti, nel decennio successivo al 1860, che restarono per buona parte del XX secolo”. Bernanke è quindi passato a criticare gli investimenti nelle infrastrutture: “Nel XIX secolo gli investimenti internazionali si concentravano nel finanziamento dei progetti infrastrutturali - come le ferrovie americane - e nell'acquisto di debito governativo. Oggi gli investitori internazionali detengono tutta una serie di strumenti di debito, azioni e derivati, compresi titoli in una vasta gamma di settori”. Bernanke ha fatto appello ai politici affinché respingano gli appelli di coloro che “ricercano l'approvazione di misure protezionistiche”.
Chi conosce un po' il mondo politico, in particolare quello americano, dovrà ammettere che LaRouche è l'unico politico che propone a spada tratta un ritorno alla politica rooseveltiana deprecata da Bernanke come fastidiosa "eccezione". LaRouche è anche colui che fin dall'inizio ha più chiaramente denunciato nella globalizzazione proprio la politica imperiale romana del saccheggio istituzionalizzato, ripresa in epoca medievale con le crociate e di nuovo successivamente dai grandi monopoli delle compagnie delle indie, alle quali gli USA sfuggirono dal controllo con la Rivoluzione, mandando in fumo l'utopia di un mondo controllato dalle compagnie anglo-olandesi.
Che i pruriti imperiali, come quelli esternati da Bernanke a Jackson Hole, siano il nodo centrale da affrontare, è stato ribadito sulle pagine del quotidiano The Guardian da Andrew Murray, presidente della "Stop the War Coalition" in Inghilterra. Il suo commento del 26 agosto è intitolato: “L'impero, e la resistenza contro di esso, è la questione centrale di questa epoca”.
Scrive Murray: “Come sta l'Impero? Forse Tony Blair è tentato di ripetere le parole di re Giorgio V in punto di morte ... La risposta è che va proprio male. Il nuovo imperialismo che sarà per sempre legato ai nomi di Bush e Blair ha impiegato appena cinque anni per cozzare contro i respingenti dell'opposizione popolare e dell'ignominia morale. L'imperialismo è uscito dal regno del politichese diventando l'argomento centrale di questa epoca, ed è considerato ovunque come tale, al di fuori degli ambienti rampanti dell'alleanza tra neo-conservatori e New Labour”. Murray passa quindi a dare un quadro della situazione disastrosa in Iraq, in Afganistan, e in Libano dopo l'attacco di Israele.
“Gli anni di Blair vanno studiati per i fallimenti delle potenze anglosassoni nel rifare il mondo secondo i propri interessi con la forza”. Ci sono alcuni propagandisti del nuovo imperialismo, come lo storico Niall Ferguson, o l'ideologo del New Labour Christopher Hichtchens che ripropongono la linea del “Colonial Bureau Fabiano”. Ma “gli oppositori dell'imperialismo sono di gran lunga più numerosi. Quasi due terzi del pubblico ritiene che la politica estera britannica sia troppo soggetta a quella degli USA e che le occupazioni militari siano un insuccesso. La forza del movimento contro la guerra negli ultimi cinque anni, che ha raccolto nuovi sostegni durante la guerra del Libano, testimonia come questo sentimento sia ben più profondo di quanto dicano i sondaggi d'opinione ... L'alleanza tra ineguali costituita tra gli USA e l'Inghilerra dopo Suez [1956] si sta di nuovo sgretolando nel Medio Oriente”.
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