28.5.08

Quando la libertà di parola non è così libera


Parlare liberamente non è così privo di conseguenze. Negli Stati Uniti, per esempio, criticare Israele equivale ad un'eresia. Jimmy Carter, già Presidente degli Stati Uniti, dopo la pubblicazione l'anno scorso del suo libro 'Palestina: Pace, non Apartheid' nel quale condannava le politiche isolazioniste israeliane nei territori palestinesi occupati, ha avvertito una forte reazione pubblica avversa. Come conseguenza, senza alcun fondamento, Carter fu marchiato da molti nella stampa americana come propagandista anti-semita di-parte.

Analogamente, Stephen Walt - Professore alla Harvard - e John Mearsheimer - all'Università di Chicago - sono stati additati per uno scritto che metteva in discussione il potere della lobby israeliana ed i suoi effetti negativi sulla politica americana.

Da ultimo, Norman Finkelstein, stimato Professore alla DePaul University ed autore del bestseller 'L'Industria dell'Olocausto', è stato testimone di una campagna in stile maccartista montata contro di lui al ricevimento dell'incarico. Finkelstein, figlio di sopravvissuti all'olocausto, ha sempre parlato contro gli abusi dei diritti umani commessi da Israele e contro gli apologeti pro-Israele, tipo il Professor di Harvard, Alan Dershowitz. Presumibilmente, è stato quest'ultimo a montare la campagna anti-incarico contro Finkelstein, al quale alla fine è stato negato l'incarico ed ha perso la cattedra alla DePaul.

Gli attacchi contro Carter, Finkelstein, Walt e Mearsheimer sono un piccolo gruppo di esempi ben noti sulle conseguenze alle quali scrittori ed intellettuali vanno incontro quando oltrepassano la linea e criticano Israele. La condanna che ricevono, poi, scrittori ed intellettuali di origine araba è invariabilmente più alta di quella ricevuta dai Giudei responsabili, dai già presidenti e dagli accademici rispettati.

Così, molto scrittori spesso seguono la corrente e la loro auto-censura si manifesta nell' "abbassare i toni del messaggio" sia compiacendo l'editore che i critici, essenzialmente conformandosi alla realtà di un cosiddetto pragmatismo. Ma tale "pragmatismo" è un eufemismo al posto di "accettazione" di uno status quo repressivo ed è analogo a quel "necessario" modo di pensare "pratico" che aveva zittito una moltitudine di commentatori durante gli anni di Oslo - il presunto periodo della pace. Logicamente, l'effetto delle taciute sofferenze dei Palestinesi fu un aumento dell'espansione degli insediamenti dei coloni, della confisca di territori, del numero dei posti di controllo e degli attacchi, così come del fallimento di Camp David, nel 2000.

Schivare argomenti percepiti come controversi può aiutare a salvare una carriera ben allineata, ma lo scopo di un analista politico non dovrebbe essere produrre dei lavori di fantasia. Durante la corsa alla guerra in Iraq, la maggior parte degli americani non era disponibile a sentire critiche alla politica americana, ciò soprattutto a causa della complicità dei mezzi di comunicazione ufficiali a sostegno della guerra; ma le critiche erano assolutamente appropriate dato l'andamento dei fatti e gli americani oggi ne avrebbero beneficiato.

Un uomo che è riuscito a combinare con maestria i propri principi, l'attivismo e gli aspetti umani, è stato il noto educatore e commentatore Edward Said. Said è visto senza dubbio come la quintessenza del radicalismo nell'intelligentia e nel campo dell'analisi del Medio-oriente. Nondimeno, le sue posizioni erano radicali se confrontate con la "comprensione convenzionale" : era infatti un fautore della soluzione ad uno-stato, un critico solitario del governo israeliano ed un ardente sostenitore dell'apparentemente controverso diritto di ritorno. Said è stato oggetto di critiche durante tutta la sua carriera ed ha sostenuto pesanti attacchi dai suoi detrattori, eppure il suo modo di fare comprensibile e le sue argomentazioni motivate, gli hanno fatto conservare un ruolo rilevante.

Purtroppo, questa relativa accettazione a favore di Said è l'eccezione e non la regola. Negli anni recenti c'è stato un aumento dell'attenzione per un preteso dialogo pragmatico. Nei fatti, questa attenzione al pensiero cosiddetto razionale ed equilibrato è risultata essere poco di più di un mezzo subdolo per fare pressioni sugli oppressi per accettare gli oppressori.

I più grandi leaders degli ultimi cento anni, non hanno evitato le contrapposizioni, sono rimasti sulle loro posizioni ed hanno visto le loro intuizioni diventare realtà; che si trattasse di Martin Luther King o Nelson Mandela o del Mahatma Gandhi. Ma non si può ignorare che anche personalità di spicco sono state punite per aver "oltrepassato" i confini ritenuti leciti, segnatamente Martin Luther King, che fu criticato per aver parlato contro la guerra in Vietnam, contro l'imperialismo e contro le ingiustizie sociali che infestano gli Stati Uniti.

Questa settimana, i Palestinesi negli Stati Uniti hanno commemorato i 60 anni del loro confinamento. Eppure, in base alla visione dei pragmatisti, la lente attraverso la quale il popolo palestinese dovrebbe osservare le cose dovrebbe far vedere loro che un popolo depredato è la vittima necessaria perchè prenda forma uno stato di diritto. Sfortunatamente, folle di scrittori e commentatori si accodano su questa linea per paura di perdere lo stipendio, in cambio di case più belle e di una vita più lussuosa, o per una combinazione di tali aspetti. Questo è il libero arbitrio. Parlare liberamente non è privo di conseguenze, eppure l'unica conseguenza che uno scrittore dovrebbe temere è la perdita della pace della propria mente.

Remi Kanazi

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