25.3.09
Segnali di implosione
Settembre del 2008 ha segnato un punto di inflessione nel processo di recessione che veniva ingrandendosi negli Stati Uniti durante lo stesso anno: è crollato il sistema finanziario e la recessione ha iniziato a espandersi rapidamente nel mondo al medesimo tempo in cui si evidenziavano sintomi molto chiari di uno scivolamento globale verso la depressione, la cui “esistenza” è iniziata ad essere ammessa solo a inizio 2009. Ora stiamo assistendo ad un concatenarsi internazionale di tracolli finanziari e della produzione accompagnati da un senso di pessimismo ed impotenza delle più alte élite dirigenti, davanti alla possibilità di un collasso generale.
Le dichiarazioni di George Soros e Paul Volcker all’Università di Columbia del 21 febbraio 2009, delineano una radicale rottura (1), di molto superiore a quella che predisse due anni fa Alan Greenspan, quando annunciò la possibilità che gli Stati Uniti entrassero in recessione. Volcker ha ammesso che questa crisi è di molto superiore a quella del 1929, questa stessa cosa significa la mancanza di riferimenti nella storia del capitalismo, l’impossibilità di fare confronti con crisi anteriori e anche, (principalmente) la mancanza di rimedi conosciuti.
Perchè il 1929 e la depressione che seguirono vengono associati all’esito dell’applicazione della teoria keynesiana e all’intervento massicio dello Stato come salvatore ultimo del capitalismo, e quello a cui stiamo assistendo è la più grande inefficienza da parte degli stati per superare la crisi. In realtà la valanga di denaro che lanciano sui mercati soccorrendo banche e alcune grandi imprese, non solo non blocca il disastro in corso, ma sta creando le condizioni per una catastrofe inflazionaria, prossima bolla speculativa.
Implosione capitalista?
Da parte sua George Soros ha confermato l’evidente: il sistema finanziario si è disintegrato, a questo aggiunge che ci sono similitudini tra la situazione attuale e il crollo dell’Unione Sovietica. Quali sono queste similitudini? Come sappiamo il sistema sovietico cominciò a incrinarsi a fine anni ’80 per disintegrarsi completamente nel 1991. La causa è stata attribuita allo sgretolarsi della sua struttura burocratica rendendoli in principio intrasferibile al capitalismo che ospita una vasta burocrazia anche se non egemonica come fu nel caso sovietico. Esiste un processo, una malattia, che non è solamente esclusiva dei regimi burocratici e che si è sviluppata nel capitalismo come nelle precedenti civiltà: si tratta della ipertrofia parassita che saccheggia le forze produttive fino al punto che il sistema rimane paralizzato e non può più riprodursi, rimanendo soffocato dal proprio marciume. Durante il XX secolo il capitalismo incentivò strutture parassite come il militarismo e soprattutto le deformazioni finanziarie che segnarono la sua cultura, il suo sviluppo tecnologico, i suoi sistemi di potere. Gli ultimi 30 anni hanno visto un'accelerazione del processo abbellito dai discorsi di riconversione neoliberale, di regno assoluto del mercato, che hanno raggiunto il loro apice durante l’ultimo lustro del XX secolo, in piena espansione della bolla borsistica e quando il potere militare degli Stati Uniti sembrava imbattibile.
Però, nella prima decade del secolo XXI, il sistema è iniziato a crollare, l’Impero si è impantanato in due guerre coloniali, la sua economia si è deteriorata velocemente e le bolle di ogni genere (immobiliaria, commerciale, di indebitamento, etc) si sono sparse per il pianeta. Il capitalismo finanziario era entrato in una vertiginosa fase di espansione che ha schiacciato con il suo peso ogni forma economica e politica, nel 2008 il gruppo dei sette (G7) disponeva di risorse fiscali per un 10 miliardi di dollari contro un 600 miliardi di dollari in prodotti finanziari derivati registrati nella Banca di Basilea, ai quali bisogna aggiungere secondo alcuni esperti, la massa speculativa globale che supera attualmente i 1.000 miliardi di dollari (circa 20 volte il Prodotto Interno Lordo Mondiale - PIL).
Quella montagna finanziaria non è una realtà separata e indipendente dalla cosiddetta economia reale o produttiva. Fu generata dalla dinamica dell’insieme del sistema capitalista, per il bisogno di rendimento delle imprese globali, per il bisogno di finanziamento degli stati. Non è una rete di speculatori autistici lanciati verso un'avventura di autosviluppo suicida, bensì l'espressione radicalmente irrazionale di una civiltà in decadenza (tanto a livello produttivo, come politico, culturale, ambientale, energetico, etc). Da più di quattro decenni il capitalismo globale del G7 sopporta una crisi cronica di surplus di produzione, accumulando capacità produttiva davanti ad una domanda che cresceva si, ma sempre meno. La droga finanziaria è stata un salvagente che ha migliorato i benefici spingendo il consumo nei paesi ricchi, anche se, a lungo termine, avvelenando completamente il sistema.
E' diventato di moda attribuire la crisi agli speculatori finanziari e secondo quello che ci spiegano alti dirigenti politici e mediatici, le turbolenze arriveranno alla fine solo quando “l’economia reale” imporrá la sua cultura produttiva sottomettendo alle regole del buon capitalismo le reti finanziarie oggi fuori controllo. Comunque a metá del decennio attuale negli Stati Uniti più del 40% dei benefici delle grandi corporazioni provenivano da negoziazioni finanziarie (2), in Europa la situazione era simile. In Cina, nel momento di maggior auge speculativo (fine del 2007) solo la bolla borsistica muoveva fondi quasi equivalenti al valore del Prodotto Interno Lordo (3) alimentati da impresari privati e pubblici, alti burocrati, professionisti, etc. Quindi non si tratta di due attivitá, una reale e l’altra finanziaria, nettamente differenziate, bensì di un solo insieme eterogeneo e reale di affari. È quell'insieme che si sta velocemente sgonfiando ora, implodendo dopo essere arrivato al suo massimo livello di espansione possibile nelle condizioni storiche concrete del mondo attuale. Sotto l'apparenza imposta dai mezzi globali di comunicazione di un'implosione finanziaria che colpisce negativamente l'insieme delle attività economiche, quasi come una pioggia tossica che attacca le verdi praterie, appare la realtà del sistema economico globale come totalità che si contrae in maniera caotica.
Segnali
Le dichiarazioni di George Soros e di Paul Volcker furono fatte pochi giorni prima che il governo rendesse pubbliche le cifre ufficiali della caduta del Prodotto Interno Lordo dell’ultimo trimestre del 2008 rispetto allo stesso del 2007. La prima stima ufficiale aveva fissato la caduta in un 3,8% che risultò essere una grande menzogna, perchè ora risulta che la contrazione è arrivata al 6,2% (4): questa già non è recessione, bensì depressione. Il Giappone, da parte sua, per lo stesso periodo ha avuto una decrescita del suo PIL nell’ordine del 12% e nel gennaio 2009 le sue esportazioni sono cadute di un 45% se paragonate col gennaio 2008 (5). In Europa la situazione è uguale o forse peggiore, a seguito del crollo finanziario dell’Islanda, la minaccia di fallimento economico di vari paesi dell’Europa dell’Est, come la Polonia, Ungheria, Ucrania, Lettonia, Lituania, etc, minaccia in maniera diretta le banche creditrici svizzere e austriache, che potrebbero sprofondare come l’Islanda. In tutto questo, i grandi paesi industrializzati come Germania, Inghilterra o Francia vanno passando dalla recessione alla depressione. Le previsioni riguardanti la Cina, annunciano per il 2009 una riduzione del tasso di crescita della metá rispetto a quello del 2008. Le sue esportazioni in gennaio 2009 sono state inferiori del 17,5% rispetto quelle di gennaio 2008 (6). Questa brusca frenata del centro vitale del sitema economico non ha prospettive di recupero mentre si è in depressione globale, pertanto il suo ritmo di crescita continuerà a scendere.
Che Soros e Volcker parlino di una prospettiva di collasso del sistema economico mondiale non significa che essa si debba produrre in maniera inevitabile, anche perchè dopo tutto una delle principali caratteristiche della decadenza di una civiltà, come quella che stiamo vivendo, è l’esistenza di una profonda crisi nella percezione della realtà da parte delle élite dominanti, anche se l'accumulazione di dati economici negativi e le proiezioni realistiche per i prossimi mesi, ci stanno indicando che la gran catastrofe annunciata ha buone probabilità di realizzarsi. A questa conclusione contribuisce l’impotenza accertata dei presunti “organi di controllo” del sistema (governi, banche centrali, FMI, etc) e la rigidezza politica dell’Impero. Aver ampliato lo scenario di guerra in Afghanistan preserva il potere del complesso militare-industriale, gigante parassita, il cui costo reale (qualcosa come un miliardo di dollari) equivale all’80% del deficit fiscale degli Stati Uniti.
Disintegrazione, implosione, suddivisione.
La disintegrazione-implosione del sistema non significa che esso si trasformerà in un'unione di sottoinsiemi capitalisti o blocchi regionali più o meno forti, dei quali qualcuno prospero e altri declinanti (l’unipolarità americana convertendosi in multipolarità, si suddivide organizzatamente attorno a nuovi o vecchi poli capitalisti). L’economia mondiale altamente globalizzata, dalla forma di un denso groviglio di scambi produttivi, commerciali e finanziari, penetra profondamente nelle “struttura nazionali”. Investimenti e dipendenze commerciali la vincolano in maniera diretta o indiretta ai nuclei decisivi del sistema globale.
In termini generali per un paese o una regione la rottura dai suoi lacci globali o un suo significativo indebolimento implicano un'enorme rottura interna, la scomparsa di settori economici decisivi con le conseguenze sociali e politiche che da ciò ne derivano.
In più il sistema globale fino ad ora era organizzato in modo gerarchico tanto nel suo aspetto economico come in quello politico-militare (unipolarismo) risultato della fine della Guerra Fredda e della trasformazione degli Stati Uniti nei padroni del pianeta, non solo nello spazio di concentrazione delle decisioni commerciali e finanziarie – cosa che accadeva già da più di sei decenni - ma anche a riguardo delle grandi decisioni politiche.
Il crollo dei paesi facenti parte al G7, in piena depressione economica internazionale, funge da detonatore per una catena di crisi globali (economiche, politiche, sociali, etc) di intensitá crescente.
Recentemente Zbigniew Brzezinski ha messo da parte le sue riflessioni a riguardo della politica internazionale per avvisarci a riguardo di possibili inasprimenti dei conflitti sociali negli Stati Uniti, che secondo lui potrebbero degenerare in violenti scontri (8). Da parte sua e secondo una prospettiva ideologica opposta, Michael Klare ci ha delineato la mappa delle proteste popolari che hanno attraversato tutti i continenti, paesi ricchi e poveri, dal Nord al Sud, iniziate nel 2008 come conseguenza della crisi alimentare, prima nei paesi periferici, che ora però inizia ad espandersi globalmente come risposta all’aggravarsi della depressione economica (9). Il moltiplicarsi delle difficoltà nella governabilità ci aspetta da qui a breve.
L'ipotesi di implosione capitalista apre lo spazio per la riflessione e l'azione intorno all'orizzonte postcapitalista dove si mischiano vecchie e nuove idee, illusioni fallite e lungo apprendistato democratico del secolo XX, con freni conservatori che legittimano tentativi neocapitalisti e visioni rinnovate del mondo incoraggiate da grandi innovazioni sociali.
L’agonia della moderna borghesia con le sue barbarie senili, la rottura dei blocchi ideologici, delle strutture oppressive, ci dà speranza in una rigenerazione umana delle relazioni sociali.
di Jorge Beinstein
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