
«Qualcuno doveva alzarsi a dire che la democrazia non può sopravvivere con queste interferenze delle corporation e del governo sui mezzi di informazione»: si è vantato così Dan Rather, il celebre anchorman, davanti a Larry King, l'altro celeberrimo anchorman.Poi,Rupert Murdoch da anni avverte i suoi compari editori che la rete sta demolendo i media classici e la loro presunta autorevolezza.
L'ha fatto nel 2005 in modo molto esplicito : «Io sono cresciuto in un mondo informativo altamente centralizzato, dove le notizie erano strettamente controllate da pochi direttori, che ci dicevano cosa potevamo e dovevamo sapere. Le mie due figlie giovani, sono nate nel mondo digitale.
Noi che siamo in posizione di determinare come le informazioni vengono confezionate e diffuse, in questo mondo digitale siamo immigrati freschi. Ci dobbiamo 'sforzare' di applicare la mentalità digitale … dobbiamo capire che la prossima generazione, che ha accesso alle notizie, siano dai giornali o da altra fonte, hanno un diverso criterio di aspettative sul tipo di informazione da cercare, e sul come le ottengono, e da chi».
«Non s'affidano più a una figura divina di informatore; e per estendere l'immagine religiosa, non vogliono più le notizie presentate come vangelo. Anzi, vogliono le notizie a loro richiesta. Vogliono il controllo sui loro media, non esserne controllati».
E citava i sondaggi: «I consumatori (sic) fra i 18 e i 34 anni usano sempre più il web come mezzo di comunicazione per i loro consumi. … il 44% degli interrogati hanno detto di usare un portale almeno una volta al giorno per avere informazioni giornalistiche, contro solo un 19% che compra e legge ogni giorno un quotidiano. Ancor più sinistramente, una proiezione a tre anni mostra che ad usare internet per informarsi saranno il 39%, e quelli che si aspettano di comprare di più i giornali solo l'8%».
Murdoch diamone atto, non fa la solita lagna.
Non dice che quello di internet è un giornalismo «secondario» in quanto parassistario dei MSM. Non parla di complottisti marginali.
Non fa la lezione: notizie incontrollate e «non bilanciate» o «di parte», dove «i fatti non sono separati dalle opinioni».
Non dice: giornalismo di bassa qualità.
Forse perché sa cosa pensare della qualità dei media «autorevoli»: e basta leggere un pezzo di Magdi Allam, che costa a Il Corriere 22 mila euro mensili, per capirlo.
E basta considerare che il 98% delle notizie pubblicate dai grandi media sono prese pari pari da tre agenzie internazionali, senza alcun controllo delle fonti, a scatola chiusa.
Di parte, poi, lo sono tutti, e ancor più quelli che si danno l'aria di «oggettivi».
Già da come presentano i «fatti» si intuisce che ci mettono, surrettiziamente, la «opinione» autorizzata.
Vecchi trucchi che non incantano più.
La vera differenza è più cruciale: che internet è gratis, e che non ci si guadagna: né i giornalisti, né gli editori né la pubblicità.
Così accade già, in America, che bravi giornalisti professionali lavorano per i media mainstream per lo stipendio, poi tengono i blog dove si sfogano, e rivelano per niente quello che non hanno potuto dire nella sfera della libertà vigilata.
E allora, dove è più probabile trovare le notizie di cui fidarsi?
Là dove si scrive per carriera e stipendio, o dove si scrive per sfogarsi e liberarsi la coscienza, gratis?
Ciò nuocerà a noi giornalisti come casta pagata benino (o troppo bene, Allam), ma è un ritorno - tramite il mezzo elettronico - al giornalismo delle origini.
Quello che c'era prima che i giornali e le TV diventassero veicoli servili della pubblicità (il più sporco e irresponsabile dei poteri forti); quello di cui si ha un'idea quando si vede, in certi vecchi western, il direttore di giornalini che si chiamavano «Pomona Telegraph» o «Kentuky Current» che, con la visiera e le mezze maniche, non solo li scriveva, ma li stampava da solo alla vecchia macchina piana, aiutato da ragazzini che gli portavano le notizie e poi distribuivano il fogliaccio macchiato di inchiostro grasso.
Un giornalismo pieno di impurità, gridato, platealmente di parte, soggetto a querele, diffamatorio e ricattatorio: ma svolgeva la funzione che il giornalismo MSM non svolge più.
La funzione originaria, che giustifica il giornalismo: essere il modesto ausiliario della democrazia.
Era «di parte» perché questo serve agli elettori: in ogni questione politica, sentire «l'altra parte», cosa ha da obbiettare l'altra campana, e poi decidere col voto quale «parte» favorire, dato che le scelte politiche sono tutte discutibili, ognuna ha - oltre ai pro - anche dei contro, di cui è bene essere informati.
E non disturbava questa funzione essenziale il fatto che quel giornalismo fosse «esagerato», che fosse più alla Beppe Grillo che alla Angelo Panebianco o alla Paolo Mieli.
L'esagerazione serviva a sottolineare, era il suo stile.
Così in internet.
L'irriverenza, il tono incazzato, la selezione platealmente di parte sono il suo stile: il lettore si abitua a fare la tara, è bene che sia così.
Sono i siti compassati, ufficiali, ufficiosi, della Fiat o della Presidenza del Consiglio, a suscitare il sospetto.
Il lettore è autorizzato a sospettare di noi quando diverremo così.
E il sito di Grillo, se mai diverrà così, sarà abbandonato.
Ma per intanto anche noi, nel nostro piccolo, siamo qui con le mezze maniche nere, e il portacenere pieno di cicche (nelle redazioni MSM è vietato fumare) a lavorare gratis.
E se siamo grati a Grillo e lo diciamo, non è perché lui poi ci darà una mazzetta o una inserzione pubblicitaria.
Non è una garanzia?
Stiamo lavorando anche per i bravi giornalisti che sono nei grandi media.
La rete ha dato coraggio a Dan Rather: «Qualcuno doveva pur alzarsi a dire che la democrazia non sopravvive con questa interferenza delle corporations e del governo».
fonte:Maurizio Blondet